Svyatoslav Albireo

Solo Per Uno Schiavo


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nemmeno se ne accorse. Gli sborrò dentro, senza tante cerimonie. Poi, si sdraiò sul letto. Completamente rilassato, ignorò del tutto la presenza accanto a lui. Il poveraccio rimase col culo in aria, in attesa di ordini. Era ancora duro.

      “Posso venire, Signore?” chiese, infine, quando divenne insopportabile. Di certo, un Padrone non l’avrebbe fatto di sua sponte.

      “Apri la bocca. Poi, potrai venire.” E l’uomo lo fece inginocchiare. Dopo di che, iniziò a pisciargli tra le labbra.

      Al sapeva che non se la sarebbe cavata solo con una chiavata a secco. E, senza alcuna emozione, cercò di non perdersi nemmeno una goccia. Nel frattempo, si toccava furiosamente.

      Quel Padrone, tanto decantato nella sua depravazione, lo annoiava da morire.

      Tutti loro lo annoiavano da morire.

      Credevano di essere stocazzo, ma erano fotocopie gli uni degli altri.

      Pensavano le stesse cose, agivano nella medesima maniera. E, da bravi narcisisti patologici, erano convinti di essere tutti particolari ed eccentrici.

      Pisciargli in bocca. Wow, che originalità.

      Ovviamente, si tenne tutto per sé e cercò di bere il più velocemente possibile. Ma il piscio gli finì comunque nel naso e sugli occhi. Quando finì, si ritrovò in una pozza dorata.

      Stine, soddisfatto e tronfio, cominciò a rivestirsi. Molto lentamente. E osservava quella grande e terribile bellezza che si veniva addosso.

      “Pulisci,” gli ordinò, poi.

      Un’altra richiesta molto originale. Leccare il pavimento. Al stava lottando con se stesso per non cadere addormentato nei suoi stessi liquami.

      Quindi, si chinò in avanti e cominciò a leccare. Stine lo guardava col sorrisino che tutti i siti di seduzione online, palesemente salvati tra i preferiti del Padrone, definivano da-stronzo. Al provava sempre qualcosa di molto simile alla pietà, per tale mancanza di consapevolezza di sé. Era palese quanto quel tipo stesse godendo nell’umiliare lo Schiavo. Era davvero convinto di essere il primo, il solo e l’unico ad averlo fatto. Faceva quasi tenerezza. Quasi.

      Una volta terminato tale teatrino, il Padrone tirò il guinzaglio e si diressero -insieme- sul Ponte. Tutti si girarono a guardare la Bestia.

      E i sorrisini da-stronzo si sprecarono.

      ***

      Aletta, vedendo Stine e Al all’orizzonte, ridacchiò. Le piaceva, quella vista. Eccola, la differenza tra uno Schiavo e un Padrone. Si può essere più alti, più forti, più attraenti. Ma è la forza di volontà che gioca il ruolo di punta.

      Quando la coppia si avvicinò, la donna mise su un’espressione contrariata.

      “E dov’è che sei stato?” chiese.

      Stine posò il guinzaglio, accese una sigaretta e si guardò attorno. Come se non avesse proprio nulla a che fare col ritardo dello Schiavo.

      “Mi dispiace, Signora. Stavo aiutando Padron Stine a rilassarsi.”

      “E io ti punirò per questo. L’hai fatto apposta? Ti piace essere castigato? L’avrai praticamente implorato di scoparti. Sai fare solo quello! Non sei nemmeno in grado di versarmi un bicchiere d’acqua!”

      Si sentì subito meglio.

      Prendersela con gli Schiavi aveva il potere di farla stare bene.

      La vergogna provata poco prima, dimenticata. In quel momento, qualcun altro era più umiliato di lei. O così lei pensava. E ciò le bastava.

      “Mia Signora, Voi siete la mia priorità. Ma non posso rifiutarmi, se un altro Padrone mi comanda. Sono uno Schiavo. No è una parola che non posso dire. Mai.”

      Nemmeno una nota di colore trasparì da quella voce.

      Ma un brivido dolce percorse la schiena della donna, a sentire quelle parole.

      Il Dio Pagano era talmente umiliato da essere stato costretto a giustificarsi. Bene.

      “Sdraiati sul fianco,” gli ordinò.

      Quello obbedì, subito. Sapeva cosa la donna voleva. Sapeva tutto in anticipo. Perché gli faceva sempre le stesse pallosissime richieste.

      “Toccati, puttana, lo so che ti piace,” gli sibilò.

      Lo Schiavo cominciò a toccarsi. Veloce, ma senza la minima passione.

      “Mettici più impegno! E non dimenticarti i coglioni,” aggiunse Aletta, mentre gli spingeva la base rigida del guinzaglio nel culo già martoriato.

      La Bestia iniziò ad ansimare.

      “Fa male, Padrona. Fa tanto male.” Ed era vero. Ma non voleva certo che si fermasse. Il dolore era una consolazione. Solo così sapeva di essere ancora vivo.

      “Vi prego, Signora,” implorò, poi, falsissimo.

      E Aletta sorrise. Ci credeva davvero, povera stella.

      “Pensi, forse, che non lo sappia? Non distrarti! Più forte!”

      Stine, nel mentre, continuava a guardarsi attorno.

      “Hai mica visto un ragazzo? Giovane, bellissimo, occhi rossi, sfrontato da morire.”

      “Sì, era qui. Se n’è andato,” rispose la donna, facendo dentro-fuori con la base del guinzaglio. Poi, aggiunse, “Hai già organizzato qualcosa?”

      “L’ho invitato al Tavolo, per cena.”

      “Awww, ma quanto sei premuroso!”

      E scoppiò a ridere, lo stesso suono di mille vetri in frantumi. Ossia, fastidioso.

      Al stava tentando di venire, in fretta, ma quel rumore lo mise a dura prova. Voleva ascoltare i discorsi dei due Padroni, ma prima doveva portare a termine l’ordine ricevuto.

      Quindi, si dedicò alle sue personali fantasie.

      Un prato verde, tanti fiori bianchi, una scogliera stagliata sul cielo azzurro, una casetta dal tetto verde, un orticello, un amante grazioso, risate sulla spiaggia, tenersi per mano, ascoltare il Mare cristallino e i suoi misteriosi sussurri. Il sesso sarebbe stato piacevole. Niente forzature, niente manipolazioni. Nessuno dei due avrebbe provato dolore. L’amore avrebbe reso tutto fantastico, nient’altro. Avrebbe guardato il suo innamorato negli occhi, con rispetto, sempre. Gli avrebbe sorriso e goduto della sua felicità. L’avrebbe fatto stendere sull’erba, lo avrebbe baciato ovunque e poi-

      Al diede un ultimo strattone e si venne in mano. Aletta buttò il guinzaglio per terra, mentre la Bestia riprendeva fiato.

      “Vorresti guardare l'acqua?” gli chiese, soddisfatta.

      “Sissignora,” sospirò lo Schiavo.

      E Aletta recuperò il guinzaglio, legandolo al tavolo.

      “Torno a prenderti prima di cena.”

      “Grazie, Signora.”

      La Padrona sentiva gli sguardi invidiosi delle altre donne su di sé. E quanto le piaceva! Poi, gli accarezzò la spalla e si allontanò.

      Finalmente solo, lo Schiavo si guardò attorno.

      Niente sedie.

      Ovvio.

      Ma anche se ci fossero state, non le avrebbe usate. Da seduto, non avrebbe potuto vedere l’Oceano. E se Aletta si fosse accorta che non stava obbedendo, avrebbe potuto decidere di inventarsi qualche altro passatempo.

      Le sue interiora si contrassero. Il dolore, stranamente, non era ancora scemato. Sussultò, quando si mosse troppo bruscamente. Fortuna che non c’era nessuno, a vedere che stava effettivamente soffrendo. Perché avrebbero voluto farlo soffrire un po’ di più, quei pezzi di merda.

      Era diventato Schiavo all’età di otto anni. Prima,