Svyatoslav Albireo

Solo Per Uno Schiavo


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sua cabina. A entrambi, per un secondo, passò per la mente che avrebbero potuto divertirsi -insieme- con quella puttanella. Ma a che prezzo? Sarebbero morti, dopo atroci sofferenze, nel giro di pochi giorni. Nessun orgasmo ne sarebbe valsa la pena. Quindi, uscirono nel corridoio.

      Finalmente, Ad era tornato Padrone della sua cabina!

      “Grazie, mio Capitano, grazie mille! Troverò il modo di ringraziarla! Non esiti a chiedermi qualsiasi cosa!” promise il giovane, prima di chiudersi dentro.

      Stine e Stor rimasero in piedi, lì, davanti alla porta per qualche secondo. Stor non aveva smesso di sorridere un solo istante. Stine se avesse potuto dare fuoco alla porta con la forza dello sguardo l’avrebbe fatto. Poi, d’improvviso, la porta si riaprì. Veloce, un accendino volò dalla fessura e cadde a terra. Stine lo lasciò lì.

      “Raccogli la tua spazzatura,” gli disse il Capitano.

      “Lasciami i coglioni in pace!” rispose quello, prima di andarsene. “Ti ho rivolto la parola per sbaglio e mi hai fatto scendere la besciamella alle ginocchia!”

      Stor raccolse l'accendino, si avvicinò a un cestino e ce lo gettò dentro. Si girò e si diresse verso la sua, di cabina. Per tutto il resto della nottata, non fece altro che ricordare quelle bellissime labbra che mormoravano, “Ho tanta, tanta paura! Non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego”.

      Si addormentò, solo dopo essersi toccato a dovere.

      CAPITOLO CINQUE

      Al si alzava, ogni giorno, molto presto. Cercava di andare in bagno durante la notte, mentre la sua Padrona dormiva. Non sempre, però, ciò era possibile. Aveva bisogno di un permesso speciale, anche per fare pipì. Ma non doveva assolutamente svegliarla, per chiederglielo. In linea di massima, era meglio non far sapere ad Aletta che lui, in bagno, ci andava. Perché, a quel punto, lei avrebbe voluto sapere perché lui -in bagno- ci stava andando. E cosa ci andava a fare e come lo faceva. La prospettiva di morire di blocco intestinale era molto più allettante di quel ridicolo terzo grado.

      Quella mattina, Al era stato più discreto del solito. Dopo l’incidente col bellissimo Efebo era cruciale non attirare l’attenzione. Non più del solito, almeno. Quindi, aveva già obbedito a mezza dozzina di richieste assurde. Era lì che svolgeva il suo allenamento -Aletta lo voleva sempre pompato e senza un filo di grasso- quando uno degli Schiavi di Melinda piombò nella suite. La notte prima, Amir era stato trovato sul Ponte Principale. Svenuto, insanguinato, derubato. Le guardie erano già all’opera.

      “Devo andare! Tu finisci i tuoi esercizi! Se scopro che non hai combinato nulla, ti aumento il carico!” minacciò la donna, prima di correre fuori dalla stanza.

      E Al obbedì. Non che avesse chissà che altro da fare. Sicuramente Aletta sarebbe rientrata subito.

      Ma Aletta non rientrò. La Bestia, quindi, decise di sfidare la sorte. Prese un libro e iniziò a leggere. Poteva farlo solo in quei rari momenti in cui ci si dimenticava di lui.

      Lui adorava leggere. Avrebbe voluto farlo sempre. Aveva una grande immaginazione, ma era riuscito a finire pochissimi libri. Spesso era stato interrotto, proprio sul più bello. E quel libro, lui, non l’aveva mai più visto.

      Oltre trent’anni di Schiavitù l’avevano svuotato. Era vivo, ma era morto dentro. Non aveva una vera e propria opinione emotiva. Nessuno gli chiedeva un parere. E quando succedeva, la sua risposta doveva corrispondere al volere dei Padroni. Un perfetto Animale domestico, creato per soddisfare ogni tipo di desiderio. Quelli di tutti, tranne il suo. Non si poteva dire nulla sul suo carattere. Semplicemente, non ne possedeva uno. Non aveva bisogni particolari che richiedessero soddisfazione. Non c'era nulla che Aletta potesse fare per dargli un po’ di gioia. Non che lei l’avrebbe fatto, sia ben chiaro. Dopotutto, era dovere di Al portare gioia ai Padroni. Non viceversa.

      A ogni modo, il libro del giorno si intitolava, ‘Più Forte Della Morte’. L’autore, Albireo, era famoso per le tematiche e le storie a sfondo omosessuale.

      O, forse, quel genere era quello più popolare a Firokami.

      La trama era molto semplice. Il figlio di un ricco uomo d’affari di Frican torna a casa dall’Università e si innamora di uno Schiavo zombie.

      A metà lettura, intrigato e confuso, Al sbirciò la fine. E fu ancora più confuso. Una conversazione tra due personaggi di cui, ancora, non aveva letto nulla. L’Amore è sempre più forte. Sia della Vita, sia della Morte. Fine. L’Albireo era famoso anche perché, nelle sue opere, il lieto fine era una costante. Anche se quei personaggi erano, apparentemente, morti. L’importante è stare assieme a chi si ama. Così pensava Al, anche se lui non avrebbe mai avuto un lieto fine del genere. Ritornò, comunque, a leggere dove aveva interrotto.

      Arrivò esattamente fino al momento in cui il padre -disperato- decide di non interferire con la storia tra suo figlio e lo Schiavo, in modo da fargli capire da solo che razza di errore sia mischiarsi coi morti. E proprio in quel momento, Aletta entrò nella stanza. La Bestia era seduta, a gambe incrociate, sul pavimento. Aletta lo guardò e sorrise. Brutto segno. Lo Schiavo, però. Non si scompose. Chiuse il libro e lo rimise a posto. Aletta si sedette, mentre poggiava una borsa sul tavolo.

      “Che follia! Dove andremo a finire! Aggredire un Padrone! Sarà sicuramente uno Schiavo che non è stato educato a dovere. Posso solo immaginare cosa gli faranno, quando lo troveranno. Tu cosa pensi che dovremmo fare, a Schiavi del genere?” chiese Aletta.

      “Punirli, Padrona,” rispose Al.

      “Certo,” annuì la donna. Poi, indicò la borsa. “Ti ho portato la colazione. Mangia.”

      Al si alzò, raccolse la busta e si rimise sul pavimento. Zuppa, un po’ di carne, del succo di frutta. Si trattava palesemente di avanzi. Non era certo la prima volta. Ma il pensiero che il giorno prima si fosse scopato un Angelo del Paradiso e quella mattina una donna sul viale del tramonto, gli faceva specie. Non aveva proprio fame, ma non poteva disobbedire a un ordine. Poi, lo avrebbero lasciato senza cibo per giorni. Quindi, infilò una mano nel sacchetto e prese la prima cosa che gli capitò. Lo Schiavo aspettava pazientemente la vecchiaia. A quel punto, avrebbe smesso di essere interessante per i Padroni. Nessuno avrebbe speso tempo e denaro per un restauro. Avrebbe dovuto aspettare una decina d’anni, non di più. Non vedeva l’ora di essere vecchio e brutto. La sua Padrona adorava la carne fresca. Perdeva tempo con lui solo ed esclusivamente perché la sua bellezza era fuori dal comune. Ma alla prima ruga gli avrebbe dato un calcio in culo ben assestato. E non ci sarebbe stato nulla tra lui e il Mare. Ma, in quel preciso istante, Aletta era lì che gli toccava le natiche con la punta delle sue scarpe tacco dodici.

      “Mettiti a quattro zampe, per mangiare.”

      Lo Schiavo obbedì. E la punta di quel tacco dodici gli penetrò lo sfintere.

      “No, sdraiati e mangia,” ordinò, di nuovo, Aletta. Lo Schiavo obbedì un’altra volta, sperando fosse l’ultima. Ma Aletta infilò il tacco fino al calcagno. Quel sottile pezzo di metallo riaprì abrasioni vecchie, mentre ne apriva di nuove. E Al urlò.

      “Vi prego, Padrona! Fa male!” implorò, irrigidendosi.

      La donna, per tutta risposta, rise e iniziò a fare avantindietro.

      “Certo che fa male. Deve fare male! Mica mi diverto, sennò!”

      La sofferenza della Bestia era quasi commovente. Sarebbe stata capace di scioglierle il cuore, se ne avesse avuto uno.

      Al ruggì di dolore, stringendosi la testa fra le mani. Come avrebbe voluto essere uno Schiavo Zombie in un lontano Paese dimenticato.

      “Hai due scelte. Disabituare il tuo intestino a lavorare come si deve oppure diventare un Cuore per i Padroni. Non ringraziare me. È stata un’idea di Gene!”

      “Non so cosa significhi, Signora. Potreste spiegarmelo, per favore?”

      Aletta si appoggiò allo Schiavo, sorridendo.

      “Ti faremo un