Regina + Giuseppe De Facendis

Presidents


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scusa la grafica?»

      Piegò la testa da un lato guardandomi divertita, ma non cattiva.

      «Scusa, hai ragione! Mi sarei dovuta presentare, ma quando vedo certe cose… » indicò con un gesto lieve della mano la stazione grafica «… beh… mi lascio prendere dall’entusiasmo! Comunque sì, sono io la grafica!» Poi tendendomi la mano aggiunse civettuola «Annie, Annie Windors, piacere.»

      «Endis… » replicai stringendogliela deciso.

      «John Endis... »

      Quindi, cercando di assumere un’espressione il più possibile neutra ma allo stesso tempo simpatica… con una leggera vena d’ironia, il che non guasta mai, condita con uno sguardo di sexy intelligenza… aggiunsi con tono magnanimo:

      «… e lasciamo stare il capo. Chiamami solo John!»

      Invece di cadere fulminata ai miei piedi, si limito a emettere una breve risatina, quindi indicandosi il petto, e che petto, recitò:

      «Io Annie e tu John, he he he.»

      Ripensandoci, è stata una fortuna che nessuno ci abbia visto, avrebbe concluso che eravamo entrambi dei perfetti idioti! Un’idea improvvisa mi balenò nel cervello, guardai l’orologio.

      «Senti Annie, sono le sette e mi è venuta una fame boia.

      Conosco un posticino, nelle vicinanze, dove fanno una pizza fantastica. Che ne dici? Tanto per conoscerci meglio visto che nei prossimi mesi dovremo lavorare gomito a gomito.»

      Non riuscii a decifrare la sua espressione ma dopo un attimo di riflessione corrucciò le labbra e strofinando il suo gomito contro il mio con espressione complice annunciò:

      «Ok! Vada per il gomito a gomito!»

      «Perfetto. Andiamo con la mia macchina poi ti riporto a prendere la tua.»

      «No, non ce n’è bisogno… mi ha accompagnata un’amica. Devi solo portarmi a casa, se vuoi, altrimenti prenderò un taxi.»

      Giunti al parcheggio fece proprio quello che speravo facesse:

      rimase estasiata di fronte alla Ferrari Testarossa.

      «È tua?» chiese, evidentemente sorpresa.

      «Beh… poiché ho appena azionato il telecomando, direi proprio di sì.»

      «Non ti facevo un tipo da Ferrari, voglio dire, sei solo un giovane deputato almeno così mi è stato detto.»

      «Se è per questo, non l’ho certo pagata grazie allo stipendio da deputato!» precisai salendo in macchina. Lei fece altrettanto accompagnando il gesto con una breve risatina.

      «Allora hai rapinato una banca? Dimmi di sì, ti prego!!! Non ho mai conosciuto un rapinatore di banche!»

      Con una sgommata partii. Non so perché ma avevo la strana sensazione di essere preso un po’ in giro.

      Con tono di larvata sufficienza chiesi.

      «Cripta tura… sai cos’è?»

      Altra risatina.

      «Certo che lo so! Sono i geroglifici egizi. No… NON MI DIRE…! Hai trovato un tesoro traducendo delle vecchie pergamene? Fantastico!»

      Ora avevo un dubbio, o mi prendeva in giro o era proprio cretina! Lasciamo stare mi dissi e rimasi in silenzio a guidare mentre lei non fece altro per tutto il tragitto che ammirare, entusiasta, ogni particolare degli interni della macchina. Il ristorante italiano era tutto tranne che un ristorante italiano, almeno così lo avrebbe giudicato un italiano!

      Spaghetti scotti conditi con salse impossibili, che solo un americano avrebbe potuto ingurgitare apprezzandoli per di più, le pizze erano un’accozzaglia di ingredienti, tipo ananas, mango, banane ecc. Roba che in Italia, al solo presentarle, il cameriere avrebbe rischiato la vita… ma… era… alla… moda! Del resto era frequentato da americani non da italiani!

      Però, però aveva un vantaggio: se eri conosciuto dal cuoco e ti piaceva la vera cucina italiana allora… beh… allora mangiavi da Dio!!!

      Ed io avevo entrambi i requisiti! Fummo condotti da un cameriere estremamente ossequioso che si esprimeva in una lingua sconosciuta: un misto tra dialetto siciliano e slang, del resto nessuno si preoccupava di capirlo, a un tavolino appartato illuminato dalla fioca luce di una candela. Ma la cosa che più m’impressionò fu l’avanzata trionfale di Annie tra i tavoli! Non so quanti rischiarono di strozzarsi e quanti ricevettero calci negli stinchi dalle rispettive compagne non potendo trattenersi dall’ammirare a bocca aperta quella meraviglia della natura muovere con tanta disinvoltura e altrettanta grazia quegli improponibili pantaloni rosa.

      Mi sentii, stupidamente, fiero… come fosse stata una cosa mia!

      Un inno al testone per la scelta… grafica!

      «Sei conosciuto qui, immagino.» chiese Annie una volta accomodati.

      Con i gomiti sul tavolo, il mento appoggiato delicatamente sulle nocche delle dita e illuminata dalla tenue luce della candela, Annie era la bellezza fatta terrena!

      «Ci vengo di tanto in tanto… diciamo!» confermai con espressione leggera «Vuoi impressionarmi, vero? » sembrava una domanda ma era una affermazione! Per un attimo mi sentii nudo come un verme.

      Beh… forse così cretina non lo era!

      «No, farti mangiar bene!» mentii spudoratamente. Che stessi diventando davvero un politico?! Poi, cercando di darmi un contegno, non so con quanto successo, aggiunsi:

      «Ma ora parliamo di lavoro. Come mai sei stata scelta tu? Sì… lo so, è una domanda impertinente, ma non saprei in che altro modo formularla. Scusami.»

      «Semplice, John. Sono la nipote del Presidente!»

      «La nipote del testone?»

      Ero così sorpreso che non prestai caso alle parole.

      «Ha... ha... ha... »

      La sua risata cristallina riecheggiò per tutto il locale, facendo vibrare bicchieri e cuori.

      «Lascia stare, lo chiamiamo anche noi così… a casa.»

      Evidentemente aveva capito la mia perplessità cosi, con un sorriso tutto dedicato a me, aggiunse:

      «Non ti preoccupare. Mi sono laureata in grafica computerizzata con il massimo dei voti! Saprò fare il mio lavoro!»

      Poi, guardandosi attorno, tutta vispa aggiunse:

      «Beh… si mangia o no?»

      Come per magia il cameriere si materializzò accanto a noi porgendoci la carta. Con un gesto della mano lo fermai quindi rivolgendomi ad Annie con aria da intenditore, chiesi:

      «Desideri una pizza o mangiar bene?» Risatina di lei.

      «Dovrei anche rispondere a una simile domanda? Una pizza naturalmente!»

      Improvvisamente, con un gesto che mi sorprese, allungò il braccio attraverso il tavolo, poggiò il palmo della sua mano sul mio polso, leggera, quindi, guardandomi con una certa dolcezza negli occhi, sospirò:

      «Dai, che scherzo. Scegli tu il menù: mi fido ciecamente!»

      Lo scelsi… e sembra anche che fu l’unica cosa che indovinai in tutta la serata.

      La guardai compiaciuto gustarsi gli spaghetti al sugo di battibatti, divorarsi mezza spigola al cartoccio e infine assaporare con piacere il dessert di panna cotta… il tutto accompagnato da un ottimo e fresco bianco delle Cinque Terre.

      «Eccellente, davvero eccellente. Mai mangiato così bene!» Con gesto leggero posò il tovagliolo, con il quale si era nettata le labbra, sul grembo e per la prima volta mi guardò come fossi un essere umano e non solo una comparsa nel suo personalissimo show.

      «Sei sposato?»

      «Ehm…no.» Questa domanda, devo ammetterlo, m’imbarazzava sempre.