Emilio Salgari

Gli ultimi flibustieri


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chiunque ad andarlo a scovare, – disse don Barrejo, quand’ebbe finito.

      – Si ode però che qualche cosa respira o russa li dentro, – disse Mendoza, il quale aveva appoggiato un orecchio alle doghe.

      – T’inganni, amico, – rispose il guascone. – È il vino buono che bolle. Forse che non borbotta quando comincia a fermentare?

      – Sei meraviglioso, don Barrejo, – disse Buttafuoco. – Io sono certo che con l’aiuto di voi due non sarà cosa difficile a me di condurre la señorita di Ventimiglia nel paese di sua madre a raccogliere l’eredità lasciatale dal Gran Cacico.

      – Volete dire, signor Buttafuoco, che voi contate fin d’ora sulla mia draghinassa, – disse don Barrejo.

      – Siamo venuti qui per portarvi via con noi. Non ne avete abbastanza di fare il taverniere, voi che siete un gentiluomo piú atto a maneggiare le armi che le bottiglie?

      – Cominciavo infatti ad annoiarmi mortalmente ed a rimpiangere i bei tempi passati, quando sotto il figlio del Corsaro Rosso si montava all’assalto di qualche nave o di qualche casa almeno una volta alla settimana.

      “E mia moglie?”

      – Lasciala qui a condurre la taverna, – disse Mendoza. – Quando noi torneremo non avrai piú bisogno di vendere vino e Panchita potrà sfoggiare gioielli e bei vestiti finché vorrà.

      “Signor Buttafuoco, andiamo.”

      Risalirono in fretta, si gettarono addosso i loro mantelloni, provarono a far scorrere le spade ed i pugnali, e dopo d’aver accarezzato il mento alla bella castigliana senza che don Barrejo trovasse di che dire, il filibustiere ed il bucaniere uscirono cautamente in istrada.

      Pioveva sempre a dirotto ed un ventaccio impetuoso e quasi freddo sbatacchiava le finestre delle case e le monumentali insegne dei negozi.

      In lontananza si udiva l’oceano Pacifico muggire sinistramente e rompersi contro le calate del porto.

      – Quando ci rivedremo? – chiese don Barrejo.

      – Se domani avremo bisogno di te, segui il ragazzetto indiano che ti ha portata la nostra lettera, – rispose Buttafuoco. – Intanto noi cercheremo il modo di sbarazzarti al piú presto del fiammingo per non comprometterti e…

      Il bucaniere si era bruscamente interrotto, mettendo mano alla spada.

      – Chi si avanza? – si chiese con inquietudine.

      Degli uomini, cinque o sei, tutti chiusi in cappe grigie e che tenevano in mano delle lanterne, s’avanzavano verso la taverna, borbottando delle preghiere.

      – Un funerale a quest’ora? – si domandò Mendoza.

      Subito però ruppe in uno scroscio di risa. Aveva capito di che cosa si trattava.

      – La polizia ha avvertito il Padre Superiore del vicino convento che la tua cantina è infestata dagli spiriti ed ecco i frati che giungono solleciti per benedire le tue botti d’acqua santa.

      “Fa’ loro buona accoglienza e cavatela come puoi. Signor Buttafuoco, filiamo!…”

      I due avventurieri si allontanarono velocemente, mentre i sei frati, preceduti da un sagrestano zoppo, che reggeva un grosso recipiente di acqua santa, si fermavano dinanzi alla taverna.

      Avevano appena svoltato l’angolo della via, quando un uomo, che fino allora era rimasto confuso colla fitta ombra proiettata da un vecchio porticato, si slanciò sulle loro tracce.

      Capitolo IV. LA SCOMPARSA DELLA CONTESSA DI VENTIMIGLIA

      Il bucaniere ed il filibustiere, messi in buono umore dai vini tracannati alla cantina d’El Moro, se ne andavano tranquillamente per la loro via, prendendosi filosoficamente la pioggia torrenziale, la quale si ostinava a non cessare.

      Né l’uno né l’altro si erano accorti dell’uomo che si era lanciato sulle loro tracce e che, passando attraverso a delle viuzze note a lui solo, cercava di sopravanzarli.

      Il ventaccio rumoreggiava sui tetti delle case, facendo, di quando in quando, volare delle tegole e rovinare il comignolo di qualche camino. I tuoni ed i lampi si univano alle raffiche che l’oceano Pacifico, diventato oceano rabbioso, scaraventava con inaudita violenza sulla città addormentata.

      Avevano percorse già una decina di vie fangose e sfondate, poiché in quell’epoca gli spagnuoli non si curavano gran che della viabilità, occupati come erano a difendersi dai continui attacchi dei filibustieri, che interrompevano i loro fiorenti commerci, quando giunsero dinanzi ad una casetta a due piani, di bell’aspetto, sulla cui porta si leggeva, su una insegna monumentale, il seguente titolo:

      Posada del Rio Verde

      – Ci siamo, – disse Mendoza. – Che la señorita Ines di Ventimiglia ci aspetti ancora?

      – Ha nelle sue vene sangue indiano, – rispose Buttafuoco. – Abbiamo fatto però tardi.

      – Vedo brillare un lume attraverso le persiane d’una finestra. O la señorita o il mio fido bucaniere Wandoe, vegliano:

      Stavano per avvicinarsi alla porta dell’albergo, quando un uomo tutto avvolto in un ampio ferraiolo, sbucò da una via laterale e con tanta furia da urtare malamente Mendoza.

      – Ehi, amico, avete bevuto? – esclamò il basco. – Girate al largo perché io ho l’abitudine di non farmi urtare due volte dal primo mascalzone che incontro di notte.

      Lo sconosciuto aveva fatto tre o quattro passi indietro e si era aperto il mantellone, dicendo:

      – Mi pare, caballero, che mi abbiate chiamato mascalzone, se non sono diventato sordo.

      – Ciò che vi auguro, di tutto cuore, – rispose il basco, ironicamente.

      – Giacché dunque non sono sordo, – riprese lo sconosciuto, – ho potuto raccogliere benissimo la vostra offesa.

      – E cosí?

      – Vorrei sapere con chi potrei incrociare la mia spada per vedere se sarà degno di me.

      – Chi siete voi dunque?

      – Don Ramon de los Montes, figlio d’un grande di Spagna.

      – Ah!… Figlio di papà!…

      – Scherzate meno e ditemi chi siete.

      – Io non sarò indegno di voi, don Ramon de los Montes, poiché io sono il conte don Diego de Alcalà y Veragrua e duca di Sabalioz.

      – E… l’altro? – chiese il figlio del grande di Spagna, o almeno quello che si spacciava per tale.

      – Non avendovi dato del mascalzone, signor de los Montes, preferisco per ora serbare l’incognito. Vorrei invece pregarvi se non sarebbe meglio rimettere a domani questa questione, che mi pare molto sospetta, poiché io credo voi figlio d’un grande di Spagna, quanto io sono figlio di Montezuma, il disgraziato imperatore del Messico.

      – Come!… – gridò lo sconosciuto, gettando a terra il mantellone e snudando rapidamente la spada. – Mi si dà del mascalzone, e poi si pongono anche in dubbio i miei titoli? ah!… Caramba!… Questo è troppo!…

      – Si direbbe che voi andate in cerca di questioni, – disse Buttafuoco, a cui era sorto un sospetto.

      – Canarios!… io sono l’uomo piú tranquillo del mondo, ma quando mi s’importuna allora divento anche uno dei piú terribili.

      “Qui si è insultato il figlio d’un grande di Spagna e qui il sangue scorrerà, signori miei, perché io sono ben risoluto a non lasciarvi andare indisturbati.

      “Se non volete battervi, seguitemi al piú vicino posto di polizia.”

      – Tu non sei altro che un miserabile avventuriero in cerca di colpi di spada, pessima canaglia, – disse Mendoza, estraendo a sua volta la spada.

      – O meglio pagato da qualcuno per darci delle noie, – aggiunse Buttafuoco. –