Emilio Salgari

Gli ultimi flibustieri


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in aria. Glielo avevi già detto tu che il marchese era ormai sulle vostre tracce.

      – A che ora ha lasciato la posada?

      – Verso le tre pomeridiane.

      – Ed è uscita con quell’uomo lí?

      – Si.

      – Ne sei ben certo?

      – Non posso ingannarmi, perché avevo già oggi osservato sul viso di quell’avventuriero una profonda cicatrice che pare prodotta da un colpo di draghinassa.

      – Mi stupisce però come la señorita non avesse intuito che si trattava d’un tradimento.

      – Nessuno poteva sapere in Panama che Buttafuoco era qui, – rispose Wandoe.

      – È vero anche questo. Che polizia ammirabile ha quel marchese! Ci ha portato un colpo mortale, tuttavia noi non siamo uomini da perderci di coraggio.

      “Occupati del ferito e curalo piú che puoi. Da lui sapremo dove ha condotto la contessina di Ventimiglia.

      “C’è il lume nel tuo gabinetto?”

      – Sí, amico.

      – Vieni Mendoza, – disse Buttafuoco.

      Aprirono una porta ed entrarono in una stanzina attigua, che serviva come di segreteria della posada, e come la prima camera era pure illuminata.

      Buttafuoco gettò via con dispetto il feltro ed il mantello e si sedette dinanzi ad un tavolo, prendendosi il capo fra le mani.

      Mendoza, che aveva scoperta sullo scrittoio una bottiglia, si era affrettato ad impadronirsene, per rimettersi meglio da tante emozioni passate.

      – Orsú, signor Buttafuoco, – disse il filibustiere empiendo due bicchieri. – Schiarite un po’ le idee con questo Porto, che Wandoe ha certamente serbato per noi. Verranno subito a galla come le sardine del mare dell’Olanda.

      – Io credo, mio caro, – rispose il bucaniere, – che noi abbiamo trovato un avversario degno di noi.

      “È vero che aveva dato molto da fare al figlio del Corsaro Rosso.

      “Se noi non riusciremo a riavere nelle nostre mani la señorita, potremo rinunciare all’eredità del Gran Cacico del Darien, poiché la presenza della figlia del Corsaro è assolutamente necessaria.”

      – Lo so, – rispose Mendoza. – I capi delle tribú non consegnerebbero il tesoro ai primi arrivati. Il difficile sta ora nello strapparla nuovamente al marchese di Montelimar.

      “Egli certamente aspettava pazientemente, da anni ed anni, il suo arrivo in Panama, per averla ancora una volta sottomano.”

      – Che il nostro passaggio attraverso l’istmo sia stato notato? Io mi sono rivolto piú di cento volte questa domanda.

      – E da chi? Chi poteva riconoscerci dopo sei anni d’assenza?

      – Eppure, come vedi, appena abbiamo messo i piedi in Panama abbiamo avuto intorno delle spie. Io non credo affatto che il marchese ti abbia riconosciuto mentre passeggiavamo sulle calate del porto.

      – Vi deve essere qui sotto un mistero, signor Buttafuoco. Io vorrei sapere innanzitutto il perché quel bucaniere inviato al conte di Ventimiglia dal Gran Cacico prima di esalare l’ultimo suo sospiro, ci abbia lasciati sbarcando sul continente, colla scusa di recarsi ad avvertire le tribú del Darien dell’imminente arrivo della principessa.

      “Non avete mai notato qualche cosa di doppio in quell’uomo?”

      – Piú di quanto tu credi, – rispose Buttafuoco.

      – Che sia stato lui a tradirci per impadronirsi da solo del tesoro?

      – Può darsi, Mendoza; però io conosco gl’indiani, so quanto sono cocciuti e non rimetteranno l’eredità del Gran Cacico che nelle mani della señorita.

      – E come faranno a riconoscerla?

      – Da un tatuaggio misterioso che la contessina porta su una spalla e che sarebbe come una specie di timbro reale.

      – Allora siamo al sicuro contro qualunque mistificazione.

      – Oh!… Per questo sí, – rispose il bucaniere. – A noi ora non resta che far perdere nuovamente le nostre tracce alle spie del marchese ed ai suoi sicari, e cercare di metterci al piú presto in relazione con Raveneau de Lussan, poiché senza l’aiuto dei filibustieri non potremmo raggiungere le grandi selve del Darien.

      In quel momento entrò Wandoe portando un’altra bottiglia e dei bicchieri.

      – Come va dunque il ferito? – chiese Buttafuoco.

      – L’uomo è robusto e la lama non ha offeso alcun organo importante. Fra dieci o dodici giorni quell’uomo sarà perfettamente ristabilito.

      – La botta era troppo alta, – disse Mendoza, con un certo rammarico.

      – Non dolertene, – gli disse Buttafuoco. – Quest’uomo sarà piú prezioso vivo anziché morto.

      Quindi, rivolgendosi verso il padrone della posada, gli disse:

      – Hai degli amici nel porto?

      – I filibustieri che hanno ormai rinunciato al loro pericoloso mestiere non mancano.

      – A noi occorre una casetta isolata e non sospettata, per poter agire a nostro agio. Ormai non possiamo soffermarci né qui né alla taverna di don Barrejo.

      – Ho l’affar tuo, – rispose Wandoe, dopo d’aver pensato un momento. – Prima di mezzodí tu avrai una modesta casetta e, se vorrai, anche una buona barca da pesca.

      “Il proprietario dell’una e dell’altra è un ex-filibustiere di David, graziato dagli spagnuoli e che ora fa il pescatore, ma in fondo è rimasto sempre un figlio della Tortue.”

      – Non ti domando di piú. Questa sera noi prenderemo possesso dell’alloggio e vi trasporteremo i due prigionieri.

      – E come? – chiese Mendoza.

      – Lascia fare a me, mio caro basco, e vedrai che noi la faremo bella alle spie del marchese di Montelimar.

      “Wandoe, hai sempre quel vispo ragazzo indiano?”

      – Sempre, amico.

      – Dammi una penna ed un calamaio per scrivere a don Barrejo. Scommetto che quando riceverà la mia lettera, quel pazzo di guascone riderà tanto da slogarsi le mascelle.

      Capitolo V. IL VIAGGIO STRAORDINARIO D’UNA BOTTE

      Scappati via Buttafuoco e Mendoza, il guascone era rimasto solo in mezzo alla strada, sotto la pioggia torrenziale, guardando con una certa ansietà i sei frati che indossavano delle cappe grigie e che portavano dei ceri fumosi, i quali resistevano ostinatamente all’acqua.

      Il venerando drappello formato da barbe grigie, come abbiamo detto, era preceduto da un sagrestano zoppo che procedeva con delle strane mosse da ranocchio e che reggeva un secchio pieno d’acqua santa.

      Il povero guascone sarebbe stato ben lieto di chiudere la porta in viso ai frati, quantunque buon cristiano, e di andarsene subito a dormire, ma a quei tempi non c’era da scherzare coi religiosi ed una qualunque offesa si poteva pagare assai cara.

      Costretto a fare buona cera suo malgrado, don Barrejo, invece di chiudere la porta, spalancò i due battenti e ricevette cortesemente le sei barbe grigie, baciando ad ognuna di esse il cordone per mostrarsi buon cristiano.

      – A che cosa devo l’onore della vostra visita ad un’ora cosí tarda, reverendi? – chiese. – Non vi è alcun morto qui da portare al cimitero.

      – Vi sono però dei fantasmi, – disse un frate rubicondo e grosso.

      – C’erano una volta.

      – Come, c’erano una volta!… – esclamò il frate, inarcando le sopracciglia. – È appena mezz’ora che è venuto da noi un ufficiale delle guardie ad avvertirci che la vostra