Emilio Salgari

Gli ultimi flibustieri


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avviluppate nei loro ampi mantelli, si accostarono, ed uno della comitiva, quantunque sembrasse abbastanza alticcio, chiese:

      – Si può bere una bottiglia?

      – Eccovi in buona compagnia, – disse l’ufficiale a Don Barrejo. – Queste brave persone non se ne andranno finché offrirete da bere.

      – E chi è che andrà in cantina a prendere le bottiglie se vi sono i fantasmi?

      – Come, vi sono i fantasmi nella vostra casa? – chiese un altro della comitiva, facendosi precipitosamente il segno della croce.

      – Si caballeros, e cosí terribili che hanno fatto scappare perfino le signore guardie.

      I nottambuli non ne vollero sapere di piú s’allontanarono correndo, mentre le guardie se ne andavano pure dall’altra parte rasentando i muri delle case.

      Don Barrejo attese che il rumore dei passi fosse completamente cessato, poi rientrò nella taverna e, mentre sua moglie si affrettava a chiudere, si gettò su una sedia ridendo a crepapelle e con tale fragore da attirare perfino l’attenzione dei due fantasmi, i quali non tardarono a comparire sulla porta della cantina, facendo svolazzare le candide tovaglie che li coprivano.

      – Vade retro Satana!… – gridò il guascone, impugnando una bottiglia. – Tu puzzi troppo di zolfo.

      Mendoza che era dinanzi, si sbarazzò delle tovaglie e si precipitò verso il tavolino, seguito da Buttafuoco, il quale, forse per la prima volta dopo tanti anni, si permetteva pure di ridere allegramente.

      – Rajo de Sol!… – esclamò il basco, afferrando pure lui una bottiglia che non era stata ancora interamente vuotata. – Ti proclamo, don Barrejo, il piú grande ed il piú furbo guascone che la terra degli spadaccini e degli avventurieri abbia allattato.

      – Sí, un brav’uomo, – confermò Buttafuoco, il quale cercava pure di bagnarsi la gola.

      – Sono scappati come lepri, – rispose don Barrejo. – Ah!… Che commedia, amici!… Io non so come abbia fatto a trattenere fino a questo momento le risa. Non ne potevo proprio piú.

      – Che ritornino? – chiese Mendoza.

      – Ecco quello che temo. Sono capaci di venire ancora qui accompagnati forse da una mezza dozzina di frati. Ecco quello che io temo, amici.

      “L’avventura non finirà certamente qui, anche perché il marchese di Montelimar vorrà sapere che cosa è successo del corpo o dell’anima di compare Pfiffero.

      “Questo fiammingo comincia a diventare pericolosissimo, anche se è ubbriaco morto. Vi pare signor Buttafuoco?”

      – Purtroppo prevedo dei grossi guai ora che il marchese ha dei sospetti su di noi e che ci fa pedinare dovunque dalle sue spie, – rispose il bucaniere.

      – Allora io ritorno sulla mia prima idea, disse il guascone. – Scendo in cantina, scoperchio la botte e ve lo getto dentro.

      “Per un ubbriaco deve essere una morte dolcissima quella di finire affogato dentro dieci ettolitri di Xeres.”

      Che poi dovresti gettar via, – disse Mendoza.

      – Ma che!… Domani lo ripesco, scavo una buca e lo seppellisco in qualche angolo della cantina. In quanto al vino vedrai che saprò venderlo egualmente, anche se ha conservato un morto per dodici ore.

      – Ah!… Canaglia!…

      – Oh!… I meticci e gl’indiani non hanno il palato raffinato.

      – No, – ripeté per la seconda volta Buttafuoco. – Io penso che quell’uomo potrebbe diventare per noi preziosissimo.

      “Se è, come sembra, il confidente del marchese di Montelimar, noi potremo sapere da lui molte cose preziosissime.”

      – E se domani il marchese manda altre persone a cercarlo? Se lo scoprono, mi appiccano, signor Buttafuoco.

      – Che non vi sia qualche nascondiglio nella tua cantina? – chiese Mendoza. – In casa non hai qualche granaio?

      Don Barrejo stette un momento silenzioso, poi picchiò un pugno sulla tavola, esclamando:

      – Ho trovato!… Anch’io ho scoperto l’America!…

      – Ehi, guascone, hai il cervello guasto? – chiese Mendoza. – Che i fantasmi abbiano fatta anche a te troppa impressione?

      – I cervelli dei guasconi sono chiusi dentro il cranio con due file di viti, amico, e non si rovinano cosí facilmente. Io ti dico che ho trovato un magnifico nascondiglio.

      – Udiamo, disse Buttafuoco.

      – Giorni fa ho acquistata una botte nuovissima, cosí ampia da contenerci tutti insieme e che io contavo di empire di mezcal. Prendo compare Pfiffero e lo caccio là dentro, cosí almeno non correrà piú il pericolo di morire gonfio di Xeres come un otre.

      – L’hai proprio colle botti tu! – esclamò Mendoza.

      – Non sono forse diventato un taverniere?

      – E se le guardie tornano non vi sarà pericolo che compare Pfiffero, come lo chiami tu, si metta ad urlare anche dentro la sua botte e ti tradisca?

      – Mai piú!…

      – E perché?

      – Perché appena mi accorgo che si sveglia, invece di dargli un bicchiere d’acqua zuccherata gli vuoto in gola una bottiglia intera di aguardiente e torno ad ubbriacarlo.

      Tu sei diventato piú feroce d’un caimano, dopo il tuo matrimonio, – disse Mendoza.

      – Ma no, signor mio, – protestò la bella castigliana, – anzi è diventato piú mansueto d’un agnello, il mio Pepito, dopo che si è sposato.

      – Lasciamo stare Pepito, che qui non c’entra affatto, ed occupiamoci subito di quel Pfiffero.

      “Approvate la mia idea?”

      – Se non c’è di meglio, cacciamolo pur dentro la botte per ora, – disse Buttafuoco. – Ve lo faremo rimanere d’altronde il meno che sarà possibile, poiché avremo noleggiata una scialuppa e fileremo in cerca di Raveneau de Lussan.

      – Bada di non ubbriacarlo troppo, quel povero diavolo, desse Mendoza. – Non vogliamo che muoia.

      – Per chi mi prendi? – rispose il guascone, – per l’ultimo taverniere che esiste in tutte e due le Americhe? Gli darò da bere solamente dell’aguardiente finissimo, che costa a me non meno di quattro piastre la bottiglia.

      – Sbrighiamo allora questo affare e poi andiamocene, – disse Buttafuoco. – La señorita Ines di Ventimiglia sarà molto inquieta e non si sarà certamente ancora coricata.

      – Come!… Vi riceve di notte? – chiese don Barrejo.

      – Non osiamo farci vedere di giorno. Le precauzioni non sono mai troppe quando si è impegnata una partita con un Montelimar.

      Presero i lumi e scesero nella cantina, giungendo ben presto all’estremità delle due file di botti.

      Colà si trovava un enorme recipiente che pareva una piccola torre messa a guardia dei Xeres, degli Alicanti e dei Malaga, capace di contenere nel suo interno, e senza alcuna difficoltà, almeno quattro uomini.

      – Come vedete la botte è proprio nuova, – disse don Barrejo, – quindi il Pfiffero non correrà alcun pericolo di asfissiarsi.

      Prese un martello e assalí i cerchi superiori, per smuovere le doghe e levare il coperchio. Mendoza e Buttafuoco lo aiutavano alla meglio, non essendo pratici in quel mestiere che il guascone invece conosceva ormai a fondo, forse meglio d’un bottaio.

      – Il nido è pronto a ricevere il merlotto, – disse don Barrejo, dopo alcuni minuti. – Andatemi a cercare il Pfiffero mentre levo il coperchio.

      Il disgraziato fiammingo russava beatamente sotto le botti come se si trovasse nel suo letto.

      Buttafuoco