Emilio Salgari

I misteri della jungla nera


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la giornata?

      – Sì, una verso la metà del meriggio, poi più nulla.

      – Da dove veniva?

      – Dal sud, padrone.

      – Hai mai veduto alcuna persona sospetta aggirarsi nella jungla?

      – No, ma Hurti mi disse d’aver veduto, una sera delle ombre sulle rive dell’isola Raimangal ed Aghur d’avere udito degli strani rumori provenire dal banian sacro.

      – Ah! dal banian! – esclamò Tremal-Naik. – Hai udito qualche cosa anche tu?

      – Forse. Cosa facciamo, padrone?

      – Aspettiamo.

      – Ma possono…

      – Zitto! – disse Tremal-Naik, stringendogli un braccio con forza tale da arrestargli il sangue.

      – Cos’hai udito? – mormorò il maharatto, battendo i denti.

      – Guarda laggiù, non ti sembra che i bambù della jungla si muovano?

      – È vero, padrone.

      Punthy fece udire per la terza volta il suo lamentevole urlo, che fu seguito dalle note acute del misterioso ramsinga. Tremal-Naik si strappò dalla cintura di pelle di tigre una lunga e ricca pistola incrostata d’argento e l’armò.

      In quell’istante un indiano, d’alta statura, seminudo, armato d’una sola scure, si slanciò fuori dai bambù correndo a rompicollo verso la capanna.

      – Aghur! – esclamarono ad una voce Tremal-Naik ed il maharatto.

      Punthy gli si slanciò contro urlando lugubremente.

      – Padrone!… pa… drone! – rantolò l’indiano.

      Giunse come un fulmine dinanzi alla capanna, barcollò come fosse stato colpito da un improvviso malore, stralunò gli occhi, gettò un grido strozzato come un rantolo e piombò fra le erbe come albero sradicato dal vento.

      Tremal-Naik gli si era precipitato sopra. Una esclamazione di sorpresa gli sfuggì.

      L’indiano pareva moribondo. Aveva alle labbra una spuma sanguigna, tutto il volto lacerato ed imbrattato di sangue, gli occhi stravolti e dilatati enormemente ed ansimava emettendo rauchi sospiri.

      – Aghur! – esclamò Tremal-Naik. – Che cosa ti è successo? Dov’è Hurti?

      La faccia d’Aghur, a quel nome si contrasse spaventosamente e colle unghie sollevò rabbiosamente la terra.

      – Padrone… pa…drone! – balbettò egli con profondo terrore.

      – Continua.

      – Sof… foco… ho corso… ah! padrone.

      – Che sia avvelenato? – mormorò Kammamuri.

      – No, – disse Tremal-Naik. – Il povero diavolo ha galoppato come un cavallo e soffoca; fra qualche minuto si sarà rimesso. —

      Infatti Aghur cominciava a ritornare in sé, ed a respirare liberamente.

      – Parla, Aghur, – disse Tremal-Naik, dopo qualche minuto. – Perché sei ritornato solo? Perché tanto terrore? Cosa è successo al tuo compagno?

      – Ah! padrone, – balbettò l’indiano rabbrividendo.– Quale disgrazia!

      – Il ramsinga l’aveva annunciata, – mormorò Kammamuri, sospirando.

      – Avanti, Aghur, – incalzò il cacciatore di serpenti.

      – Se l’aveste veduto il poveretto… era là, disteso per terra, irrigidito, cogli occhi fuor dalle orbite…

      – Chi?… chi?…

      – Hurti!

      – Hurti morto! – esclamò Tremal-Naik.

      – Si, l’hanno assassinato ai piedi del banian sacro.

      – Ma chi l’ha assassinato? Dimmelo, che io vada a vendicarlo.

      – Non lo so, padrone.

      – Narra tutto.

      – Eravamo partiti per cacciare una gran tigre. Sei miglia da qui, scovammo la belva la quale, ferita dalla carabina di Hurti, fuggì verso il sud. Seguimmo per quattro ore la sua pista e la ritrovammo presso la riva, di fronte all’isola Raimangal, ma non riuscimmo a ucciderla, poiché appena ci scorse si gettò in acqua approdando ai piedi del gran banian.

      – Bene e poi?

      – Io volevo ritornare, ma Hurti si rifiutava dicendo che la tigre era ferita e quindi una facile preda. Attraversammo il fiume a nuoto e giungemmo all’isola Raimangal, dove ci separammo per esplorare i dintorni.

      L’indiano s’arrestò battendo i denti pel terrore e divenne pallidissimo.

      – Calava la sera, – riprese egli con voce cupa. – Sotto i boschi cominciava a fare oscuro e regnava un silenzio funebre che metteva paura. Tutto ad un tratto una nota acuta, quella del ramsinga, rimbombò. Mi guardo d’attorno ed i miei occhi s’incontrano con quelli di un’ombra che si teneva a venti passi da me, semi-nascosta fra un cespuglio.

      – Un’ombra! – esclamò Tremal-Naik. – Un’ombra hai detto?

      – Sì, padrone, un’ombra.

      – Chi era? Dimmelo, Aghur, dimmelo!

      – Mi parve una donna.

      – Una donna!

      – Si, sono sicuro che era una donna.

      – Bella?

      – Faceva troppo oscuro perché potessi vederla distintamente.

      Tremal-Naik si passò una mano sulla fronte.

      – Un’ombra! – ripeté egli, più volte. – Un’ombra laggiù! Se fosse la mia visione?… Tira innanzi, Aghur.

      – Quell’ombra mi guardò per alcuni istanti, poi tese un braccio verso di me, invitandomi ad allontanarmi subito. Sorpreso e spaventato ubbidii, ma non avevo fatto ancora cento passi, che un urlo straziante giunse ai miei orecchi. Quel grido lo riconobbi subito: era quello di Hurti!

      – E l’ombra? – chiese Tremal-Naik, in preda ad una estrema agitazione.

      – Non mi volsi nemmeno indietro per vedere se era rimasta là, oppure scomparsa. Mi slanciai attraverso alla jungla colla carabina in mano e giunsi sotto al gran banian, ai piedi del quale, disteso sul dorso, vidi il povero Hurti. Lo chiamai e non mi rispose. Lo toccai, era ancora caldo ma il suo cuore non batteva più!

      – Sei certo?

      – Sicurissimo, padrone.

      – Dove era stato colpito?

      – Non vidi sul suo corpo ferita alcuna.

      – È impossibile!

      – Te lo giuro.

      – E non vedesti alcuno?

      – Nessuno, né udii alcun rumore. Io ebbi paura mi gettai nel fiume lo attraversai perdendo la carabina e riguadagnai la nostra jungla. Credo di aver fatto sei miglia senza respirare, tanto era il mio spavento. Povero Hurti!

      II. L’isola misteriosa

      Un profondo silenzio seguì la triste narrazione dell’indiano. Tremal-Naik, diventato ad un tratto cupo e nervosissimo, s’era messo a passeggiare dinanzi al fuoco, colla testa china sul petto, la fronte aggrottata e le braccia incrociate. Kammamuri, agghiacciato dal terrore, meditava aggomitolato su se stesso. Persino il cane aveva cessato di fare udire ii suo lamentevole urlo e s’era sdraiato a fianco di Darma.

      Le note acute del misterioso ramsinga strapparono il cacciatore di serpenti dalle sue meditazioni. Alzò il capo come un cavallo di battaglia che ode il segnale della carica, gettò un’occhiata profonda nella deserta jungla sulla quale ondeggiava allora