Emilio Salgari

La rivicità di Yanez


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– disse l’indiano avvicinandosi rapidamente – il rajah ti aspetta.

      – Di che umore è?

      – Stava già bevendo non so quale bottiglia di liquore giallastro. Come suo fratello, è un impenitente ubriacone che tornerà ben presto fra i pazzi.

      – Sa che io sono olandese?

      – Gliel’ho detto, e pare che si sia ricordato che in Europa esiste una nazione che si chiama Olanda, e che ha ricche colonie a Giava, a Sumatra ed al Borneo.

      – Meno male.

      Il dottore vuotò la pipa, tornò ad accomodarsi gli occhiali, e seguí il bramino entrando nella spaziosa tenda ormai piena di luce.

      Su un ammasso di ricchissimi tappeti e cuscini, ammucchiati abbastanza disordinatamente, stava coricato un indiano dalla pelle appena abbronzata, che poteva avere quarant’anni come sessanta.

      Il suo viso era consunto, la sua fronte solcata di rughe profonde, i suoi occhi nerissimi animati da uno strano lampo, quel lampo che si scorge nelle pupille dei pazzi.

      Non aveva né barba né baffi e nemmeno capelli.

      Vestiva elegantemente con una specie di lungo camice di seta bianca ricamato in oro, e stretto ai fianchi da un’alta fascia di velluto azzurro a lunghe frange d’oro, reggente una corta scimitarra coll’impugnatura d’oro scintillante di pietre preziose.

      In piedi aveva scarpe di cuoio rosso colla punta assai rialzata, ed anche quelle con ricami d’oro.

      – Altezza, – disse il bramino all’indiano, il quale pareva mezzo inebetito – ecco il parlamentario.

      – Ah!… – fece il rajah.

      Al suo fianco stava un ragazzo il quale teneva in mano una bottiglia ed un bicchiere ben capace.

      – Versami – gli disse. – Ho bisogno di raccogliere le idee.

      – O di offuscarle, Altezza? – chiese l’olandese. – Voi bevete troppo.

      Il viso di Sindhia prese una espressione selvaggia e fissò coi suoi occhi, quasi fosforescenti, l’olandese.

      – Che cosa dite voi? – chiese dopo un po’ di silenzio, facendo segno al ragazzo di porgergli subito la tazza.

      – Dico che voi bevete troppo.

      – Chi ve lo ha detto?

      – Tutti lo sanno, anche a Calcutta.

      – Ah!… Davvero? – disse il rajah con voce un po’ ironica. Afferrò il bicchiere colle mani tremanti, e lo vuotò d’un fiato.

      – Voi non lo crederete, signore, eppure io ora mi sento meglio e la mia memoria mi si è risvegliata d’un tratto.

      – Vi avverto che io sono uno dei piú famosi medici delle colonie olandesi – disse il signor Wan Horn, sedendosi su un cuscino senza attendere l’ordine del rajah.

      – Il bramino che funziona da mio segretario me lo ha detto. Voi siete un amico del Maharajah; non è vero?

      – Sí, sono un suo amico.

      – E anche di quell’altro che è venuto dal sud con quella tremenda colonna che i miei uomini non sono riusciti ad arrestare. Ah, che perdite ho subito io!…

      – Sí, sono amico anche di quello.

      – Chi è?

      – Un principe bornese che ha molte navi e migliaia e migliaia di soldati non meno valorosi di quelli che formano la colonna infernale.

      – Ah! … Mi ricordo! – esclamò il rajah, stringendo le pugna. – L’ho conosciuto, ed è stato lui che ha aiutato il sahib bianco e Surama a rovesciarmi dal trono. Non credevo che avesse tanta audacia da tornar qui.

      – Quell’uomo, Altezza, ha sfidato cento volte gli inglesi di Labuan e li ha quasi sempre vinti, o meglio schiacciati.

      – Ha vinto anche il mio primo ministro, in non so quale lago del Borneo. Sí, lo so, è un terribile uomo e io desidererei vivamente di averlo nelle mie mani.

      – Per farne che cosa, Altezza? – chiese l’olandese con accento un po’ ironico. – Vorreste dirmelo?

      – Per fucilarlo insieme col Maharajah se fosse possibile. Alla piccola rhani ci penserei poi io a ridurla nell’assoluta impotenza malgrado i suoi montanari.

      – Andate per le spicce, voi.

      – Io devo riconquistare il mio trono, sahib.

      – Che si dice spetti, per diritto, alla rhani anziché a voi.

      – Chi vi ha detto questo? – urlò Sindhia con voce arrangolata.

      – Conosco la storia dell’Assam, e so anche che voi avete ucciso vostro fratello con un colpo di carabina mentre gettava in aria una rupia sfidandovi a forarla.

      – Quel miserabile, completamente ubriaco, dopo aver ucciso a colpi di fucile tutti i suoi parenti che banchettavano tranquillamente nel cortile d’onore del palazzo reale, voleva spegnere anche me, e l’ho abbattuto.

      «Ero nel mio diritto di difendermi. Mi prometteva di lasciarmi vivere se avessi spaccata, con una palla, una rupia lanciata in aria da lui. Non fu la moneta che cadde, fu mio fratello, il quale aveva commessa l’imprudenza di darmi fra le mani una delle sue carabine.

      «Che cosa avete dunque da dire voi, sahib, di questo fratricidio?»

      – Io mi sarei pure difeso – rispose il prudente olandese.

      Sindhia mandò un grido di gioia.

      – Ecco il primo uomo bianco che mi dà ragione – disse dimenandosi come un pazzo e porgendo al ragazzo il bicchiere perché glielo riempisse. – Voi dovete essere veramente un gran medico.

      – Perché?

      – Perché capite le cose meglio degli altri – rispose l’ex rajah.

      – Può darsi.

      – Volete bere?

      – No, grazie non bevo che acqua.

      – L’acqua non dà nessuna forza.

      – Eppure, come vedete, Altezza, sono grasso e rubicondo, e peso forse il doppio di voi.

      Sindhia scosse la testa, tese la destra tremolante verso il ragazzo che gli aveva riempito il bicchiere, bevve qualche sorso fissando sempre l’olandese, poi gli chiese a bruciapelo:

      – Dunque si arrendono tutti?

      – Chi? – domandò Wan Horn.

      – Il Maharajah, il principe bornese e gli uomini che l’hanno accompagnato.

      – Adagio, Altezza. Che io sappia non ne hanno affatto l’intenzione.

      – E allora perché siete venuto qui?

      – Per farvi una proposta.

      – Dite, dite pure, gran dottore – disse Sindhia, sorridendo sardonicamente.

      – I miei amici lasceranno la capitale a vostra disposizione…

      – Quale capitale? – urlò Sindhia. – Non vi è piú una capitale nell’Assam.

      – Non vi mancano gli uomini per ricostruirla!…

      – E i denari?

      – Si dice che voi siete immensamente ricco.

      – Ah!… Ah!…

      – Cosí si dice nel Bengala.

      – Benissimo. Concludete, sahib.

      – Sono venuto a dirvi che il Maharajah ed il suo amico sono pronti a lasciarvi padrone del terreno, purché permettiate loro di raggiungere le montagne di Sadhja.

      – Morte di Siva!… Hanno il coraggio di farmi una simile proposta, mentre io li tengo ormai fra le mie mani?

      – Ne siete ben sicuro, Altezza?

      – Non