Emilio Salgari

Le tigri di Monpracem


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loro compagni, Sandokan si recò a poppa e stette alcuni minuti in osservazione, spingendo lo sguardo verso la baia, il cui specchio d’acqua si scorgeva fra uno squarcio della foresta. Cercava senza dubbio di scoprire l’incrociatore, ma questo pareva che non avesse osato spingersi troppo vicino alla costa, forse per la tema d’incagliarsi sui numerosi banchi di sabbia che colà si estendevano.

      – Egli sa di tenerci – mormorò il formidabile pirata. – Aspetta che noi usciamo nuovamente in mare per sterminarci, ma se crede che io lanci i miei uomini all’abbordaggio s’inganna. La Tigre sa anche essere prudente.

      Si sedette sul cannone, poi chiamò Sabau.

      Il pirata, uno dei più valorosi, che si era già guadagnato il grado di sottocapo, dopo d’aver giuocata venti volte la propria pelle, accorse.

      – Patan e Giro-Batol sono morti – gli disse Sandokan con un sospiro. – Si sono fatti uccidere sul loro praho, alla testa dei valorosi che cercavano di trascinare addosso alla nave maledetta. Il comando spetta ora a te e te lo conferisco.

      – Grazie, Tigre della Malesia.

      – Tu sarai valoroso al pari di loro.

      – Quando il mio capo mi comanderà di farmi uccidere, sarò pronto ad obbedirlo.

      – Ora aiutami.

      Radunarono le loro forze, spinsero a poppa il cannone e le spingarde, e le puntarono verso la piccola baia onde spazzarla a colpi di mitraglia, nel caso che le scialuppe dell’incrociatore avessero tentato di forzare la foce del fiumicello.

      – Ora possiamo essere sicuri – disse Sandokan. – Hai mandato due uomini alla foce?

      – Sì, Tigre della Malesia. Devono essersi imboscati fra i canneti.

      – Benissimo.

      – Aspetteremo la notte per uscire in mare?

      – Sì, Sabau.

      – Ci riuscirà d’ingannare l’incrociatore?

      – La luna si alzerà tardi assai e forse farà a meno di mostrarsi. Vedo alzarsi delle nubi dal sud.

      – Faremo rotta su Mompracem, capo?

      – Direttamente.

      – Ed invendicati?

      – Siamo troppo pochi, Sabau, per affrontare l’equipaggio dell’incrociatore e, poi, come rispondere alle sue artiglierie? Il nostro legno non è più in grado di sostenere un secondo combattimento.

      – È vero, capo.

      – Pazienza per ora; il giorno della rivincita verrà e ben presto.

      Mentre i due capi chiacchieravano, i loro uomini lavoravano con febbrile accanimento. Erano tutti valenti marinai e fra di loro non mancavano né i carpentieri né i mastri d’ascia.

      In sole quattro ore rizzarono due nuovi alberetti, raccomodarono le murate, turarono tutti i fori e rinnovarono le manovre, avendo a bordo abbondanza di cavi, di fibre, di catene e di gomene.

      Alle dieci il legno poteva non solo riprendere il mare, ma affrontare anche un nuovo combattimento, essendo state rizzate perfino delle barricate formate con tronchi d’albero, onde proteggere il cannone e le spingarde. Durante quelle quattro ore, nessuna scialuppa dell’incrociatore aveva osato mostrarsi nelle acque della baia.

      Il comandante inglese, sapendo con quali individui aveva da fare, non aveva creduto opportuno impegnare i suoi uomini in una lotta terrestre. D’altronde si credeva certamente sicuro di costringere i pirati alla resa o di ributtarli verso la costa, se avessero tentato di assalirlo o di prendere il largo. Verso le undici, Sandokan, che era risoluto a tentare l’uscita in mare, fece richiamare gli uomini che aveva mandati a sorvegliare la foce del fiume.

      – È libera la baia? – chiese loro.

      – Sì – rispose uno dei due.

      – E l’incrociatore?

      – Si trova dinanzi alla baia.

      – Lontano molto?

      – Un mezzo miglio.

      – Avremo spazio sufficiente per passare – mormorò Sandokan. – Le tenebre proteggeranno la nostra ritirata.

      Poi, volgendosi verso Sabau, disse:

      – Partiamo.

      Tosto quindici uomini scesero sul banco e con una scossa poderosa spinsero il praho nel fiume.

      – Che nessuno mandi un grido per qualsiasi motivo – disse Sandokan, con voce imperiosa. – Tenete invece bene aperti gli occhi e le armi pronte. Noi stiamo per giuocare una tremenda partita.

      Si assise presso la barra del timone, con Sabau a fianco e guidò risolutamente il legno verso la foce del fiumicello.

      L’oscurità favoriva la loro fuga. Non luna in cielo, anzi nemmeno una stella e nemmeno quel vago chiarore che proiettano le nubi quando l’astro notturno le illumina superiormente.

      Dei grossi nuvoloni avevano invasa la volta celeste, intercettando completamente qualsiasi chiarore. L’ombra poi proiettata dai giganteschi durion, dai palmizi e dalle smisurate foglie dei banani, era tale che Sandokan penava molto a distinguere le due rive del fiumicello.

      Un silenzio profondo, appena rotto dal lieve gorgogliare delle acque regnava sul quel piccolo corso di acqua. Non si udiva alcun sussurrio di foglie, non essendovi alcun alito di vento sotto le cupe volte di quei grandi vegetali e anche sul ponte del legno non si udiva alcun mormorio.

      Pareva che tutti quegli uomini stesi fra la prora e la poppa, non respirassero più, per tema di turbare quella calma.

      Il praho era già giunto presso la foce del fiumicello, quando dopo un lieve strofinìo s’arrestò.

      – Arenati? – chiese brevemente Sandokan.

      Sabau si curvò sulla murata e scrutò attentamente le acque.

      – Sì – disse poi. – Vi è un banco sotto di noi.

      – Potremo passare?

      – La marea monta rapida e credo che fra pochi minuti potremo continuare la discesa del fiume.

      – Attendiamo adunque.

      L’equipaggio, quantunque ignorasse in seguito a quale causa il praho si era fermato, non si era mosso. Però Sandokan aveva udito lo scricchiolìo ben noto delle carabine che venivano armate ed aveva scorto gli artiglieri curvarsi silenziosamente sul pezzo di cannone e sulle due spingarde. Passarono alcuni minuti d’angosciosa aspettazione per tutti, poi si udirono verso prora e sotto la chiglia degli scricchiolii. Il praho, sollevato dalla marea che montava rapida, scivolava sul banco di sabbia. Ad un tratto si liberò da quel fondo tenace, ondulando lievemente.

      – Spiegate una vela – comandò brevemente Sandokan agli uomini di manovra.

      – Basterà, capo? – chiese Sabau.

      – Per ora sì.

      Un momento dopo una vela latina venne spiegata sul trinchetto. Era stata dipinta in nero, sicché doveva confondersi completamente colle ombre della notte.

      Il praho affrettò la discesa, seguendo i serpeggiamenti del fiumicello. Superò felicemente la barra passando fra i banchi di sabbia e le scogliere, attraversò la piccola baia e uscì silenziosamente in mare.

      – Il vascello? – chiese Sandokan, scattando in piedi.

      – Eccolo laggiù, a mezzo miglio da noi – rispose Sabau.

      Nella direzione indicata si scorgeva confusamente una massa oscura, sopra la quale volteggiavano di quando in quando dei piccoli punti luminosi, certamente delle scorie sfuggite dalla ciminiera.

      Ascoltando attentamente, si udivano anche i sordi brontolii delle caldaie.

      – Ha i fuochi ancora accesi – mormorò Sandokan. – Egli adunque ci aspetta.

      – Passeremo inosservati, capo? – chiese Sabau.

      – Lo spero. Vedi nessuna