«Signor padrone, sono stato dal Papa e gli ho detto di non far lei Cardinale, perchè lei non ci è nato.» «Avete ragione» rispose Rosmini, sorridendo «ma non mi pare che toccasse proprio a voi di andarlo a dire al Papa.» Aggiungete finalmente le tre parole ch'egli rispose, sul letto di morte, a Manzoni singhiozzante: «che faremo noi senza di lei?» «Adorare, tacere, godere.» Voi ne sapete ora di questo spirito soave, umile, fine, profondo, più che non ve ne possano apprendere volumi di panegirici.
La santità sua fu radice e misura dell'altezza intellettuale ch'egli raggiunse. Vide la verità con il cuore puro prima di vederla con il genio. Questo fu straordinario. La nutrice di Rosmini giudicò ch'egli avesse a diventare un gran santo, perchè lo vide sorridere al momento del lavacro battesimale. Chi l'udì chiedere a due anni perchè mai l'improvviso bagliore di un lume oltre ad accecarlo gli facesse provare una scossa interna, avrebbe potuto divinare il grande filosofo. Conviene risalire ai Padri della Chiesa per incontrare altre nature umane così magnificamente ordinate nella trina unità dell'intendere, dell'amare, del volere. Il cuore di Rosmini è illuminato di ragione, il suo genio è illuminato di amore. Egli è avido di tutto il vero e tutto lo intende. Si profonda nell'algebra, è capace di pensare, viaggiando, un metodo nuovo per sciogliere le equazioni di secondo grado. Si profonda nella fisiologia, e i suoi compagni di Università lo antepongono al professore. Conosce l'ebraico, legge speditamente i papiri greci di Ercolano, intende il tedesco di Hegel. Porta senza parere una erudizione immensa. Nella filosofia del diritto cita 450 opere e non è uomo da citare di seconda mano. Non sdegna di leggere romanzi nè di studiare i fenomeni dell'ipnotismo. Indaga la natura divina, profunda Dei, con la potenza che si può vedere nella Teosofia: scruta profunda hominis, le regioni più oscure della natura umana, con l'acume che si può vedere nel Trattato della Coscienza. È insieme artista e poeta. Adora la pittura, afferma che se avesse più vite ne darebbe una intera ai pennelli. È poeta per il fuoco del sentimento, per il fervore dell'immaginazione. Nel verseggiare è minore di sè stesso; nell'illuminare la prosa d'immagini e di similitudini è uguale a sè stesso; nel creare sui confini della scienza umana ipotesi da gettar nell'ignoto, è maggior di sè. La sua concezione dell'universo fu concezione di credente, di filosofo e di grande poeta. Gli piacque credere nella generazione spontanea per dedurne che ogni atomo di materia è animato dall'origine, che la vita esiste già nella polvere prima di manifestarsi in un organismo. Tutto l'universo era per lui vivente, ma creato. Si figurava l'atomo in una forma piramidale che permette al principio animatore d'imprimergli un moto vorticoso. Al principio spirituale animatore attribuì la potenza di organizzare la materia, dottrina che trova un appoggio nei fatti ipnotici, nell'azione straordinaria che durante lo stato ipnotico un atto dello spirito esercita sull'organismo. Dieci anni prima che uscisse il libro di Darwin sull'origine delle specie ardì accennare all'ipotesi di un corpo animale fatto uomo invece della famosa statua di fango. Anche divinò, senza esperienze, i fenomeni telepatici. «Io sospetto» scrisse nella Psicologia «che nell'amicizia e nell'amore le anime stesse si sentano, le anime stesse esercitino scambievolmente qualche loro azione misteriosa.»
L'opera sua filosofica intera, tanto profonda nelle fondamenta, tanto solida nella struttura, tanto irradiata da intimi fulgori di sentimento e di fantasia, è veramente un poema sacro, in capo al quale si avrebbero a iscrivere le parole del suo autore ad Alessandro Manzoni: «Ciò ch'è divino e che luce nel seno del mistero è come il comune alimento pel quale il poeta e il filosofo vivono immortali.» Mi è impossibile, signori, esporvi il disegno di questo edificio che si chiama Sistema della Verità, e che Rosmini promise, sorridendo, di compiere in paradiso. Mi è altrettanto impossibile tralasciar d'indicarvene la pietra angolare. Malgrado la santità e il genio di Rosmini, malgrado le opere sue, la istituzione di un Ordine religioso, i servigi resi all'Italia, i suoi discepoli non avrebbero affrontato battaglie, umiliazioni e dolori: noi non ci saremmo raccolti in suo onore a Rovereto, nè io parlerei ora di lui per la terza volta se si trattasse della fama d'un uomo, dell'onore di una tomba e non della gloria di una verità. La pietra angolare del sistema filosofico di Rosmini è la dimostrazione che l'idea dell'Essere è il principio della intelligenza. L'idea dell'Essere, mediante la quale l'uomo può giudicare che le cose hanno la qualità di essere, ossia che sono, è il lume della ragione. È un lume implicito nel primo giudizio che l'uomo proferisce, quindi precede la prima sensazione di cui il soggetto ha coscienza, è anteriore alla intelligenza umana perchè la crea. L'Essere non è altro che la verità. La verità è dunque anteriore alla intelligenza umana perchè la crea. Appunto questo è il beneficio immenso che ci ha fatto Rosmini. Ha dato a tutti noi la visione razionale dell'Essere assoluto ossia la certezza razionale che vi è una verità infinita ed eterna, indipendente dall'uomo, origine della ragione umana; che le verità parziali, apprese dalla ragione umana nel lume del primo vero, non sono quindi proiezioni di lei, non peccano per un vizio radicale, insanabile, di relatività, ma sono certe in noi e fuori di noi. Questa è una grande forza che Rosmini ci ha dato contro lo scetticismo e le sue conseguenze. Il nostro dovere è di usarne, e urge, nell'ora presente, che noi ne usiamo perchè nell'ora presente la gente si burla dei filosofi, è vero, ma nello stesso tempo gli uomini e anche le donne fanno più che mai della filosofia per conto proprio. Ne fanno con pochissimo studio, con pochissimo sapere, e la maggior parte di queste filosofie private, nè solide, nè serie, riesce a base di scetticismo, il quale, nascosto o palese, si ripercote poi sulle energìe vitali e le abbassa. L'ora presente somiglia all'ora passata di quel sensismo contro il quale Rosmini insorse. La dottrina ch'eleva i sensi a soli maestri del vero ed esclude quindi l'assoluto, è alquanto scossa in teoria, ma il suo potere è tuttavia grande nel campo della politica dove si manifesta come opportunismo e regge la condotta di tutti i partiti con l'expedit e il non expedit; è grande nel campo del diritto penale, dove sostituisce il concetto di difesa al concetto di giustizia; è grande nel campo della scienza, dove nega il soprasensibile; è grande nel campo dell'arte, dove consacra i sensi a soli maestri della bellezza. Tutte queste manifestazioni di una dottrina di errore, noi, discepoli di Rosmini, siamo chiamati a combattere, ciascuno nel proprio campo e Rosmini non ci ha dato solamente un terreno fermo sul quale far testa, ci ha pure dato norme sicure per l'azione. Mettere in opera la verità: ecco la formola della morale rosminiana; dovunque e sempre corrispondere con l'azione alla verità: ecco la legge che noi dobbiamo proporci di seguire come uomini di scienza e come uomini di azione, come pensatori e come artisti. Operare la verità, per un artista, non è altro che conoscere con la mente la natura dell'arte e riconoscerla con l'opera. In questo concetto rosminiano, io, come artista, mi sono sentito libero dispositore della bellezza che appare ai sensi nella luce del sole e anche in certo modo negativo, nell'ombra; della bellezza che appare alla ragione nella luce del vero e del bene, e anche, in un certo modo negativo, nell'assenza di essi: della bellezza ch'è nella stessa anima mia come specchio della bellezza esterna, come idea, come fantasma, come amore. E se la visione delle cose belle conduce per via di ragionamento il discepolo di Rosmini a credere in un Essere vivente ch'è bellezza e dal quale ogni bellezza discende, il poeta perviene di slancio a tal fede nel palpito che l'oscuro tocco di questo Essere vivente gli suscita in cuore, come Shelley, rapito amante, cantò.
Signori! Io chiudevo pochi mesi addietro un mio breve studio su Antonio Rosmini esprimendo il voto che per opera di qualche ricco munifico o di qualche gruppo di uomini devoti alle dottrine del Roveretano sorgesse in Italia una cattedra di filosofia rosminiana. Permettetemi di ripetere questo voto davanti a voi. Uscendo dalla cripta del tempio di Stresa dove dorme la spoglia mortale dell'uomo che tanto vide e tanto amò, che tanta gloria diede alla Chiesa ed ebbe da infelici ministri di lei tanto dolore, pensavo a profetiche parole sue piene di fede nel trionfo del suo sistema: «Conviene che io muoia e marcisca sotterra. Allora sarà il tempo.» E pensavo quanto è da invocare nello stato presente d'Italia che quest'ora suoni. A minor prezzo che non si sarebbe sperato quando in faccia al golfo poetico dove Stresa siede tendevan la gola da Laveno i cannoni austriaci, l'unità politica della nazione si ottenne. Ma l'unità intellettuale che Rosmini, severo e acceso, ammoniva dover precedere l'altra, è più che mai desiderio e sogno. Unità intellettuale perfetta neppure si spera, neppure è compatibile con le condizioni della civiltà presente; tuttavia i dissidii che più fiaccano la mole malferma del nostro Stato e più turbano le anime potrebbero felicemente comporsi secondo principii di libertà e di verità, se un largo consenso avvenisse nelle dottrine di quell'uomo grande. Lavoriamo a creare un tale consenso e possano,