che gravan sempre sovr'essi, terribili, insistenti, mortali: la divisione e 'l dominio straniero. Ecco ciò che un lettore severo, un lettore che riferisca ogn'opera alla gloria e all'utilità della patria, le uniche non usurarie e generose davvero, potrebbe osservare riguardo alla scelta del soggetto; ma questa scelta non era nell'arbitrio dell'A. per la difficoltà de' tempi e de' luoghi, e gli è costato, ne portiam ferma opinione, mille volte più sforzo d'ingegno, il cercarlo e il combinarlo così, che se avesse fatto altrimenti. Discutiamo dunque sul piano com'è, senza cercare più oltre. Il sig. Manzoni volendo, e noi ne siamo convinti non solo, ma certi, anzi tratto ci proverebbe, non che così dovess'essere, ma che poteva essere solamente così.
«Questo fatto, sì breve, semplice e chiaro, ha però tali episodi e schiarimenti così allungati, che distraggon l'attenzione da esso. Quanto a questi ultimi, l'insistere che si fa, e nel bel principio dell'opera, su la inutilità de' decreti contro i bravi, basterà, crediamo, a provare, che le digressioni non son sempre nè felici, nè brevi. Quanto a' primi, quello della monaca di Monza fa accorgere che dovria finire molto più presto. Gli altri, la fame cioè, e il guasto prodotto dal passaggio degl'imperiali, e la descrizione della peste, nel tempo stesso che mostran la forza d'ingegno e di pennello di chi ha saputo dipingerli con sì terribile evidenza, potrebbero spingere su le labbra a più d'uno la breve, ma calzante sentenza: non erat hic locus. Le pagine che riguardano il cardinal Federigo sono protratte in modo da farci credere che l'autore temesse che quel prelato non fosse conosciuto abbastanza, e ne faccia perciò il panegirico; e quelle poi ove si parla del carattere e degli studi di don Ferrante, sembrano, e quasi per confessione dello stesso scrittore, veramente perdute. Ma vi sono due altri episodi, due, l'uno per la brevità, l'altro pel legame immediato alla narrazion principale, entrambi per verità di colori e per interesse fortissimo, la cui bellezza è rara veramente e mirabile; gli eventi del P. Cristoforo quand'era al secolo, e l'apparizione sulla scena dell'innominato. Peccato che il primo, a cui ci eravamo tanto affezionati, scompaia quasi al cominciare, e non ritorni che al finir dell'azione; e l'altro, il di cui carattere è gigantesco senz'essere esagerato, non produca qualche cosa di veramente straordinario e solenne come l'indole sua! Nella storia ciò accade sovente; ma nel romanzo, e sia pure storico quanto vuolsi, lo scrittore non ha il privilegio d'intendere con ogni sforzo all'effetto dell'arte?
«Da questo rapido cenno delle cose che ci sembrano mende nell'esecuzione del piano tale qual'è, può indursi che lo stile sia generalmente diffuso; e difatti a noi pare così. In quanto a lingua, l'A. ha, più spesso che non si vorrebbe, fatt'uso di parole, d'idiotismi e di maniere proprie del luogo ove l'avvenimento si compie. Omero formava la sua lingua maravigliosa da' differenti dialetti di Grecia, Dante da quelli d'Italia, ma questi due esseri straordinari erano i primi. Gli altri grandi venuti dopo di loro, non l'hanno più fatto, e la ragione n'è chiara; non ne avevan bisogno, nè credevano o bello o necessario tentare ciò che i tempi non concedevano più. Potrebbe aggiungersi anche, e senza tema d'errare, che la continua tendenza ad essere facile, e stretto il più che si può alla natura delle cose, abbia fatto trapassare d'un salto l'A. su certi modi, che appartengono alla lingua parlata sì, ma non sempre alla grammaticale.
«Rispetto allo scopo morale di questo lavoro, a noi sembra che sia e la purità del costume e la sommissione ai decreti della Provvidenza suprema; due grandi insegnamenti ambedue, il primo d'una utilità generale e che balza agli occhi d'ognuno, perchè limpido come la luce del sole; il secondo d'un immenso conforto nelle sventure, allorchè sono consumate e irreparabili, ma che può avere un'influenza rovinosa e veramente fatale nell'atto in che le sventure ti sovrastano o percuotono, essendo allora, com'è difatti, soggetto a tante interpretazioni ed applicazioni quanti sono i caratteri degli uomini, i loro interessi, le passioni, le circostanze di famiglia, di patria, di religione, etc. etc. Perchè, quale sulla terra può dirti sicuramente: – Questa sventura ti viene dal cielo, e convien rassegnarviti; questa no, e puoi e devi lottare contro di essa? – È forse che la lunga tolleranza de' popoli, riguardo agli atti crudelissimi e nefandi della prepotenza feudale e dell'inquisizione, deriva tanto da questo elemento astutamente impiegato, quanto dal timore che si ha d'una potenza stabilita, sia pure qualunque, e dalla naturale tendenza degl'individui alla calma, ove il moto offra un evidente pericolo. Gli ambiziosi vestano poi il manto dell'umiltà o quel degli onori, l'hanno, e spesso pur troppo! usato a lor fini privati: in altre parole, l'altare ed il trono, o meglio ancora, il potere spirituale ed il temporale, i quali per quanto altro possa parere a' poco veggenti, si collegano in essenza fra loro, e sono per ogni società costituita quello che l'anima e il corpo sono per l'uomo, hanno fatto di esso ciò che un avaro fa d'una mina d'oro o d'argento. In fine è tal arma che, secondo la man che la tratta, può essere spada e scudo a vicenda, può salvare un popolo dall'infamia del servaggio, e farvelo piegare vilmente. Ma ne' Promessi Sposi quest'elemento è esso presentato nella sua parte buona o cattiva? Noi oseremmo dare un tal giudizio, quando, non per induzione soltanto, ma per esperienza potessimo veramente sapere qual'è l'impressione che lascia nel comun de' lettori. Certo è intanto che nelle circostanze e ne' tempi che corrono, la virtù della rassegnazione non è quella che occorre alla nostra povera patria: la sua sventura può essere combattuta e vinta da una volontà forte e tenace, temprata dalla prudenza. Che se mai, oltre lo scopo che abbiam creduto dovere accennare, si dicesse che v'è quello anche di far conoscere i tempi e promovere il debito abborrimento contro i privilegiati, un giudice severo risponderebbe nel primo caso, che un tale ufficio tocca alla storia; e nel secondo, che è prodezza intempestiva l'aprire ferite in un corpo già da tanto tempo cadavere. La feudalità, questo mostro immanissimo, non somiglia all'idra della favola: le sue teste cadute nè si riprodusser finora, nè si riprodurranno mai più.
«Presentato ed accennato così il linguaggio della censura, ci si permetta ora passare alla seconda parte della critica, non meno utile e più piacevole a un tempo; nè faccia maraviglia il vedere lodato ciò che ci è parso finora dar luogo a qualche rigida osservazione; non v'ha cosa, che non possa offrire due aspetti. E primamente nella scelta di due protagonisti volgari, il sig. Manzoni ha mostrato avere un concetto, più sensato non solo, ma più generoso ed umano della generalità de' romanzieri presenti. Perchè mostrare di credere che qualche classe della società solamente meriti la menzione e gli onori dell'eloquenza, ed il resto, che pure è base di tutto e fa vivere queste classi medesime, debba essere condannato all'oblio? Strana contradizione questa con lo spirito del secolo e col vantare che fanno i più celebrati scrittori la dignità dell'umana natura, la quale col fatto paiono restringere poi a sola qualche frazione di uomini! Ne' Promessi Sposi le debolezze, gli errori, i vizi e i delitti de' potenti si presentano tai quai sono, e non con quell'aria d'amabile storditaggine, d'interesse e di grandezza quasi, di cui li adornano e li accarezzan sì spesso gli altri scrittori di simil genere; i quali, magnificando i tempi feudali, non sembrano neppur dubitare che posson mettere così in forse il loro titolo di promotori, sostenitori o fautori almeno de' dritti imperscrutibili che la natura ci accorda. Ma tranne il romanziere Britannico, che l'ha fatto con cognizione di causa, e con animo, per quanto esser mai possa, deliberato, gli altri, illusi non sappiamo da quale malia, hanno seguito la corrente, senza pensare ad altro scopo che alla novità; ma speriamo che siano per avvedersene in tempo. Il nostr'A. non è caduto in tal fallo; e per certo, leggendo quest'opera, nessuno risentirà mai la più picciola brama d'essere distinto da' suoi fratelli per qualche privilegio mostruoso, ereditato od usurpato sovr'essi.
«Intanto la ricchezza, la varietà, l'evidenza delle descrizioni, sono pregi che distinguono quest'opera dal principio alla fine. Gli episodi, quelli stessi che sono meno giustificabili, offrono tale abbondanza di cose, di pensieri, d'interesse, e tanta conoscenza del cuore umano, che appunto per questo distraggono dall'azion principale. Commove e desta un'ansia crescente il vedere con quali malizie fittissime la religiosa di Monza sia tratta a compiere l'intiero sacrifizio di sè, e non si può a meno, nel condannar le sue colpe, di sentirne un'affannosa pietà. L'ammutinamento de' Milanesi è descritto sì vivamente, le particolarità ne sono sì vere, che vedi agitartisi tutta quella calca su gli occhi, ne distingui i volti, ne ascolti la voce. L'ebbrietà perfino del povero Renzo non ti percuote meno dell'astuzia per la quale il bargello riesce a carpirgli il nome di bocca. Ma ciò che supera ogni lode è Lucia nel castello dell'Innominato. L'immagine d'un essere debole ed innocuo di fronte ad un altro sì formidabile e spietato, e la vittoria del primo, racchiudono in sè un profondissimo senso di morale, che fa palpitare d'un impeto di speranza e d'ardire, ed eleva ogni