ho pianto; come faceva, e forse più di quel che faceva, quello scellerato convertito. Scrissi a Vieusseux che leggendo quel tratto al mio curato, per quanto più giocatore che leggitore, più bevitore che uditore, lo feci piangere; ho anche sentito soffiarsi il naso, ho veduto far contorcimenti ad alcuno dei miei contadini (e non sono dei più delicati campagnoli), mentre glielo leggeva. Qualcheduno, che aveva sentito leggere i Promessi Sposi, una sera ha lasciato la partita dei quadrigliati per venire alla panca di cucina, che è la sala di riunione, per sentirmi leggere. Hanno tutti riso a Don Abbondio, ed hanno trovato il confronto subito: fra Galdino è tale quale fra Bonaventura di Radda, diceva un altro: certi miracoli senza sugo; ma sentito il pane del perdono di fra Cristoforo, silenzio, e pianto nascosto: perchè un contadino, che piange raramente, e soltanto perchè gli è morto il bue o l'asino, trova impossibile che si deva piangere sentendo leggere… Ma quel Conte zio! ne conosci tu con quel parlare misterioso? io sì. E quella sommossa di Milano! E Renzo che gli pareva aver fatto amicizia col Gran Cancelliere! E il Notaro, che dice che è per pura formalità che lo fa condurre in prigione! E la Monaca per forza! e che so io? Vi può esser egli più verità? più effetto? Io m'inquieterei come il Prior Albizzi con quei letterati che vogliono giudicarne letterariamente, o che vorrebbero far cambiare il romanzo perchè dicesse a loro modo. Quel libro mi pare che non possa appartenere alla parte letteraria: è un gran libro di morale; e tale, io crederei, da fare una rivoluzione come il Don Quichotte, se un libro potesse far cambiare gl'istinti del cuore umano».
Mentre Lapo de' Ricci, che era semplicemente un colto gentiluomo, non rifinisce di leggere il dialogo tra il Cardinal Federigo e l'Innominato, e quel dialogo gli strappa le lagrime; un letterato, e famoso, Francesco Domenico Guerrazzi, scrive, che del Cardinal Federigo «il Manzoni potè fare un santo, ma non avrebbe mai potuto farne un galantuomo»20. Non c'è che dire; tutti i gusti son gusti! Col P. Cristoforo invece fu benevolo; e in un bizzarro giro che la sua fantasia fece fare al Romanzo storico, menato che l'ha in Italia «per ricrearsi», lo conduce «pei colli della Brianza, dove conobbe Renzo e Lucia, prese tabacco nella scatola di fra Cristoforo21: un degno frate in verità, ma il Romanzo dentro un orecchio ai suoi amici susurrava sommesso, che tre quarti delle virtù del frate Cristoforo, Alessandro Manzoni le aveva tolte a nolo da lui»22.
Terenzio Mamiami, che era a Firenze nel 1827 quando vi andò il Manzoni, racconta: «io l'ho veduto impacciato fuor modo degli encomii infiniti che gli suonavano intorno. Rispondeva con parole poche ed avviluppate e arrossiva tuttavia a somiglianza di fanciulla. Spesso il Leopardi assisteva a codeste apoteosi. Ed io, vedutolo una sera rincantucciato e solo, mentre il fiore de' letterari e degli studiosi affollavasi intorno al Manzoni, lo incitai a manifestare quello che gliene paresse. Me ne pare assai bene, rispose, e godo che i Fiorentini non si dimentichino della gentilezza antica e dell'essere stati maravigliosi nel culto dell'arte». Aggiunge: «Pochi anni dopo io l'udivo in Firenze esprimere intorno al Manzoni questa riservata sentenza. Che l'avere eletto pel suo romanzo una dell'epoche più sventurate e servili delle storie italiane dee nascondere molte ragioni ed assai poderose23; ma certo non appariscono, e sembra invece uscire dal suo racconto la deplorevole conseguenza che del presente non bisogna zittire, dacchè gl'Italiani altre volte si trovarono molto peggio e l'Austriaco vale un oro a petto del Castigliano»24.
In due lettere, tutte e due dell'8 settembre '27, il Leopardi aprì l'animo suo al padre e allo Stella. A quest'ultimo scriveva: «Io qui ho avuto il bene di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama». E al padre: «Tra' forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l'Italia parla». Di nuovo al padre: «Ho piacere che ella abbia veduto e gustato il Romanzo cristiano del Manzoni. È veramente una bell'opera; e Manzoni è un bellissimo animo e un caro uomo». E al conte Antonio Papadopoli: «Ho veduto il romanzo del Manzoni, il quale, non ostante molti difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno; e tale ho conosciuto il Manzoni in parecchi colloqui che ho avuto seco a Firenze. È uomo veramente amabile e rispettabile».
Il barone Giuseppe Sardagna, il 25 febbraio del '28, dava questi ragguagli all'Acerbi, allora console austriaco in Egitto: «Manzoni scrisse un romanzo storico, I Promessi Sposi, di cui certamente avrete letto qualche cosa anche in Alessandria, giacchè suppongo che i giornali francesi almeno vi arrivino. Questo libro ebbe un successo universale in Italia. L'autore vendette unicamente mille copie della sua edizione originale, e se ne fecero già più di sei ristampe. In tutt'altro paese questa produzione bastava per far la sua fortuna: in Italia il suo profitto fu di lire seimila a stento»25. Col Sardagna si accorda il consigliere Federigo De Müller, che nel descrivere nelle proprie Memorie26 una visita fatta al Manzoni nell'agosto del '29, piglia a dire: «Gaetano Cattaneo mi raccontò che i Promessi Sposi non hanno reso al Manzoni più di 5000 franchi, mentre i librai ne hanno guadagnato centomila; che il Manzoni non volle mai decidersi a fare una seconda edizione per il suo editore, essendo d'opinione che vi sarebbe stato molto da migliorare, e in tal modo dovette essere spettatore che in tutte le più grandi città d'Italia si pubblicassero nuove edizioni e ristampe, tutte travisate». Infatti nel 1827 – l'anno stesso della prima comparsa de' Promessi Sposi– furono subito ristampati a Livorno da G.P. Pozzolini, col ritratto dell'autore; a Firenze da Gaetano Ducci; a Lugano dal Veladini; a Napoli co' torchi del Tramater. In Torino ne fece due edizioni Giuseppe Pomba; a Parigi li riprodusse due volte in italiano il Baudry; a Berlino vennero tradotti in tedesco dal Lessman. Nel '28 il Del Majno li ristampò a Piacenza, il Batelli a Firenze; il Pomba ne fece una terza edizione a Torino; il Baudry mise in vendita due altre sue edizioni a Parigi; dove furono pur pubblicate le due traduzioni in francese del Rey Dusseuil27 e del Gosselin; a Lipsia uscì alla luce la traduzione in tedesco del Büllow, a Pisa quella in inglese di Carlo Seven. In diciotto mesi si hanno dunque tredici ristampe, delle quali nove fatte in Italia, quattro a Parigi; e cinque traduzioni, due in francese, due in tedesco e una in inglese.
L'Elena, lo Zucchi e Gallo Gallina incominciarono a illustrare il Romanzo con tavole litografiche28. Nella festa da ballo in costume, data a Milano nel carnevale del '28 dal conte Bathiany, la quadriglia che destò maggiore entusiasmo fu quella di Don Rodrigo e dei bravi, anch'essa, insieme con gli altri costumi, riprodotta in litografia29. La Minerva Ticinese annunziava: «Quanto prima, con musica del maestro Caraffa, deve comparire sulle scene del Teatro italiano di Parigi un'opera tratta dal sì applaudito romanzo I Promessi Sposi»30.
II
Non senza il suo perchè il barone Sardagna si lusingava che l'Acerbi avesse avuto notizia dei Promessi Sposi dai «giornali francesi», quasi tutti concordi nel lodare il nuovo romanzo, a cominciar dal Mèmorial catholique, dove ne parlò il conte O'Mahony31, a venire alla Gazette de France. Quest'ultima tornò a discorrerne anche nel '32, quando uscì alla luce la bella traduzione in francese del Montgrand. «Ben mille romanzi ci furon regalati da due anni in qua» (son parole della Gazette) «ed è anche troppo se di tutta questa farraggine resterà un solo volume. Qual povera abbondanza mai! E sarà vero che fra tanti scrittori, pieni d'estro, di fantasia, di perizia nell'arte dello scrivere, non se ne trovi neppur uno che pigli scrupolosamente a investigare la feconda miniera de' nostri fatti domestici? E noi rimarremo così, noi la nazione più letterata del mondo, senza avere il nostro Walter Scott e il nostro Manzoni?» È un giudizio, come notava giustamente l'Eco di Milano, (che lo riportò traducendolo), «da fare insuperbire l'Italia, la quale ha dato i natali al Manzoni, e da convincerla che anche in paese straniero e rivale si rende giustizia ai geni della sua nazione ed ai loro capolavori»32. Proseguiva il giornale francese: «Vedete qua il Manzoni; si è impossessato degli annali del suo paese, e le rozze pietre