Cecilia fingendo un comico sgomento.—Se scuoti troppo l'ombrello, esso ne fa ancora una delle sue69 e torna a chiudersi.
–La gran disgrazia! Non si stava punto male lì sotto.
Anche questa volta Ferruccio credette d'essersi lasciata sfuggire una frase arrischiata anzichenò, e divenne rosso.
Cecilia gli lanciò un'occhiatina in cui c'era un fondo d'inconscia civetteria; poi, atteggiandosi a donna di proposito:—Orsù,—disse,—facciamo da gente soda il resto del cammino.
Ella passò di nuovo il braccio sotto a quello del suo cavaliere e gli si strinse addosso quanto più era possibile.—Così sarò al coperto con tutta la persona,—ella disse.
Ferruccio si sentiva intorno una specie d'inquietudine, un malessere non provato ancora; un malessere però così delizioso che in quel momento egli non l'avrebbe cambiato con nessuna cosa al mondo.
E Cecilia intanto, chinando verso di lui la leggiadra testina, gli parlava come non gli aveva parlato mai sino a quel giorno, come si parla, non già a un fanciullo che si prende per compagno di chiassi, ma a un giovinetto che può essere il confidente, l'amico.
A vedersi finalmente trattato da pari a pari da una ragazza che aveva quasi quindici anni e mezzo e ch'era bellina davvero, Ferruccio non capiva in sè dalla contentezza. Sulle prime era confuso, si impappinava, ma a poco a poco gli si sciolse lo scilinguagnolo e cominciò anch'egli a discorrere con un calore, con un'enfasi insolita.
Quante cose si dissero i due cugini sotto a quell'ombrello! Ricorsero i tempi dell'infanzia allorchè vivevano nella stessa città e passavano insieme molte ore della giornata, bisticciandosi spesso, tirandosi anche di tanto in tanto per i capelli, ma non potendo mai star divisi. Più tardi le famiglie erano andate ad abitar paesi diversi, e Cecilia e Ferruccio si rammentavano d'aver pianto dirottamente il giorno della separazione. Sì, certo, avevano pianto, avevano giurato di scriversi, ma poichè sapevano fare appena le aste, non c'era stato caso di mantener la promessa. Però Ferruccio era venuto sin da quell'autunno a passar le vacanze presso gli zii, e così negli autunni successivi. Era quella anche per Cecilia la più lieta stagione dell'anno. È vero, c'era stato un po' di raffreddamento quando Cecilia pareva voler diventare un campanile e Ferruccio invece non si decideva mai a crescere. Allora ella lo guardava proprio dall'alto al basso.70 Basta; ormai questa umiliazione era finita, e Cecilia riconosceva lealmente che Ferruccio non faceva punto una cattiva figura al suo fianco. Ma! Che peccato di non poter andar a braccetto tutto l'anno! Che peccato di non poter sempre confidarsi i pensieri intimi, i desiderii segreti, le piccole contrarietà della vita!
I due cugini sdrucciolavano nel patetico. Chi sa che cosa riserbava loro l'avvenire? Una serie di disinganni, una morte precoce forse… brr… l'idea sola faceva gelare il sangue.
–Non dirlo nemmeno, Cecilia,—esclamò Ferruccio.
–Ti dispiacerebbe davvero se io morissi?
–Oh che discorsi!—egli replicò fissandola con occhi umidi.
Ella, per risposta, gli premette dolcemente il braccio.
Questo dialogo sentimentale fu interrotto da una voce.
–Ehi, ragazzi, volete spicciarvi?
Era la signora Susanna la quale aspettava la figliuola presso la cancellata della villa ov' essi erano giunti senz'accorgersene.
–E adesso,—continuò la signora Susanna,—mi farete la grazia di spiegarmi perchè tenevate l'ombrello aperto? Son più di venti minuti che ha smesso di piovere.
–Ha smesso di piovere!—gridarono Cecilia e Ferruccio pieni di maraviglia.
–Ma sì.... Eravate nelle nuvole? Di Cecilia non mi stupisco; ella non sa mai dov' abbia la testa; ma tu, Ferruccio, vergogna! E in che stato siete! Col fango fin sopra i capelli! Su, presto, andate a mutarvi vestito, e poi subito a tavola. Tu, Ferruccio, consegna l'ombrello a Menico che lo riporti alla vecchia Marta. Già per quello che vi ha servito, si poteva fare a meno di prenderlo.71
–No, mamma, credilo, sotto quell'ombrello si stava benissimo,—disse Cecilia avviandosi a casa.
–Birichina!—le susurrò all'orecchio Ferruccio mettendosele al fianco.
VI.
IL GIURATO
L'ISTITUZIONE dei giurati è un mistero come un altro. Più si studia e72 meno si arriva a capirlo.
Difatti, a che serve fare un corso intero di giurisprudenza, subire esami, addottorarsi, avvocatarsi e, cominciando dal primo gradino del pretore, salire su su fino a giudice o presidente della Corte, quando un bottegaio, un farmacista, un negoziante d' olio, un venditore di fiammiferi all'ingrosso, vengono in Tribunale a pigliare il posto del vero giudice, e il loro verdetto, quale e' si sia,73 decide sommariamente della sorte dell'imputato?
Mistero!…
Perchè si crede e si deve credere che dodici o quindici persone, sprovviste per il solito d' ogni studio legale e d' ogni pratica forense, debbano essere più competenti, in un dibattimento grave e spesso complicatissimo, a emettere un giudizio retto e spassionato, di quello che potrebbero esserlo gli stessi magistrati, largamente forniti di studi, di criteri e d' esperienza?
Mistero!…
E perchè, per la medesima ragione, dovendo giudicare della gravità di un caso chirurgico, invece di chiamare un professore dello Spedale o un altro valente operatore, non si chiama il lattaio, il calzolaio o il tappezziere di casa?
Mistero!…
Perchè ostinarsi a cantare tutti i giorni la coscienza, la rettitudine e l'incorruttibilità della nostra magistratura, mentre poi, all'atto pratico,74 questa medesima magistratura così coscienziosa, così retta, così incorruttibile la facciamo controllare (il verbo è francese, ma il significato è italiano) da un' altra magistratura, apocrifa, posticcia, improvvisata?
Mistero!…
Perchè deve esser lecito strappare dalle sue consuetudini giornaliere un povero diavolo, il quale per venti o trent' anni non ha fatto altro che fabbricare o sapone, o camiciole di lana, o versi endecasillabi, per costringerlo a mascherarsi lì per lì da giudice di Tribunale, col pericolo che egli assolva innocentemente qualche arnese galerabile,75 e mandi all'ergastolo qualche malcapitato galantuomo?
Mistero, mistero, e sempre mistero! vale a dire76 tutte cose che si vedono fare, senza poterne capire la ragione ragionevole per cui si fanno.
–Che cos' è il giurato?
–Il giurato è un libero cittadino, condannato dalle libere istituzioni a far da urna, rigirandosi in bocca due pallottole, sopr'una delle quali è scritta la condanna, e sull'altra l'assoluzione dell' imputato. La prima pallottola che il giurato sputa, è quella che il vero giudice è tenuto a fare eseguire.
–Qual'è, per un giurato, la più grande afflizione di spirito?
–Quella di non saper mai a che ora potrà pranzare.
–Che fa il giurato, durante il dibattimento?
–Quando va a prendere il suo posto è rassegnato: dopo un' ora, è uggioso: dopo un' ora e mezzo, è impaziente: dopo un' ora e tre quarti, diventa atrabiliare: dopo due ore, finisce col credersi più infelice dello stesso imputato, perchè egli si sente già condannato, mentre l'altro ha sempre qualche speranza.
–Come si chiama la deliberazione del giurì?
–Verdetto.
–Questa parola significa forse l'obbligo nei giurati di colpire nel vero?
–Nossignore. Questa parola significa semplicemente "è vero che i giurati