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First Italian Readings


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nobili. Trovatemi, caro Fabrizio, fra le vostre aderenze un simile partito!

      –Ecco, le dirò quello che penso. Fra le mie aderenze conosco le terre dell'Orsolina;… essa le ha divise in quattro tenute; un vasetto di geranio, uno di reseda, un garofano e un rosaio. Non ha spese di coltura, perchè governa tutto da sè; non teme la grandine, perchè ad ogni minaccia li mette al coperto. Denaro non ha che quello che guadagna colle sue mani, ma siccome spende sempre meno di quanto guadagna, così ha sovente qualche risparmio da mettere alla banca del popolo. Conosco la signora B–, l'ho veduta quest'inverno a Milano; è bella, ma meno dell'Orsolina; si veste di velluto, ma lo trascina nel fango delle strade; ha carrozze e cavalli di lusso, cocchieri in parrucca, palchi in teatro, ma non so se le rendite della sua dote basteranno a pagare tutte le spese! È vero che i miei signori padroni non hanno bisogno di denaro,… e possono fare anche un matrimonio passivo, per il gusto d'avere una villa sul lago, una galleria di quadri… e un quarto di nobiltà. Alla mia Orsolina bastano i giardini pubblici e la galleria di Brera,84 nostre proprietà comuni, come cittadini milanesi,… e per la nobiltà l'Orsolina ha la sua parte, e tanto bella che non vorrebbe cederla per nessuna altra. Essa ha ereditato la medaglia del merito militare, che mio figlio ha guadagnata combattendo valorosamente nelle guerre per l'indipendenza della patria, e che morendo sul campo di battaglia ha mandata a sua sorella col mezzo d'un camerata ferito al suo fianco.

      Così dicendo, Fabrizio si asciugava gli occhi gonfi di lagrime, e non potè proseguire; le parole gli rimasero strozzate nella gola alla memoria di tanto sacrificio!

      Il padrone, parimenti commosso, lo guardava tacendo, quando s'aperse l'uscio, ed entrò nello studio il giovane Carlo.

      –Padre mio,—egli disse,—so tutto; il cassiere mi ha informato delle vostre intenzioni; io vengo ad aprirvi il mio cuore. Amo teneramente l'Orsolina, e le ho promesso di sposarla; essa è degna di portare il nostro nome, e sarà la provvidenza della nostra casa, come lo era la povera mia madre, che dal cielo approva la mia scelta. Voi non vorrete che io manchi alla parola d'onore, sagrificando anche il mio affetto. Ho tutta la venerazione per il signor B– di Como e sua figlia, ma rinunzio volentieri a tutte le loro ricchezze e sento che sarò più felice coll'Orsolina senza dote....

      –Come senza dote?—saltò su a dire Fabrizio un po' risentito.

      –Se parli con lui,—soggiunse il padre di Carlo, con mal dissimulata ironia,—sua figlia è più ricca della signora B–.

      –Sicuro,—rispose Fabrizio,—mia figlia appartiene alla classe che produce, e le signora B– alla classe che consuma. È facile tirarne le conseguenze. Se poi le doti morali sono da preferirsi alle materiali, chi più dell'Orsolina ha un cuor d'oro, una mente retta, un giudizio sano, un'anima onesta? È certo però che, per quanto possa essere profonda la sua affezione, essa non concederà mai la mano di sposa ad un giovane, che non abbia ottenuto il pieno consenso paterno, specialmente se questo giovane è ricco! C'è dunque realmente un pericolo, quello di passare per intriganti, o di veder mia figlia deperire per un amore infelice; noi non abbiamo altre ricchezze che l'onore e la salute, ma queste ci bastano per vivere e non abbiamo bisogno d'altro. Io condurrò mia figlia lontano da tale pericolo,… e da questo momento domando il mio congedo.

      Fabrizio era sincero ed era alieno dal conoscere il proprio valore. Bensì lo conosceva il padrone che fidava interamente il buon andamento della fabbrica sull'onestà e sull'attitudine del suo capo. La partenza di lui equivaleva ad un fallimento; un buon capo-fabbrica val più d'una ricca dote; il padre di Carlo si affrettò quindi a chiedere a Fabrizio la mano di Orsolina per suo figlio; e quando alle doti morali della futura nuora aggiunse anche il valore del padre di lei, s'accorse benissimo che se mantenendo la promessa del figlio aveva fatta una buona azione, aveva conchiuso, in pari tempo, anche un ottimo affare.

ANTONIO CACCIANIGA.

      IX.

      RIVELAZIONI D'UN'OSTRICA

      IL dotto naturalista signor X– si presentò all'Accademia scientifica di N– chiedendo d'essere ammesso a leggere in pubblica adunanza alcuni suoi studi. La domanda venne accolta favorevolmente da tutti i membri della presidenza, che lo invitarono a prender posto fra loro.

      –Ella ci fa un vero onore,—gli disse il presidente.—La stampa ci porta via il lavoro dei nostri soci che preferiscono presentarsi direttamente al pubblico. I pochi che danno la preferenza alla qualità sulla quantità degli uditori mostrano il loro acume. So che Ella studia molto....

      –Sì signore,—rispose il naturalista,—studio moltissimo… e non so nulla.

      –Troppa modestia.... Ora siccome dobbiamo inserire gli argomenti delle letture nell'ordine del giorno delle adunanze, la prego di voler favorirmi il titolo dei suoi studi.

      –Intendo di presentare all'Accademia… le rivelazioni d'un'ostrica.

      La presidenza non seppe rattenere uno scroscio di risa.

      –Il naturalista se ne trovò offeso.

      –Che cosa c'è da ridere!—egli chiese con indignazione.—Voi ascoltate seriamente le nenie dei vostri poetuncoli, i verbosi vaniloqui dei vostri filosofi, i fantastici sproloqui dei vostri teologhi, e non potete prendere sul serio le modeste rivelazioni d'un mollusco? Vi sorprendete forse perchè vi prometto le rivelazioni d'un acefalo? O credete che colui che non ha testa non possa pensare col cuore… o collo stomaco! Non avete mai veduto degli uomini che ragionano coi pugni? Mi fareste venir la voglia di darvi un saggio di argomentazioni persuasive col solo uso delle gambe.

      E così parlando si animava gradatamente, e vedendo che i dotti si facevano dei segni coi gomiti, e lo guardavano con paurosa diffidenza, la sua indignazione giunse al colmo. Si levò in piedi e disse:

      –Signori… voi ignorate che il sublime sta nel semplice. Voi siete un composto d'imbecilli… e d'idioti… io vi disprezzo, e vi scaccio da questo tempio della scienza, che profanate colla vostra dabbenaggine!

      E così dicendo alzò in aria una sedia, coll'evidente intenzione di rompere la testa ai membri della presidenza, che non volevano credere al linguaggio degli acefali.

      Tutti gl'illustri accademici se la svignarono85 per la porta più vicina.

      Allora lo sdegno furibondo del signor X– si sfogò sugli scaffali dei libri, rompendo le lastre, mandando in aria i volumi, le carte, i calamai, le lampade, e quanto gli cadde sotto mano. Poi discese le scale gesticolando; e si mise a passeggiare per la via con passi concitati, parlando da solo, e dimenando le braccia.

      Alcuni agenti di questura86 avvertiti dal presidente lo seguirono per qualche tempo e quando giudicarono di poterlo afferrare senza pericolo, gli saltarono addosso, lo legarono strettamente, e lo condussero al manicomio.

      Sorpreso dall'inaspettata violenza, rimase sbalordito, non oppose la minima resistenza, e si lasciò condurre macchinalmente; ma quando giunse davanti il portone del famoso ospizio, alzò gli occhi in atto di profondo disprezzo, ed esclamò:

      –Adesso capisco! è il caso attribuito a Salomone di Caus!87

*   *   *

      Pochi giorni dopo questo avvenimento l'Accademia tenne un'adunanza a porte chiuse, nella quale il dottore Z– fece delle comunicazioni intorno ad alcune sue recenti ricerche sulla pazzia.

      Risulterebbe da studi profondi, che gli uomini sono tutti più o meno matti… senza far eccezione delle donne. I pazzi rinchiusi nei manicomii sono varietà di poca importanza, che si trovano all'ospizio per circostanze fortuite. Non sono quasi mai i più pericolosi, tanto è vero che gli assassini, che non sono altro che pazzi, si consegnano alle prigioni, e molte volte con stupida barbarie si guariscono dalla malattia di cervello, coll'amputazione della testa!

      Il genio è un'esuberanza vitale, come molte altre manifestazioni intellettuali che passano per pazzie. Leggete senza pregiudizi le vite di tutti gli eroi, e vi troverete molti sintomi di pazzia. Ogni guerra offensiva è l'azione furiosa d'un pazzo seguito da migliaia d'altri pazzi. Ogni colpo di Stato che non mena al potere,