ghiaccio e ricadde nella medesima posizione di prima, incastrandosi ancora più a fondo. Improvvisamente un’altra tavola si spezzò sotto di lei e Gwen gridò sentendo che stava iniziando a cadere.
Si allungò in avanti e si aggrappò con forza alla fune con una mano e al polso di Steffen con l’altra. Le sembrava che le spalle le si stessero staccando mentre oscillava nel vuoto. Ora anche Steffen ondeggiava, così sporto oltre il bordo, le gambe intrecciate dietro di sé, rischiando al sua vita per evitare che lei cadesse. Le funi che si stavano per spezzare dietro di lui erano le uniche cose che li tenevano sospesi.
Si udì un ruggito e Krohn fece un balzo in avanti affondando le zanne nella pelliccia di Gwen e tirando indietro con tutte le sue forze, ringhiando e ruggendo.
Lentamente Gwen fu sollevata, un centimetro alla volta, fino a che riuscì ad aggrapparsi alle tavole del ponte. Si tirò su e giacque sul ponte, a faccia in giù, respirando affannosamente.
Krohn le leccò ripetutamente la faccia e lei si sentì così grata nei suoi confronti e in quelli di Steffen che giaceva accanto a lei. Era così felice di essere viva, di essere stata tratta in salvo da una morte orribile.
Ma improvvisamente si udì il suono di uno strappo e l’intero ponte fu scosso. Gwen si sentì gelare il sangue quando si voltò a guardare: una delle funi che tenevano il ponte legato al Canyon si era spezzata.
Tutto il ponte si muoveva a strattoni e Gwen guardò con orrore mentre anche l’altra fune, ora ridotta a un filo, si spezzava.
Gridarono tutti mentre metà del ponte si staccava dalla parete del Canyon e li faceva oscillare a tale velocità che Gwen poté a malapena respirare mentre volavano in aria, diretti a folle velocità contro la parete opposta del Canyon.
Gwen sollevò lo sguardo e vide una parete di roccia che le compariva davanti, e capì che nel giro di pochi istanti sarebbero morti nell’impatto, i loro corpi maciullati, e chiunque fosse sopravvissuto sarebbe comunque precipitato nel cuore della terra.
“Roccia, apriti. TE LO ORDINO!” gridò una voce densa di una primordiale autorità, una voce che Gwen non aveva mai sentito.
Si guardò alle spalle e vide Alistair, aggrappata alla corda, che teneva un palmo sollevato e teso verso la parete rocciosa che stavano per colpire. Dalla mano di Alistair si generava una luce gialla e mentre si avvicinavano al muro di pietra, mentre Gwendolyn già si preparava all’impatto, fu scioccata da ciò che accadde.
Di fronte ai suoi occhi la solida facciata di roccia del Canyon si tramutò in neve e quando tutti vi sbatterono contro Gwendolyn non sentì lo schianto delle ossa che si era aspettata. Sentì invece l’intero corpo immerso in un muro di neve morbida e leggera. Era gelida e la ricoprì completamente, entrandole negli occhi, nel naso e nelle orecchie, ma non le fece alcun male.
Era viva.
Rimasero tutti lì penzolanti, attaccati alla fune appesa in cima al versante del Canyon, immersi nel muro di neve, e Gwen sentì una mano forte che le afferrava il polso. Alistair. La sua mano era stranamente calda nonostante il freddo gelido che li circondava. Alistair in qualche modo aveva già afferrato anche gli altri e presto tutti, incluso Krohn, furono trascinati da lei, mentre si arrampicava lungo la fune come niente fosse.
Alla fine raggiunsero la cima e Gwen collassò sulla terra ferma, dall’altra parte del Canyon. Nel momento in cui lo fecero, quel che era rimasto della fune si spezzò e il ponte precipitò, scomparendo nella nebbia, verso il fondo del Canyon.
Gwendolyn rimase ferma lì, con il fiato corto, felice di trovarsi di nuovo sulla terra solida e chiedendosi cosa fosse appena accaduto. Il terreno era gelido, ricoperto di neve e ghiaccio, ma almeno era terraferma. Si trovava fuori dal ponte ed era viva. Ce l’avevano fatta. Grazie ad Alistair.
Gwendolyn si voltò a guardarla con un nuovo senso di meraviglia e rispetto. Era più che grata a lei per essere al suo fianco. La sentiva veramente come la sorella che non aveva mai avuto e aveva la sensazione di non aver visto che una parte del suo profondo potere.
Gwen non aveva idea di come avrebbero fatto a tornare dall’altra parte del Canyon, nell’Anello, una volta portata a termine la loro missione – sempre che ce la facessero – se mai avessero ritrovato Argon e fossero tornati. E mentre scrutava il muro di neve accecante davanti a sé, l’ingresso del Mondo Inferiore, ebbe il terribile presentimento che gli ostacoli più grossi dovessero ancora presentarsi.
CAPITOLO DUE
Reece si trovava presso il Passaggio Orientale del Canyon, le mani strette attorno al parapetto di pietra, e guardava con orrore oltre il precipizio. Riusciva a malapena a respirare. Non poteva ancora credere a ciò che aveva appena visto: la Spada della Dinastia, conficcata in un masso, era caduta oltre il bordo ed era precipitata roteando in aria, scomparendo inghiottita dalla nebbia.
Aveva aspettato e aspettato, pronto a sentire il tonfo o una scossa sotto i piedi. Ma con suo grande shock non era giunto alcun rumore. Forse il Canyon era senza fondo? Le voci al riguardo erano vere?
Alla fine Reece lasciò la presa sul parapetto, le nocche ormai bianche per lo sforzo, ricominciò a respirare e si voltò a guardare i suoi compagni della Legione. Stavano tutti lì – O’Connor, Elden, Conven, Indra, Serna e Krog – e anche loro guardavano il Canyon inorriditi. Tutti e sette erano immobili, incapaci di comprendere ciò che era appena accaduto. La Spada della Dinastia, la leggenda con la quale tutti loro erano cresciuti, l’arma più famosa al mondo, la proprietà dei re. E l’unica cosa rimasta con la capacità di mantenere lo Scudo.
Era semplicemente scivolata dalla loro presa ed era scesa verso l’oblio.
Reece sentiva di aver fallito. Sentiva di aver abbandonato non solo Thor, ma l’intero Anello. Perché non erano arrivati giusto qualche minuto prima? Appena qualche passo di anticipo e sarebbe riuscito a salvare la Spada.
Si rigirò a guardare l’estremità opposta del Canyon, la parte dell’Impero, e si preparò. Senza la Spada era ovvio che lo Scudo si sarebbe disattivato e quindi i soldati dell’Impero che si trovavano dall’altra parte avrebbero fatto presto irruzione dal loro lato, invadendo l’Anello. Ma accadde una cosa curiosa: mentre guardava, nessuno osò accedere al ponte. Uno dei soldati tentò, ma venne disintegrato.
In qualche modo lo Scudo era ancora attivo. Reece non capiva.
“Non ha senso,” disse Reece agli altri. “La Spada ha lasciato l’Anello. Come fa lo Scudo a funzionare ancora?”
“La Spada non ha lasciato l’Anello,” suggerì O’Connor. “Non è ancora passata dall’altra parte. È caduta giù dritta. È incastrata tra due mondi.”
“E allora cosa ne è dello Scudo se la Spada non è né qui né là?” chiese Elden.
Si guardarono tutti con sguardi dubbiosi. Nessuno di loro aveva la risposta: si trattava di un territorio inesplorato.
“Ma non possiamo andarcene e basta,” disse Reece. “L’Anello è salvo con la Spada dalla nostra parte, ma non sappiamo cosa accadrà se la Spada rimarrà la sotto.”
“Fino a che non sarà in nostro possesso, non potremo mai sapere se finirà dall’altra parte,” aggiunse Elden, d’accordo con loro.
“Non è un rischio che possiamo correre,” disse Reece. “Il fato dell’Anello dipende da questo. Non possiamo fare ritorno a mani vuote, da falliti.”
Reece si voltò a guardare gli altri, convinto.
“Dobbiamo recuperarla,” concluse. “Prima che lo faccia qualcun altro.”
“Recuperarla?” chiese Krog, esterrefatto. “Sei impazzito? E come pensi di poterlo fare?”
Reece si voltò e fissò Krog, che continuò a guardarlo con aria di sfida come sempre. Krog era veramente diventato una spina nel fianco per Reece, disobbedendo ai suoi ordini in ogni momento, sfidando ad ogni occasione la sua posizione di comando. Reece sentiva che stava per perdere la pazienza con lui.
“Lo faremo,” insistette, “scendendo fino al fondo del Canyon.”
Gli altri sussultarono e Krog si portò