in battaglia, non in una missione suicida. Le mie poche migliaia di uomini non potrebbero mai prevalere contro un intero battaglione di soldati di Andronico. Il nostro patto cambia. Puoi attaccarli da solo, io mi tengo comunque il tuo oro.”
Il generale dell’Impero si voltò e gridò spronando il proprio cavallo e partendo verso la direzione opposta, con tutti i suoi uomini alle calcagna. Presto scomparvero dall’altra parte della valle.
“Ha il nostro oro!” disse Akorth. “Non dovremmo seguirlo?”
Godfrey scosse la testa mentre li guardava scomparire.
“E che cosa ci guadagniamo? L’oro è oro. Non ho intenzione di rischiare la vita per esso. Lasciamoli andare. Ci sarà dell’altro.”
Godfrey si voltò e guardò l’orizzonte, il gruppo di uomini di Kendrick ed Erec che scomparivano in lontananza, cosa che gli stava più a cuore. Ora era senza riserve e si trovava ancora più isolato di prima. Sentì che tutti i suoi piani gli crollavano addosso.
“E adesso?” gli chiese Fulton.
Godfrey scrollò le spalle.
“Non ne ho idea,” rispose.
“Non dovresti dire una cosa del genere,” disse Fulton. “Ora sei un comandante.”
Ma Godfrey non fece che scrollare le spalle un’altra volta. “Dico la verità.”
“Questa cosa del guerriero è roba tosta,” disse Akorth, grattandosi la pancia mentre si toglieva l’elmo. “Non sembra funzionare come vorresti, giusto?”
Godfrey stava fermo a cavallo, scuotendo la testa e soppesando il da farsi. La sorte era girata in un modo che non aveva previsto un piano di riserva.
“Dobbiamo girarci e tornare indietro?” chiese Fulton.
“No,” Godfrey udì rispondere dalla sua stessa voce, sorprendendo addirittura se stesso.
Gli altri si voltarono a guardarlo, scioccati. Altri si avvicinarono di più per udire i suoi ordini.
“Potrò anche non essere un grande guerriero,” disse, “ma quelli laggiù sono miei fratelli. E li stanno portando via. Non possiamo tornare indietro. Anche se questo significa morire.”
“Siete impazzito?” chiese il generale Silesiano. “Tutti quegli ottimi guerrieri dell’Argento, dei MacGil, dei Silesiani, tutti insieme non sono riusciti a sconfiggere gli uomini dell’Impero. Come potete pensare che poche migliaia dei nostri uomini, sotto il vostro comando, possano farcela?”
Godfrey si voltò a guardarlo, irritato. Era stanco di essere messo in dubbio.
“Non ho mai detto che potremmo vincere,” ribatté. “Dico solo che questa è la cosa giusta da fare. Non li abbandonerò. Ora, se voi intendete girarvi e tornare a casa, sentitevi liberi di farlo. Li attaccherò da solo.”
“Siete un comandante senza esperienza,” disse accigliandosi. “Non avete idea di che cosa state parlando. Condurrete questi uomini a morte certa.”
“Lo so,” disse Godfrey. “È vero. Ma hai promesso di non mettere più in dubbio la mia parola. E io non ho intenzione di tornare indietro.”
Godfrey si portò diversi metri avanti, salendo su un promontorio in modo da poter essere ben visto da tutti i suoi uomini.
“UOMINI!” gridò con voce tonante. “So che non mi considerate un comandante provetto, come Kendrick, Erec o Srog. Ed è vero, non possiedo le loro abilità. Ma ho cuore, almeno all’occorrenza. E anche voi. Quello di cui sono certo è che quelli sono nostri fratelli, fatti prigionieri. E io stesso preferisco fare a meno di vivere, che rimanere a guardare mentre li portano via davanti ai nostri occhi per poi tornare a casa come cani, alle nostre città, aspettando che l’Impero venga a uccidere anche noi. Siatene certi: un giorno ci uccideranno. Ora possiamo morire tutti, sui nostri piedi, combattendo, attaccando il nemico da uomini liberi. Oppure possiamo morire in vergogna e disonore. A voi la scelta. Venite con me e, vivi o no, andrete verso gloria certa!”
Si levò tra i suoi uomini un grido, talmente entusiasta da sorprendere Godfrey. Sollevarono tutti le spade in aria e questo gli diede maggiore coraggio.
E gli fece anche capire la verità di ciò che aveva appena detto. Non aveva realmente pensato alle parole che pronunciava: era semplicemente stato trascinato dal momento. Ora si rendeva conto che aveva preso un impegno e se ne sentiva un poco scioccato. Il suo coraggio intimidiva lui stesso.
Mentre gli uomini erano ormai incontenibili sui loro cavalli, sistemavano le armi e si preparavano per l’ultimo attacco, Akorth e Fulton gli si avvicinarono.
“Un goccio?” chiese Akorth.
Godfrey abbassò lo sguardo e lo vide allungare un otre di vino. Glielo strappò dalle mani, gettò la testa indietro e bevve a grosse sorsate, fino quasi a svuotarlo interamente, senza quasi fermarsi per prendere fiato. Alla fine Godfrey si asciugò la bocca con il dorso della mano e porse nuovamente l’otre all’amico.
Cos’ho mai fatto? Si chiese. Si era impegnato, e con sé aveva vincolato gli altri, in una battaglia che non poteva vincere. Aveva pensato la cosa giusta?
“Non pensavo che avessi tanto fegato,” gli disse Akorth, dandogli una forte pacca sulla schiena e ruttando. “Bel discorso. Meglio che a teatro!”
“Avremmo dovuto chiedere il biglietto!” si intromise Fulton.
“Sono convinto che non ti sbagli,” disse Akorth. “Meglio morire in piedi che sulla schiena.”
“Anche se sulla schiena non sarebbe poi così male, se fosse nel letto di un bordello,” aggiunse Fulton.
“Ben detto!” disse Fulton. “Oppure che ne direste di morire con un boccale di birra in mano e la testa reclinata indietro?”
“Anche questa non sarebbe male,” disse Akorth, bevendo.
“Ma dopo un po’ credo che diventerebbe tutto noioso,” disse Fulton. “Quanti boccali può bere un uomo e quante donne può portarsi a letto?”
“Beh, un sacco se ci pensi bene,” disse Akorth.
“Ma nonostante tutto penso possa essere più divertente morire in un modo diverso. Non così noioso.”
Akorth sospirò.
“Bene, se sopravviveremo a tutto questo, almeno avremo un motivo per farci veramente una bella bevuta. Per una volta nella nostra vita, potremo dire di essercela guadagnata.”
Godfrey si voltò da un’altra parte, cercando di non dare retta al continuo chiacchiericcio di Akorth e Fulton. Aveva bisogno di concentrarsi. Era giunto il tempo per lui di diventare un uomo, di lasciarsi alle spalle astuti scambi di battute e scherzi da taverna. Era arrivato il momento di prendere decisioni reali, che avessero effetto su uomini reali in un mondo reale. Si sentiva una certa pesantezza addosso e non poteva fare a meno di chiedersi se anche suo padre si fosse sentito così. In qualche strano modo, anche se odiava quell’uomo, stava iniziando a provare una certa empatia con lui. E forse addirittura, con suo orrore, stava cominciando ad assomigliargli.
Dimenticando il pericolo davanti a lui, Godfrey venne sopraffatto da un impeto di sicurezza. Improvvisamente spronò il cavallo e con un grido di guerra si lanciò al galoppo verso la valle.
Dietro di lui si levò il grido di battaglia di migliaia di uomini e i passi dei loro cavalli gli riempirono le orecchie mentre lo seguivano.
Godfrey già si sentiva la testa leggera, il vento tra i capelli, il vino che gli dava alla testa mentre galoppava incontro a morte sicura, chiedendosi in cosa diavolo si fosse invischiato.
CAPITOLO CINQUE
Thor era in sella al suo cavallo, suo padre da una parte e McCloud dall’altra, Rafi poco più in là. Dietro di loro sedevano decine di migliaia di soldati dell’Impero, la divisione principale dell’esercito di Andronico, tutti disciplinati e pazienti in attesa di un ordine da parte di Andronico. Si trovavano tutti in cima a un crinale e guardavano verso l’Altopiano, con le sue vette ricoperte