Блейк Пирс

La moglie perfetta


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      Non riuscì a rilassarsi che qualche ora più tardi. Dopo la passeggiata per tornare alla casa dei Carlisle e la pausa obbligata lì, andarono finalmente a casa, anche se non prima di una necessaria fermata da Costco per fare la spesa dello stretto necessario. Jessie si immaginò gli sguardi colmi di disapprovazione delle sue compagne di brunch.

      Più tardi quella sera, mentre lei si lavava il viso e Kyle si spazzolava i denti, si erano già sufficientemente ripresi per poter commentare un poco la giornata.

      “Cos’è successo nella stanza segreta dove sei andato?” gli chiese. “Ti hanno fatto tirare giù le mutande e ti hanno dato dieci frustate?”

      “In effetti ero un po’ preoccupato di cosa ci potesse essere dietro a quella porta,” ammise Kyle mentre tornavano in camera da letto. “Ma si è rivelato essere essenzialmente un bar sport veramente ben fornito. C’erano delle partite alle varie TV e un cameriere che andava in giro a prendere ordinazioni, oltre a certi tizi che si mettevano o toglievano la divisa da golf.”

      “Quindi niente sala fumatori con tanto di brandy?” gli domandò, chiedendosi se avesse colto l’allusione.

      “Non che io abbia notato, anche se mi pare di aver visto Leonardo Di Caprio che se ne andava a zonzo per il camerino.”

      “Bel lavoro, marito mio,” disse Jessie soddisfatta mentre si metteva a letto. “L’hai capita.”

      “Grazie, mogliettina,” rispose lui, scivolando sotto alle coperte accanto a lei. “A dirla tutta, ho sentito che c’è una stanza per sigari da qualche parte là dentro, ma non sono andato a cercarla. Penso sia nascosta in qualche angolo esentato dalle regole “vietato fumare” del circolo. Ma scommetto che avrei potuto avere un brandy se l’avessi chiesto.”

      “Hai conosciuto qualcuno di interessante?” chiese Jessie scettica mentre spegneva la luce della camera.

      “Sorprendentemente sì,” rispose. “Erano tutti decisamente in gamba. E dato che due di loro stanno cercando potenziali investimenti, questo me li ha resi interessanti. Penso che quel circolo potrebbe essere una vera risorsa per questioni di affari. E tu?”

      “Erano tutte molto carine,” disse Jessie con esitazione, sperando che il buio della stanza nascondesse la sua fronte corrugata. “Molto amichevoli e tutte pronte con offerte di ogni genere di aiuto che io possa necessitare.”

      “Perché mi pare si sentire un ‘ma’ in tutto questo?”

      “No, è solo che all’improvviso mi sono trovata da sola con loro e non c’era una di queste donne che parlasse di cose diverse da bambini, scuola o famiglia. Nessun accenno a lavoro o altri eventi. Mi è solo sembrato tanto provinciale.”

      “Forse volevano solo evitare argomenti controversi durante un brunch in presenza di persone nuove?” suggerì Kyle.

      “Il lavoro è qualcosa di controverso oggigiorno?”

      “Non lo so, Jessie. Sei sicura di non interpretare in modo troppo esagerato un innocente convivio?”

      “Non sto dicendo che siano uscite da ‘La fabbrica delle mogli’ né niente del genere,” insistette. “Ma eccetto Mel erano tutte sfrenatamente narcisiste. Non sono sicura che ce ne sia qualcuna che si cura di riservare anche un singolo pensiero al mondo che scorre fuori dalle proprie finestre. Sto solo dicendo che dopo un po’ ho iniziato a sentirmi un pelo… claustrofobica.”

      Kyle si mise a sedere sul letto.

      “Questa frase mi suona familiare,” disse, la preoccupazione palpabile nella sua voce. “Non incazzarti con me. Ma l’ultima volta che hai parlato di una sensazione di claustrofobia è stato quando…”

      “Me la ricordo l’ultima volta,” lo interruppe lei seccata. “Questo non è lo stesso.”

      “Va bene,” rispose lui delicatamente. “Ma spero capirai se ti chiedo se sei a tuo agio con le tue medicine in questi giorni. Il dosaggio sta ancora funzionando? Pensi che dovresti magari fissare un appuntamento con il dottor Lemmon?”

      “Sto bene, Kyle,” rispose Jessie uscendo dal letto. “Non tutto ruota attorno a quello. Posso esprimere delle riserve senza che tu balzi ad affrettate conclusioni?”

      “Certo,” le disse. “Scusa. Torna a letto, dai.”

      “Parlo sul serio. Non eri lì. Mentre tu te ne stavi fuori a rilassarti con i ragazzi, io me ne sono stata con il sorriso plastico in viso mentre queste donne parlavano di passare il tempo al bar. Non è questione di medicinali. È una questione di “queste tizie sono orrende’.”

      “Scusa Jess,” ripeté Kyle. “Non avrei dovuto dare subito per scontato che fossero le medicine.”

      Jessie lo guardò, combattuta tra il perdonarlo o aspettare di farlo rodere ancora un po’. Decise di non seguire nessuna delle due opzioni.

      “Torno fra un paio di minuti,” disse. “Ho solo bisogno di rilassarmi. Se starai dormendo quando torno, ti dico buonanotte adesso.”

      “Va bene,” le disse con riluttanza. “Buonanotte. Ti amo.”

      “Buonanotte,” gli disse, dandogli un bacio nonostante la mancanza di entusiasmo in quel momento. “Anche io ti amo.”

      Uscì dalla camera da letto e girovagò per la casa, aspettando che la frustrazione si dissolvesse con il passaggio da una stanza all’altra. Cercò di levarsi dalla testa lo sdegno, ma quello tornava a infilarcisi di nuovo, innervosendola nonostante tutti i suoi sforzi.

      Si stava calmando abbastanza da poter tornare in camera, quando sentì lo stesso lontano scricchiolio della notte precedente. Solo che ora non era così distante. Seguì il suono fino a che pensò di scoprire quale ne fosse la fonte: la soffitta.

      Si era fermata nel corridoio sottostante, proprio sotto alla porta di accesso alla soffitta. Dopo un momento di esitazione, prese il cordino che apriva la porta e tirò. Lo scricchiolio risuonò decisamente più pronunciato.

      Jessie salì la scala di accesso il più silenziosamente possibile, cercando di non pensare a come questo genere di decisioni andassero sempre a finire male nei film dell’orrore. Quando fu salita in cima alla scala, tirò fuori il telefono e usò la torcia incorporata per perlustrare lo spazio. Ma a parte alcuni scatoloni vecchi e vuoti, non c’era altro. Lo scricchiolio si era interrotto.

      Jessie scese con attenzione, rimise a posto la scala e, troppo carica per dormire, riprese il suo nervoso girovagare. Alla fine si trovò nella camera da letto che avevano pensato di usare per il bambino, quando e se mai ne avessero avuto uno.

      Ora era vuota, ma Jessie poteva immaginare dove avrebbero messo la culla. La immaginava addossata alla parete opposta, con un giochino girevole sopra. Si appoggiò al muro e scivolò a terra fino a trovarsi seduta con le ginocchia piegate al petto. Le strinse con le braccia e cercò di rassicurare se stessa che la vita in questo nuovo e strano posto sarebbe andata meglio di quanto fosse sembrata fino ad ora.

      Sto interpretando tutto nel modo sbagliato?

      Non riusciva a fare a meno di chiedersi se fosse magari necessario dare un’aggiustatina alle sue medicine. Non era certa di essere stata troppo dura con Kyle, o se il suo giudizio sulle donne del Circolo Deseo fosse troppo severo. Era forse il fatto che Kyle si stava adeguando così facilmente a questo posto e che lei non era un riflesso della sua capacità di adattamento, o forse dipendeva dalla sua fragilità, o da entrambe le cose insieme? Lui sembrava già sentirsi a casa propria, come se vivesse lì da anni. Jessie si chiedeva se sarebbe mai arrivata a quel punto.

      Non era certa che il suo nervosismo dipendesse solo dal suo ultimo semestre di lezioni che sarebbe iniziato domani, costringendola a rituffarsi in un mondo fatto di stupratori, predatori di bambini e assassini. E poi non era sicura che quello scricchiolio che continuava a sentire fosse reale o esistesse solo nella sua testa. A questo punto non era più scura di niente. E questo la spaventava.