Луиджи Пиранделло

L'esclusa


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giù dall'Inglese – insinuò piano e quieto Niccolino, che se ne stava ancor presso la tavola, con gli occhi fissi su la tovaglia.

      Rocco stolzò alla voce, e si voltò, stordito da quel consiglio e dal vedere il fratello ancora lì, impassibile, sotto la lampada.

      – Da Bill? – gli domandò, accigliato. – E perché?

      – Io, nel tuo caso, farei un duello, – disse con aria semplice e convinta Niccolino, raccogliendo nel cavo della mano tutte le pallottoline arrotondate e andando a buttarle dalla finestra.

      – Un duello? – ripeté Rocco, e stette un poco a pensare, impuntato; poi proruppe: – Ma sì, ma sì, ma sì, dici bene! Come non ci avevo pensato? Sicuro, il duello!

      Dalla chiesa vicina giunsero i rintocchi lenti della mezzanotte.

      – Mezzanotte.

      – L'Inglese sarà sveglio.

      Rocco raccolse il cappello ammaccato dal pavimento.

      – Ci vado!

      II

      Per la scala, al bujo, Rocco Pentàgora rimase un tratto perplesso, se picchiare all'uscio dell'Inglese o a quello più giù d'un altro pigionante, il professor Blandino.

      Antonio Pentàgora aveva edificato quella sua casa, che pareva un torrione, a piano a piano. Al quarto, per il momento, s'era arrestato. Ma, o che la casa rimanesse veramente fuori mano, o che nessuno volesse aver da fare col proprietario, il fatto era che al Pentàgora non riusciva mai d'appigionarne un quartierino.

      Il primo piano era vuoto da tant'anni; del secondo una sola camera era occupata da quel professor Blandino, affidato alle cure della signora Popònica; del terzo, parimenti una sola, dall'inglese Mr H.W. Madden, detto Bill.

      Tutte le altre, qua e là, dai topi. Il portinajo aveva la dignitosa gravità d'un notajo; ma, cinque lire al mese; per cui non salutava mai nessuno.

      Luca Blandino, professore di filosofia al Liceo, su i cinquant'anni, alto, magro, calvissimo, ma in compenso enormemente barbuto, era un uomo singolare, ben noto in paese per le incredibili distrazioni di mente a cui andava soggetto. Aggiogato per necessità e con triste rassegnazione all'insegnamento, assorto di continuo nelle sue meditazioni, non si curava più di nulla né di nessuno. Tuttavia, chi avesse saputo all'improvviso impressionarlo, così da farlo per poco discendere dalla sfera di quei suoi nuvolosi pensieri, avrebbe potuto tirarlo dalla sua e farsene ajuto prezioso e disinteressato. Rocco lo sapeva.

      Uomo non meno singolare era il Madden, professore anche lui, ma privato, di lingue straniere. Dava a pochissimo prezzo lezioni d'inglese, di tedesco, di francese, bistrattando l'italiano. Piazza internazionale, dunque, quella sua fronte smisurata. I capelli aurei, finissimi, pareva gli si fossero allontanati dai confini della fronte e dalle tempie per paura del naso adunco, robusto; ma in cerca di loro, dalla punta delle sopracciglia serpeggiavano sù sù, come per andarsi a nascondere, due vene sempre gonfie. Sotto le sopracciglia s'appuntavano gli occhietti grigio-azzurri, a volta astuti, a volta dolenti, come gravati dalla fronte. Sotto il naso, i baffetti color di fieno, tagliati rigorosamente intorno al labbro. Nonostante la fronte monumentale, la natura aveva voluto dotare il corpo del signor Madden d'una certa agilità scimmiesca; e il signor Madden subito aveva tratto partito anche di questa dote: nelle ore d'ozio, dava lezioni di scherma; ma così, senz'alcuna pretesa, badiamo!

      Probabilmente neppur lui, povero Bill, avrebbe saputo ridire come mai dalla nativa Irlanda si fosse ridotto in un paese di Sicilia. Nessuna lettera mai dalla patria! Era proprio solo, con la miseria dietro, nel passato, e la miseria davanti, nell'avvenire. Così abbandonato alla discrezione della sorte, pure non s'avviliva. In verità, il signor Madden aveva in mente, per sua ventura, più vocaboli che pensieri; e se li ripassava di continuo.

      Rocco – come Niccolino aveva supposto – lo trovò sveglio.

      Bill stava seduto su un vecchio, sgangherato canapè davanti a un tavolino, con la gran fronte illuminata da una lampada dal paralume rotto; senza scarpe, teneva una gamba accavalciata su l'altra e dava morsi da arrabbiato a un panino imbottito, guardando religiosamente una bottiglia sturata di pessima birra, che gli stava davanti.

      Ogni mattone, in quella camera, reclamava la scopa e una cassetta da sputare per il signor Madden; reclamavano le pareti e i pochi decrepiti mobili uno spolveraccio; reclamava il letticciuolo dai trespoli esposti le solide braccia d'una servotta, che lo rifacessero almeno una volta la settimana; reclamavano gli abiti del signor Madden non una spazzola, ma una brusca, piuttosto, da cavallo.

      Le vetrate dell'unica finestra erano aperte; le persiane, accostate. Le scarpe del signor Madden, una qua, una là, in mezzo alla camera.

      – Oh Rocco! – esclamò con la barbara pronunzia, nella quale gargarizzava, schiacciava, sputava vocali e consonanti, con sillabazione spezzata, come se parlasse con una patata calda in bocca.

      – Scusa, Bill, se vengo così tardi, – disse Rocco, con faccia cadaverica. – Ho bisogno di te.

      Bill ripeteva quasi sempre le ultime parole del suo interlocutore, come per agganciarvi la risposta:

      – Di me? Un momento. È mio dovere di rimettere prima le scarpe.

      E guardò, sconcertato, la ferita su la fronte dell'amico.

      – Ho avuto una lite.

      – Non capisco.

      – Una lite! – urlò Rocco, additando la fronte.

      – Ah, una lite, benissimo: a strife, der Streite, une mêlée, yes, capito benissimo. Si dice lite in italiano? Li-te, benissimo. Che cosa posso io fare?

      – Ho bisogno di te.

      – (Li-te). Non capisco.

      – Voglio fare un duello!

      – Ah, un duello, tu? Benissimo capito.

      – Ma non so, – riprese Rocco, – non so proprio nulla di… di scherma. Come si fa? Non vorrei farmi ammazzare come un cane, capisci?

      – Come un cane, benissimo capito. E allora qualche… coup? Ah, un colpo – si dice? Sì, infallible, io te lo insegnare. Molto semplice, sì. Subito?

      E Bill, con una mossa da scimmia ben educata, staccò dalla parete due vecchi fioretti arrugginiti.

      – Aspetta, aspetta… – gli disse Rocco, turbandosi alla vista di quei ferracci. – Spiegami, prima… Io sfido, è vero? oppure, schiaffeggio e sono sfidato. I padrini discutono, si mettono d'accordo. Duello alla sciabola, poniamo. Si va sul luogo stabilito. Ebbene, che si fa? Ecco, voglio saper tutto, con ordine.

      – Sì, ecco, – rispose il Madden, a cui l'ordine, parlando, piaceva, per non imbrogliarsi; e si mise a spiegargli alla meglio, a suo modo, i preliminari d'un duello.

      – Nudo? – domandò a un certo punto Rocco, costernatissimo. – Come nudo? Perché?

      – Nudo… di camicia, – rispose il Madden. – Nudo il… come si dice? Le tronc du corps… die Brust… ah, yes, torso, il torso. O puramente, senza nudo, sì… come si vuole.

      – E poi?

      – Poi? Eh, si duellare… La sciabla; in guardia; à vous!

      – Ecco, – disse Rocco, – io, per esempio, prendo la sciabola; avanti, insegnami… Come si fa?

      Bill gli dispose bene, prima di tutto, le dita di tra le basette. Rocco si lasciò piegare, stirare, atteggiare come un automa. Si avvilì presto però in quelle insolite positure stentate. – Cado! cado! – e il braccio teso gli si stancava, gli s'irrigidiva; il fioretto, possibile? pesava troppo. - Eh! eh! olà! oilà, – incitava intanto il Madden. – Aspetta, Bill! – Nel dare quel colpo, il piede sinistro come poteva star fermo? E il destro, Dio! Dio! Non poteva più ritrarsi in guardia! A ogni movimento il sangue gli affluiva con impeto alla ferita della fronte. Intanto, alle pareti, i decrepiti mobili pareva che sussultassero, sbalorditi, agli sbalzi ridicoli delle