stretti, a lungo.
– Vàttene, vàttene… – diss'egli alla fine, angosciato. – Non voglio nulla… Voglio restar solo…
E la figlia obbedì, tremante ancora dalla tenerezza inattesa.
IV
Maria aveva ceduto a Marta la cameretta, in cui questa soleva dormire da ragazza. Nulla era mutato in essa, nulla di suo vi aveva messo Maria.
Era ancora lì quel caro armadietto dalle antiche pitture villerecce su gli sportelli, alle quali la pàtina veramente aveva più aggiunto che tolto. Era ancora lì il tavolinetto da lavoro della nonna dall'impial-lacciatura arsa e scoppiata da tanto tempo, da quella sera, in cui ella vi aveva lasciato cader sù il lu-me e per poco la fiamma non le si era appresa alle gonnelle. Ecco lì ancora, accanto al lettuccio d'ot-tone, l'acquasantiera di vetro e, sotto, la rametta di palma col nastro roseo, ora sbiadito.
C'era acqua santa in quella piletta? Oh, certo sì: Maria era tanto divota!
E al capezzale l'ECCE HOMO d'avorio, riparato da una lastra concava dentro la cornice ovale, nera; l'ECCE HOMO che una volta aveva chinato in segno d'assentimento il capo incoronato di spine a lei e a Maria accorse una dopo l'altra a supplicarlo per la madre colta da improvviso malore.
Marta non era mai stata superstiziosa; pure quel segno non le era uscito mai più dalla memoria, con lo strano sgomento nel sapere dalla sorella, alquanto tempo dopo, che anche a lei era parso di vedere l'ECCE HOMO chinare il capo in segno di assentimento.
Allucinazioni, certo! Ma, tuttavia, perché non osava adesso alzar gli occhi a guardare quell'immagine sacra al capezzale?
Non era davvero innocente? Aveva forse amato l'Alvignani? Ma via! Non le pareva neanche ammis-sibile che qualcuno potesse crederci sul serio. Tutto il suo torto consisteva nel non aver saputo re-spingere, come doveva, quelle lettere dell'Alvignani. Le aveva respinte, ma da inesperta, risponden-do… A ogni modo, non si sentiva in nulla, per nulla colpevole verso il marito.
Della furtiva corrispondenza epistolare aveva letto con interesse solo quella parte che si riferiva al caso di coscienza tanto grave, quanto ingenuamente da lei esposto all'Alvignani in risposta alle pri-me lettere di lui troppo filosofiche, per disgrazia, nella loro composta sentimentalità.
Delle frasi d'amore non s'era curata, o ne aveva riso, come di superfluità galanti e innocue. S'era in-somma impegnata tra loro due una polemica puramente sentimentale e quasi letteraria, la quale era durata così circa tre mesi, e di cui forse, sì, si era un po' compiaciuta, nell'ozio, nella solitudine in cui la lasciava il marito. Curando la forma, scegliendo le frasi come per un componimento scolastico, era orgogliosa di fronte a se stessa di quel segreto duello intellettuale con un uomo quale l'Alvignani, avvocato di grido, lodato, ammirato, corteggiato da tutta la città, che si preparava a eleggerlo depu-tato.
L'irrompere del marito nella camera, mentr'ella leggeva la lettera, nella quale per la prima volta l'Al-vignani s'era arrischiato a darle del tu, la scena violenta che n'era seguita, l'aveva stupita e spaventata tanto più, in quanto che si sentiva, leggendola, affatto calma e indifferente. Innocente, diceva lei.
A ogni donna onesta, che non fosse brutta, poteva capitar facilmente di vedersi guardata con strana insistenza da qualcuno; e se colta all'improvviso, turbarsene; se prevenuta della propria bellezza, compiacersene. Ora a nessuna donna onesta, nel segreto della propria coscienza, sarebbe sembrato di commettere peccato in quell'istante di turbamento o di compiacenza, carezzando col pensiero quel desiderio suscitato, immaginando in uno sprazzo fuggevole un'altra vita, un altro amore… Poi la vi-sta delle cose attorno richiamava, ricomponeva la coscienza del proprio stato, dei proprii doveri; e tutto finiva lì… Momenti! Non si sentiva forse ciascuno guizzar dentro, spesso, pensieri strani, quasi lampi di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili, come sorti da un'anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo? Poi quei guizzi si spengono, e ritorna l'ombra uggiosa o la calma luce consueta.
Senza volerlo, senza sapere precisamente in qual modo, si era trovata presa, avviluppata in un intrico.
Dalla paurosa sorpresa nel vedersi buttare dall'Alvignani la prima lettera e dalla incertezza tormentosa sul partito da prendere per impedire che colui seguitasse, non sapeva più come, ella – onesta, one-sta, figlia di gente onesta – ecco qua, era potuta man mano arrivare fino a quel punto, senza alcun so-spetto. Ah, quante imprudenze aveva commesso quell'uomo avanti che le buttasse la prima lettera e dopo! Ora le notava; ora se ne sentiva offesa.
Quelle tendine delle finestre dirimpetto non avevano requie: sollevate da una parte o dall'altra, poi d'un tratto abbassate; e certe subitanee scomparse dalla finestra, e certi segni del capo e delle mani… E aveva potuto ridere, allora, ridere di quell'uomo già maturo, rispettabile, che si rendeva davanti a lei così ridicolo, imbambolito…
Ma a qual mezzo avrebbe dovuto appigliarsi per fare che colui smettesse dal tormentarla? Compromettere il padre? il marito?
N'era esasperata, avvilita; e pur non di meno gli occhi le andavano sempre lì, alle finestre di-rimpetto, involontariamente, quasi per forza di legamento, lì… Usciva sovente, per sottrarsi a quella tentazione puerile; si recava per intere giornate alla casa paterna; e qua costringeva Maria a sonare, a sonar sempre la stessa cosa, una vecchia e mesta barcarola.
– Marta, ebbene?
E lei, sprofondata sul divano, rispondeva con voce flebile e gli occhi invagati:
– Sono lontano… lontano…
Maria rideva, e a Marta risonavano ora negli orecchi le risate schiette della sorella. E seguitava a ri-cordare, a rivedere col pensiero. Nel salotto entrava la madre, che le domandava del marito.
– Al solito… – le rispondeva lei.
– Sei contenta?
– Sì.
E mentiva. Non che avesse da ridire su la condotta di lui; ma ecco, le rimaneva in fondo all'anima un sentimento ostile, non ben definito; e non da ora: fin dal primo giorno della promessa di matrimonio, allor che a lei, ragazza di sedici anni appena, tolta dal collegio, agli studii seguiti con tanto fervore, Rocco Pentàgora era stato presentato come promesso sposo. Era un sentimento di vaga oppressione ricacciato dentro e soffocato dalle savie riflessioni dei genitori, che nel Pentàgora avevano veduto un partito conveniente, un buon giovine, ricco… Sì, sì; e lei aveva ripetuto come sue queste savie considerazioni della madre e del padre alle compagne di collegio dalle quali aveva voluto prendere commiato; come se da bambina tutt'a un tratto fosse diventata vecchia, provata e sperimentata nel mondo.
Qua e là le pareti della cameretta serbavano tuttavia alcune date scritte da lei: ricordi, certo, di anti-chi trionfi di scuola o d'ingenue feste tra amiche o di famiglia. E su quelle pareti e su tutti quegli og-getti umili semplici e cari pareva che il tempo si fosse addormentato e che ogni cosa là dentro ser-basse l'odore del suo respiro. E Marta col pensiero rifrugava nella sua vita di fanciulla.
Quante volte non aveva udito, standosene con gli occhi intenti e lo spirito vagante, quel crepitìo del-le prime piogge su i vetri delle finestre; quante volte non aveva veduto quella luce scialba, malinco-nica, nella cameretta raccolta, con la sensazione dolce nell'anima dei prossimi freddi, al declinare dell'autunno nuvoloso, dei brividori che fan le notti invernali, innanzi al mattutino?
Maria guardava la sorella, stupita di quella calma, e quasi non credeva agli occhi suoi, offesa nel cuore dall'indifferenza con cui Marta pareva si fosse ora acchetata alla sciagura, come se la tempesta non le fosse passata or ora sul capo. "Eppure non ignora" pensava Maria, "in quale stato s'è ridotto il babbo per causa sua!". E quasi piangeva dalla pena di non veder la sorella come avrebbe voluto, umile cioè, desolata, vinta nel suo cordoglio e inconsolabile, come nei primi giorni dopo il ritorno in casa.
Marta infatti non piangeva più. Dopo aver confessato tutto alla madre, tutto, fin nei minimi partico-lari, nei più intimi e segreti sentimenti, aveva sperato che il padre almeno, se non più il marito, le rendesse giustizia, e si rimovesse da quel proposito di non uscire più di casa, ch'era per lei, di fronte a tutto il paese, una condanna anche più grave di quella che il marito con sì poca ragione aveva volu-to infliggerle, scacciandola dal tetto coniugale.
Così