Луиджи Пиранделло

L'esclusa


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svegliato il professore Luca!

      Rocco si era abbandonato, rifinito, su una seggiola, con le braccia ciondoloni, la testa cascante, appoggiata alla parete; quasi in deliquio. Pareva, in quell'atteggiamento, che avesse già terminato il duello con l'avversario e ricevuto una ferita mortale.

      – Abbiamo svegliato il professor Luca, – ripeté Bill, guardando Rocco, a cui tale notizia pareva non arrecasse alcuna spiacevole sorpresa.

      – Andrò io dal Blandino, – diss'egli alla fine, levandosi in piedi. – Bisogna sbrigar tutto prima di domani. Il Blandino mi farà da testimonio. Addio; grazie, Bill. Conto anche su te, bada.

      Il Madden accompagnò col lume in mano l'amico fino alla porta; aspettò sul pianerottolo che il professor Blandino venisse ad aprire e, allorché la porta del secondo piano fu richiusa, si ritirò facendo un suo gesto particolare con la mano, come se si cacciasse una mosca ostinata dalla punta del naso.

      Luca Blandino accolse di malumore quella visita notturna. Borbottando, barcollando, introdusse Rocco per le altre stanze deserte, nella sua camera; poi, col barbone grigio abbatuffolato e gli occhi gonfii e rossi dal sonno interrotto, sedé sul letto con le gambe nude, pelose, penzoloni.

      – Professore, abbia pietà di me, e mi perdoni, – disse Rocco. – Mi metto nelle sue mani.

      – Che t'è accaduto? Tu sei ferito! – esclamò il Blandino con voce rauca, guardandolo con la candela in mano.

      – Sì… ah se sapesse! Da dieci ore, io… Sa, mia moglie?

      – Una disgrazia?

      – Peggio. Mia moglie m'ha… L'ho scacciata di casa…

      – Tu? Perché?

      – Mi tradiva… mi tradiva… mi tradiva…

      – Sei matto?

      – No! che matto!

      E Rocco si mise a singhiozzare, nascondendo la faccia tra le mani e nicchiando:

      – Che matto! che matto!

      Il professore lo guardava dal letto, non credendo quasi agli occhi suoi, ai suoi orecchi, così soprappreso nel sonno.

      – Ti tradiva?

      – L'ho sorpresa che… che leggeva una lettera… Sa di chi? dell'Alvignani!

      – Ah birbante! Gregorio? Gregorio Alvignani?

      – Sissignore – (e Rocco inghiottì). – Ora, capisce, professore… così… così non può, non deve finire! Egli è partito.

      – Gregorio Alvignani?

      – Scappato, sissignore. Questa sera stessa. Non so dove, ma lo saprò. Ha avuto paura… Professore, mi metto nelle sue mani.

      – Io? Che c'entro io?

      – Una soddisfazione, professore, io una soddisfazione certamente me la devo prendere, di fronte al paese. Non le pare? Posso restar così?

      – Piano, piano… Càlmati, figlio mio! Che c'entra il paese?

      – L'onore mio, professore! Le pare che non c'entri? Debbo difendere il mio onore… di fronte al paese…

      Luca Blandino scrollò le spalle, seccato.

      – Lascia stare il paese! Bisogna riflettere, ragionare. Prima di tutto: ne sei ben sicuro?

      – Ho le lettere, le dico, le lettere che lui le buttava dalla finestra!

      – Lui, Gregorio? come un ragazzino? Ma mi dici davvero? Ohi, ohi, ohi… Le buttava le lettere dalla finestra?

      – Sissignore, le ho qua!

      – Ma guarda, guarda, guarda… E tua moglie, santo Dio! Non è figlia di Francesco Ajala, tua moglie? Bada, caro mio, che quello è una bestia feroce… Adesso nasce un macello… Che m'hai detto? Che m'hai detto? Vah… vah… vah… Dalla finestra? Le buttava le lettere dalla finestra, come un ragazzino?

      – Posso contare su lei, professore?

      – Su me? Perché? Ah tu vorresti fare… Aspetta, figliuolo mio, bisogna ragionare… Mi hai tutto scombussolato… Non è possibile, adesso…

      Scese dal letto; accostò a Rocco e, battendogli una mano su la spalla, aggiunse:

      – Torna sù, figliuolo mio… Tu soffri troppo, lo vedo… Domani, eh? con la luce del sole. Ne riparleremo domani; ora è tardi… Va' a dormire, se ti sarà possibile… va' a dormire, figlio mio…

      – Ma mi prometta fin d'ora… – insisté Rocco.

      – Domani, domani, – lo interruppe di nuovo il Blandino, spingendolo verso l'uscio. – Ti prometto… Ma che birbante, oh! Le lettere gliele buttava dalla finestra? Bisogna aspettarsi di tutto a questo mondaccio, caro mio! Povero Roccuccio, ma guarda! ti tradiva… Sù, sù, andiamo…

      – Professore… non m'abbandoni, per carità! Conto su lei!

      – Domani, domani, – ripeté il Blandino. – Povero Roccuccio… la vita, eh? che miseria… Buona notte, figliuolo mio, buona notte, buona notte…

      E Rocco sentì chiudersi dietro le spalle la porta, piano piano, e restò al bujo, sul pianerottolo, in mezzo alla scala silenziosa, smarrito. Nessuno voleva più saperne, di lui?

      Sedette, come un bambino abbandonato, su i primi scalini della branca, presso la ringhiera, coi gomiti su le ginocchia e la testa tra le mani. Il bujo, il silenzio, la positura stessa gli strinsero il cuore, gli fecero cader l'animo in un avvilimento profondo. Contrasse il volto e si mise a piangere e a lamentarsi sommessamente:

      – Ah, mamma mia! mamma mia!

      Pianse e pianse. Poi si cercò in tasca e ne trasse una lettera tutta brancicata. Accese un fiammifero e si provò a leggere; ma avvertì su la mano il contatto di qualcosa umida, lievissima, un po' vischiosa; e alzò il fiammifero per veder che fosse. Un filo di ragno, lunghissimo, che pendeva dall'alto della scala. Si distrasse a guardarlo, e non avvertì al fiammifero che gli si consumava intanto tra le dita; si scottò e, al bujo, gridò più volte:

      – Maledetto! maledetto! maledetto!

      Accese un altro fiammifero e si mise a leggere la lettera, ch'era scritta di minutissimo carattere, su una carta cinerea, ruvida in vista. Lesse macchinalmente le prime parole: «Ti scrivo da tre mesi (son già tre mesi) e ancora…». Saltò alcuni righi; fissò lo sguardo su un «: Quando?» sottolineato, poi buttò il fiammifero e restò con la lettera in mano e gli occhi sbarrati nel bujo.

      Rivedeva la scena.

      Aveva sforzato l'uscio con un violento spintone, gridando: «La lettera! dammi la lettera!». Al fracasso, Marta s'era fatta riparo dello sportello aperto del grande armadio a muro presso al quale leggeva. Egli aveva tratto in avanti con forza lo sportello e le aveva attanagliato i polsi. «Che lettera? Che lettera?» aveva ella balbettato, guardandolo atterrita negli occhi. Ma la carta, spiegazzata nell'improvviso terrore e impigliata tra le vesti e un palchetto dell'armadio era caduta come una foglia secca sul pavimento. Ed egli, nel lanciarsi a raccoglierla, s'era ferito alla fronte, urtando contro lo sportello aperto dell'armadio. Accecato dall'ira, dal dolore, aveva allora inveito contro di lei, senza riguardo alla maternità incipiente, e la aveva senz'altro cacciata di casa a urtoni, a percosse.

      Poi, l'altra scena, col suocero. Era andato a mostrargli quella e le altre lettere dell'Alvignani rinvenute nell'armadio. Non c'era colpa? «E in che consiste allora la colpa per lei?» gli aveva domandato. «Scusi, forse perché è sua figlia?». Francesco Ajala gli era saltato addosso come una tigre. «Mia figlia? che dici? mia figlia una sgualdrina?» Poi s'era ammansato. «Bada, Rocco, bada a quello che fai… Vedi di che si tratta? Lettere… E tu rovini due case: la tua e la mia. Forse puoi ancora perdonare…» «Ah sì? e la perdonerebbe lei, al mio posto, se invece d'esser padre fosse marito?» E Francesco Ajala non aveva saputo rispondergli.

      «Lui no, e io sì? Oh bella!» pensò Rocco, nel silenzio della scala.

      «È