Луиджи Пиранделло

L'esclusa


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cosa?

      – Vedere se fosse possibile evitare lo scandalo.

      – Lo scandalo? – gridò egli. – Ma se Rocco è venuto qua!

      – Qua?

      – A mostrarmi le lettere!

      – Ah, tu le hai vedute? – domandò ella con ansia. – L'ultima? C'è la prova che Marta…

      – È innocente, è vero? – scattò egli, afferrandola per un braccio, respingendola, andandole addosso di nuovo. – Innocente? Innocente? hai il coraggio di dire innocente davanti a me? E qua, qua, qua, rossore, qua, ne hai? rossore, qua?

      E, in così dire, si percosse più volte furiosamente le guance. Poi ripigliò:

      – Innocente… Con quelle lettere? Avresti fatto lo stesso, dunque, tu? Sta' zitta! Non arrischiarti a scusarla!

      – Non la scuso, – gemette ella, piano, con strazio. – Ma se ho la prova, io, la prova che mia figlia non merita il castigo che le si vuole infliggere…

      – Ah, questo, – tonò cupamente l'Ajala, – questo l'ho detto anch'io a quell'imbecille…

      – Vedi? – gridò la moglie, quasi ilarata da un lampo di speranza.

      – Ma poi egli mi chiese se io, al posto suo, avrei perdonato… Ebbene, no! Perché io, – aggiunse, riafferrando per le braccia la moglie e scrollandola forte, – io non t'avrei perdonato: ti avrei uccisa!

      – Senza colpa.

      – Per quella lettera! Non ti basta?

      – Marta, sì, sarà colpevole, – si piegò allora ad ammettere la madre, – ma d'una leggerezza, non d'altro. Ma ora tu che vuoi fare? Partire, affrontare colui, tu! E non intendi che la sciagura, così… Lasciami dire, per carità! Ho fede, io, ho fede che un giorno, presto, la luce si farà…

      – Non scusare! Non scusare!

      – Non scuso Marta, no; accuso me, va bene. Me, me, perché io non dovevo lasciarlo fare questo matrimonio…

      – Accusi anche me, dunque?

      – Ma se tu stesso l'hai detto! Non te n'eri pentito? Abbiamo avuto troppa fretta di maritarla, e confessa che abbiamo scelto male! E quel che le toccò soffrire sotto la tirannia di quella strega della zia e del padre infame, prima che Rocco si risolvesse a far casa da sé? Questo non la scusa, sì, è vero, lo so; ma può rendere, mi sembra, meno severi nella pena. E pure una disgraziata… sì, una…

      Non poté seguitare. Nascose il volto nel fazzoletto scossa dai singhiozzi irrefrenabili.

      Egli, con un gomito appoggiato al muro e la fronte nella mano, scompigliava ritmicamente col piede un mucchietto di ferruche raccolte lì nell'androne, e, con le ciglia giunte, irsute, aggrondate, pareva solo intento a quell'esercizio del piede. Poi disse con voce cupa:

      – Giacché la colpa è mia e tua, questa è la nostra condanna, e dobbiamo scontarla. Bada! Rientro con te in casa; sarà, d'ora in poi, la mia e la tua prigione. Non ne uscirò che morto!

      Andò sù per chiudere il balcone rimasto aperto. La moglie attese un pezzo, nel bujo dell'androne; poi, vedendolo tardare, salì anche lei. Lo trovò con la faccia contro il muro, che piangeva, solo.

      – Francesco…

      – Via! via! via!

      La spinse avanti, di furia. Chiusa la concerìa, fecero in silenzio il breve tratto fino a casa. Davanti alla porta, ordinò alla moglie di salire avanti, aggiungendo, minaccioso:

      – Non debbo vederla!

      Poco dopo, salì anche lui e andò a chiudersi a chiave in una camera, al bujo; si buttò sul letto, vestito, con la faccia affondata nei guanciali, stringendo con una mano la testata della lettiera.

      Giacque così tutta la notte. Di tratto in tratto, balzava a sedere sul letto. Tendeva l'orecchio. Nessun rumore per casa. Pure nessuno certo dormiva.

      Quel profondo silenzio gl'irritava sordamente l'interno tumulto dell'anima violenta. Così seduto, si torturava le gambe, le braccia, con le dita artigliate, stretto alla gola da una voglia rabbiosa, impotente, di piangere, d'urlare. Poi ricadeva sul letto, riaffondava la faccia nel guanciale bagnato di lagrime.

      Come! Aveva dunque pianto?

      A poco a poco, sotto l'incubo dei pensieri che gli si presentavano sempre con la medesima forma, col medesimo giro, si stordì e rimase a lungo immobile, quasi inconsapevole, sospirando di tratto in tratto, stanco; ridestandosi talora con la coscienza ottusa e la sensazione soltanto degli occhi aridi, sbarrati nel bujo della camera.

      Poi le fessure delle imposte cominciarono a schiarirsi. Grado grado, quei fili esili d'umido albore s'accesero vieppiù nel bujo, rifulsero biondi: il sole!

      Egli dal letto, con le mani intrecciate dietro la nuca, guardava le imposte. Giù per la strada cominciava il trànsito continuo dei carri, ed era come se gli passassero per la mente: li vedeva, così giacente e compreso ancora dal tepore del letto e della camera, con l'anima appena risentita. Di fuori, il giorno… il lavoro… Gli operaj, seduti l'uno accanto all'altro sul marciapiedi, aspettano che s'apra il portone della concerìa. Ecco, suona la campana, entrano, a due a due, a tre, allegri o taciturni, con un fagottino sotto il braccio. Il vecchio Scoma, ah, quegli non parla mai… sua figlia…

      Anche mia figlia! anche mia figlia! Peggio di quella! Quella non tradì, fu tradita; e ora la miseria…

      Balzò dal letto, quasi per correre da Marta e afferrarla per i capelli, trascinarla per casa, percuoterla a sangue.

      Due picchi all'uscio, timidi.

      – Chi è? – gridò sobbalzando.

      – Io… – sospirò una voce, dietro l'uscio.

      – Via! Non voglio veder nessuno!

      – Se hai bisogno…

      – Via! via!

      E sentì i passi della moglie allontanarsi pian piano, e li seguì col pensiero nelle altre stanze. Dov'era «ella»? che faceva? poteva aver l'ardire di parlare, di guardare in faccia la madre, la sorella? e che diceva? Svergognata! svergognata!

      Il pensiero di lei, la curiosità di vederla, il bisogno quasi di sentirla tutta piangere tremante sotto gli occhi suoi senza concederle il perdono supplicato in ginocchio, lo tennero tra le smanie tutto il giorno. Aveva lasciato la camera al bujo, ed era giunto a sentir finanche orrore delle fessure luminose delle imposte che gli ferivano gli occhi ogni qualvolta si voltava, passeggiando.

      Sul tardi, condiscese ad aprire alla figlia minore. Aprì l'uscio e si stese di nuovo sul letto.

      – Richiudi subito!

      Maria richiuse subito l'uscio e posò a tasto una tazza di brodo sul tavolino da notte.

      – Ti senti male?

      – Non mi sento nulla, – rispose con durezza.

      Maria sedette, sospirando piano, a piè del letto, col tovagliolo tra le mani.

      Egli si levò su un gomito, forzandosi a discernere la figlia nel bujo.

      Maria non era mai stata la preferita. Era cresciuta quasi all'ombra di Marta, e da se stessa pareva si fosse acconciata al còmpito di stare accanto alla sorella adorata per farne meglio risaltare l'ingegno, lo spirito, la bellezza. Nessuno aveva mai badato a lei, né ella se n'era mai neppure lagnata fra sé, vinta anch'essa dal fascino di Marta. Pensieri e sentimenti erano rimasti chiusi in lei, quasi non richiesti da nessuno. E né il padre né la madre pareva si fossero peranche accorti ch'ella era cresciuta, ch'era ormai donna. Non bella, né vaga; ma dagli occhi e dalla voce spirava tanta bontà e dagli atteggiamenti così timida grazia, che riusciva a tutti irresistibilmente simpatica.

      – Maria, – chiamò con voce rauca il padre, ancora nella stessa positura.

      Maria accorse al letto e si sentì all'improvviso cingere e serrare forte dal