un furgone all’uscita di una sala giochi e di cui si erano perse le tracce per giorni. Per un breve periodo quel povero ragazzino era stato rinchiuso in un granaio come ce ne sono a decine; e per passare il tempo, e per scongiurare la paura, raccoglieva e faceva scivolare dalle mani della semenza. Durante quell’indagine, una mattina mentre faceva colazione, Nico teneva una mano sul diario scolastico del ragazzo, mentre con l'altra si versava i cereali nella tazza.
Quel rumore, proprio come di semi che cadevano, che scivolavano giù, o semplicemente il gesto, o la loro combinazione, gli aveva permesso di vedere quei momenti di vita già passati, ma ancora presenti nell'etere.
I particolari che aveva fornito alle autorità erano stati così dettagliati da convincere la polizia a cambiare i piani e inviare una parte degli uomini destinati alle ricerche nella campagna a nord della città, togliendoli dal luogo che aveva invece indicato Matteo.
E ora c'è Francesca da salvare.
Nico si siede a un vecchio tavolo da cucina, ci sono sopra le solite cose da ufficio che generalmente riempiono una scrivania. Accarezza una cuffia di lana color violetto: la sente ruvida e nel contempo morbida, piacevole al tatto.
Si tratta del berrettino di Francesca; aveva chiesto a Silvia un oggetto poco ingombrante che appartenesse alla figlia e al quale fosse legata.
«Sai, Silvia, le persone che come me hanno questo dono, hanno bisogno di un testimone per poter rivivere gli avvenimenti passati. Può trattarsi di qualsiasi cosa, anche di una matita o di un fazzoletto, dove sono impresse le tracce psichiche della personalità e dell'emotività di chi le ha possedute. Queste ci aiutano ad aprire un canale per avere un flashback.»
«Questa potrebbe andare bene?» gli aveva chiesto lei con gli occhi lucidi. «La indossava la sera che me l'hanno portata via. La polizia l'ha trovata per terra nel parcheggio del ristorante, è l'unica cosa che hanno saputo riportarmi.»
Per il momento, la cuffia non ha aperto alcun canale, ma questo non significa nulla; semplicemente non si è ancora trovato nella situazione ideale. Perché le sue capacità si manifestino, non gli è sufficiente tenere in mano il testimone, ha bisogno anche di alcune coincidenze favorevoli: nella maggior parte dei casi, si tratta di vivere e provare le stesse sensazioni che la persona da trovare ha vissuto in quei frangenti.
Per non perdere il contatto con il testimone, indossa il berretto e, visto che non ha ancora acceso la stufa a legna, non sarà una seccatura, come non lo è la felpa in pile portata sopra il pigiama che indossa ancora, malgrado sia già l'ora di pranzo.
Fa spazio sul tavolo, aprendo quello che dovrebbe essere il cassetto delle posate, e ci fa cadere dentro la posta ancora da aprire che si sta accumulando da almeno una settimana. Da uno dei porta documenti di plastica che ha impilato sulla cassettiera laterale, prende il faldone che il papà di Francesca gli ha passato; contiene alcuni rapporti di polizia, i verbali d'interrogatorio delle ultime persone che hanno visto la ragazza, alcuni articoli di giornale e qualche fotografia.
Nico scorre tutto rapidamente e sbuffa. Quanto arriva dal commissariato fornisce poche informazioni in più rispetto a quelle già in suo possesso; probabilmente il commissario Martini ha fatto avere a Edo quei documenti unicamente per soddisfare le sue continue richieste, ma si è tenuto i rapporti con le informazioni che i media ancora ignorano.
Per il momento, nessuno di questi menziona il Killer delle Laureande, anche se sono stati redatti proprio dal team che si sta occupando di quel criminale.
Nico non si scompone. Sono più interessanti gli articoli di giornale: alcuni hanno un paio d'anni, risalgono al periodo in cui vi fu la prima vittima che oggi viene attribuita al Killer.
Evidentemente, Edo ha fatto delle ricerche in internet su di lui. Spesso le notizie si ripetono e sono i soliti quattro o cinque giornalisti a scrivere gli articoli.
Nico afferra un quadernino; prende nota delle informazioni che trova e le analizza; rimarca su una linea del tempo che ha tracciato su un foglio il nome del reporter, quale elemento fornisce e, se disponibile, la sua fonte.
Una cronista è sempre un piccolo passo avanti agli altri; si tratta di Erica Blum, una reporter del Quotidiano, un giornale che il sabato viene accompagnato dal settimanale d’approfondimenti Fatti. Ed è proprio su uno di questi settimanali che la Blum fa un resoconto dettagliato sui primi due delitti legati al Killer delle Laureande, appellativo che da quel momento in poi verrà usato da tutti i media.
Nell’articolo c'è anche un aggancio a Matteo, che non lavorava sul caso ma che, secondo l’autrice, avrebbe potuto dare un impulso alle indagini. Matteo che, guarda caso, ha una rubrica proprio in quel settimanale.
Gli articoli pubblicati dalle altre testate nei giorni seguenti, riportano le medesime informazioni, infoltite con qualche dettaglio in più o con una dichiarazione ufficiale del commissario Martini che conferma quanto scritto dalla donna. Evidentemente, la giornalista ha un contatto importante, qualcuno che ha accesso diretto all'inchiesta. Comunque sia, pensa Nico, ora i suoi resoconti gli vengono comodi.
Martina era stata la prima, il 15 settembre 2009. La poveretta era stata uccisa nella sua camera, in un dormitorio dell'università e trovata senza vita dalla compagna di corso con cui avrebbe dovuto partire per una piccola vacanza premio un paio di giorni dopo.
Era distesa sul pavimento con infilata in bocca la laurea in giurisprudenza ricevuta appena il giorno prima; l'assassino non gliela aveva schiacciata con violenza tra i denti: l'aveva arrotolata e fissata con un nastro per capelli che probabilmente aveva trovato nella camera, le aveva abbassato la mascella e gliel'aveva appoggiata tra le labbra.
L'esame autoptico indicava come causa del decesso il soffocamento; vi erano alcune tracce di colluttazione, ma non di strangolamento, e alcuni segni sul collo lasciavano presumere che fosse stato utilizzato un sacchetto di plastica che, però, non era stato trovato sulla scena del delitto.
A quanto pareva l'attestato di carta le era stato infilato in bocca post mortem. Nel sangue non erano state trovate tracce di stupefacenti o di medicinali. Era ipotizzabile che i due si conoscessero e che Martina avesse permesso al suo assassino di entrare in camera senza discutere; i corridoi di quello stabile erano frequentati da molti studenti e un diverbio sarebbe stato sicuramente notato e soprattutto sentito da tutti.
Il 20 settembre del 2010 era stata invece la volta di Monica, appena laureata anche lei in giurisprudenza e sparita il giorno dopo la consegna dei diplomi. Aveva festeggiato fino al mattino con i compagni neolaureati, ma non aveva fatto rientro nell'appartamento preso in affitto con altre tre ragazze. Fu ritrovata giorni dopo sdraiata su una panchina in un parco, dieci chilometri fuori città; sembrava dormire e per questo motivo solo a mattina inoltrata un giardiniere che stava sistemando un'isola di fiori lì accanto si era permesso di chiederle se si sentisse bene.
Aveva la testa appoggiata su alcuni libri e le mani sul ventre che tenevano un foglio di carta pregiata, arrotolata con un nastro rosso. Si trattava della riproduzione di una laurea in giurisprudenza con il suo nome e le firme del Rettore, del Preside di facoltà e del responsabile.
Vi era anche una nota sotto il titolo:
Per aver voluto supplire alle sue mancanze
cogliendo da sé il frutto del suo peccato
Quello era il messaggio dell’assassino, un indizio su cui inquirenti e psicologi avrebbero avuto da dibattere a lungo. A fondo pagina c’era un’ulteriore scritta: "Con decisione del: 21.02.2010".
Anche nel suo caso, la causa della morte era stata il soffocamento: non vi erano segni di lotta sul corpo, ma solo piccoli lividi sul collo che potevano ricondurre anche questa volta all'utilizzo di un sacchetto di plastica. In questo caso, però, furono trovate massicce dosi di Dormicum nel sangue.
Per una settimana il rapitore aveva mantenuto la ragazza in uno stato costante di dormiveglia e non aveva avuto la necessità di tenerla legata.
Monica non aveva subito nessuna violenza sessuale, non risultava disidratata e nello stomaco aveva del pollo e delle patate consumate poco prima della morte, quindi era, per così dire, stata accudita.
Gli