Mª Del Mar Agulló

Futuro Pericoloso


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sulla sua scrivania.

      Keysi rimase in piedi a osservarlo.

      – Sì – disse dopo aver firmato un foglio —, l’ho provato.

      – Prime conclusioni?

      – È un successo, per ora – disse cautamente —. Pensavo che Carolina e tu creaste un antigene per ogni virus prima di consegnarmelo – Norberto sollevò la testa per guardare la ragazza inglese.

      – Lo so. Vedi, quando Carolina se ne andò, stavo finendo di creare il mio antigene. Così le chiesi se le desse fastidio che te lo consegnassi e mi disse di no.

      – Bene, hai fatto un buon lavoro, Keysi. Abbiamo già un antigene, ne mancano quattro, a meno che ci portino più virus. Hai visto cos’è successo a Taiwan?

      – No.

      – Si è incendiato un laboratorio nel quale si esaminavano virus come questo. L’intera isola è in quarantena. Immagino che si risolverà subito. La cosa che mi dà più fastidio è che la gente sta cominciando a odiare le isole in cui ci sono dei laboratori. Sai che all’inizio permettevano di installare laboratori solo su isole per paura che succedesse qualcosa come l’incendio a Taiwan e che ci fosse un’epidemia virale? È assurdo. È arrivata Carolina?

      – Non ancora.

      Allora si sentì un rumore di tacchi che si avvicinavano, seguito da un profumo femminile di alta gamma. Dalla porta dell’ufficio entrò una donna scultorea, bruna, alta e magra.

      – Buongiorno, Titania.

      – Buongiorno, papà.

      – Cosa mi porti oggi? Spero che non sia un altro virus.

      – Sono passata solo a salutare – Titania sorrise – e a farti vedere questo – Titania mise sul tavolo i fogli che teneva, Keysi e Norberto si avvicinarono e guardarono con attenzione —. È una nuova macchina che rileva la presenza di un virus a distanza di chilometri. Mi hanno chiesto di provarla a Taiwan.

      – A Taiwan? Non si può andare a Taiwan, è in quarantena.

      – Me l’hanno chiesto loro. Non importa, papà, andrà tutto bene.

      Norberto guardava sua figlia con preoccupazione. Anche se sua figlia era la migliore del suo reparto, tuttavia la situazione sull’isola asiatica era instabile.

      Keysi uscì dalla stanza per lasciarli soli. Quando entrò nella stanza dove lavorava con Carolina, la Sala 4, si fermò a osservare tutto: i computer oleografici tattili, le numerose macchine e altri aggeggi da laboratorio sui tavoli bianchi attaccati alle pareti, gli sgabelli viola dove si sedevano, il grande tavolo bianco al centro che quasi non usavano, e le pareti, anche loro bianche, che riflettevano la luce che entrava dalla finestra, orientata verso sud, con una vista spettacolare sul Mediterraneo, dato che non c’era nessun edificio davanti.

      Keysi iniziò a studiare il virus trovato sul confine tra la Cina e la Mongolia. Per essere un virus, aveva una bellezza insolita. Appena arrivò alle prime conclusioni, seppe che per trovare un antigene per quel virus ci sarebbe voluto tempo e, dato che il numero di morti era basso in confronto agli altri (non era così per il numero di persone infette), decise di lasciarlo da parte, fare un esame preliminare dei restanti tre virus e poi sceglierne uno.

      Verso le nove del mattino, mentre la sua collega studiava il virus australiano, arrivò Carolina con una faccia di una che ha dormito poco. Keysi le indicò l’orologio olografico rosso sul muro.

      – Ultimamente non dormo, i miei vicini fanno sempre festa, non vedo l’ora che se ne vadano – i vicini di Carolina erano quattro giovani francesi che quell’anno studiavano all’università delle Isole Baleari.

      Carolina iniziò a lavorare, nel frattempo Keysi fece un salto alla sala dove i ProHu stavano provando il suo antigene.

      – Come stanno? – chiese la ragazza inglese a una giovane infermiera che era appena stata assunta dal laboratorio.

      – Stanno tutti bene.

      Tornando, Keysi si fermò nel corridoio e guardò la galleria fotografica del suo cellulare. In quasi tutte le foto lei appariva sorridente insieme al suo ex fidanzato. Strinse le labbra e trattenne il desiderio di piangere. In quel momento si sentì impotente. Aveva lasciato alle spalle tutta la sua vita per un uomo che l’aveva abbandonata. Non aveva nessuno sull’isola.

      Carolina notò che la sua collega entrava dalla porta con un’espressione triste sulla sua faccia.

      – Stai bene?

      – Sì, è solo che… Sai… Non mi resta nessuno sull’isola.

      – Non dire così, hai me – Carolina non sapeva se avvicinarsi per abbracciarla o no, scelse di non avvicinarsi.

      Keysi si sorprese della reazione di Carolina, cosa che avrebbe posto le basi per una futura amicizia tra le due colleghe.

      Tutte e due continuarono a lavorare con la musica di Wagner in sottofondo, scambiandosi dati e consigli, in una relazione in cui c’era sempre più complicità.

      4. Una storia famigliare

      Monica, dopo aver sistemato gli avanzi della cena e pulito il tavolo, si sedette sul divano insieme ai suoi figli e iniziò il suo racconto, mentre Samuel la guardava impaziente e Oscar iniziava a leggere qualcosa sul suo cellulare.

      – Conobbi il papà di Oscar molto tempo fa a scuola, quando lui stava per compiere dodici anni e io li avevo già compiuti. Era primavera, mi ricordo che a suo papà – Monica volse lo sguardo su Oscar, che fingeva di essere interessato alla storia che sua madre raccontava al fratellino – piaceva annusare i fiori delle pesche della scuola, cosa che attirò la mia attenzione.

      – Avevate dei peschi nella vostra scuola? – chiese Samuel stupito.

      – Avevamo alberi di tutti i tipi – Samuel aprì la bocca sorpreso —, sai che avevamo lezioni di agricoltura?

      – Ci sono anche adesso – commentò Oscar senza alzare lo sguardo dal suo cellulare.

      – Un giorno mi avvicinai a suo papà e gli chiesi perché lo faceva, mi disse che gli piaceva come profumavano. Io mi avvicinai fino all’albero e staccai un fiore per annusarlo, motivo per cui suo papà si arrabbiò con me. Non voleva che nessuno toccasse gli alberi. Non mi rivolse la parola durante tutto il corso.

      – Cosa successe dopo? – chiese Samuel interessato.

      – Durante il corso successivo mi chiese di aiutarlo con una materia. Studiavamo mappe antiche, dovevamo disegnarle, e io ero molto brava a disegnare. Così un giorno mi si avvicinò e mi chiese se volevo realizzare un lavoro con lui, io gli dissi di sì. Alla fine finii per fare da sola tutto il lavoro. Da allora tutti i giorni ci vedevamo durante l’intervallo e dopo le lezioni tornavamo sempre insieme a casa.

      – E allora vi innamoraste? – chiese Samuel curioso.

      Oscar alzò lo sguardo interessato.

      – Ti ho già detto che sei un bambino molto intelligente? – Samuel iniziò a ridere.

      – Per molti anni fummo inseparabili, finché rimasi incinta di tuo fratello.

      – E adesso dov’è? – chiese Samuel.

      Monica guardò Oscar, che la guardava.

      – È in cielo con mio papà?

      – No, tesoro, se ne andò.

      – Dove? – insistette il piccolo.

      – A volte c’è gente che se ne va e sparisce dalla tua vita.

      – Come zia Victoria che vive a Londra? – Victoria era la sorella del padre di Samuel.

      – Sì, una cosa del genere.

      – Allora possiamo andare a vederlo?

      Monica stava iniziando a innervosirsi.

      – È che non sappiamo dove se ne andò – intervenne Oscar per aiutare sua madre ed evitare che sgridasse Samuel.

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