target="_blank" rel="nofollow" href="#litres_trial_promo">8.
Nemmeno un anno prima, Giorgio d'Antiochia, l'Emiro degli Emiri, l'Arconte degli Arconti, ovvero la seconda persona più importante del Regno, aveva guidato l'esercito alla conquista di Tripoli9. Ora nondimeno l'opportunità era più ghiotta... Prendere Mahdia10, capitale degli ziridi, significava prendere il controllo di tutte le rotte che univano i due opposti del Mediterraneo e poter smerciare il grano siciliano in uno dei porti e dei mercati migliori d'Africa.
La scusa la offrì un certo Jūsuf, governatore di Gabes11, il quale, inimicatosi con Hasan, emiro suo, chiese aiuto a Ruggero, promettendogli di reggere d'ora in poi la città in nome del sovrano cristiano. Ruggero accettò e il savio Giorgio organizzò l'affare, sicuro che questa volta, grazie all'esperienza acquisita in vent'anni di battaglie, avrebbe conseguito la vittoria.
Nominalmente non si trattava di una guerra santa, ma la posta in palio andava al di là dei semplici interessi territoriali: la vecchia sfida tra gli Altavilla e gli emiri ziridi si riapriva portando il terreno di scontro dalle colline siciliane alle dune del Nordafrica. Ruggero era pronto così a risuscitare i vecchi rancori di famiglia contro chi aveva osato nuocer loro in passato.
A tal proposito, non molto prima di adunare la flotta, venne convocato al Palazzo della Favara12 un uomo che in quei giorni, nelle inquietudini del Re, costituiva una persona di interesse nazionale.
Giordano di Rossavilla aveva poco più di quarant’anni e serviva Ruggero da oltre venti. Apparteneva alla specie di uomini di cui il sovrano si compiaceva: non aveva titolo ma molti meriti, non aveva terre ma molta intraprendenza, non aveva obblighi feudali ma una cieca lealtà nei confronti del Re. Per Giordano era Ruggero, e non il papa, il vero vicario di Cristo... tanta era l'ammirazione che nutriva per il suo sovrano!
D'altronde Ruggero aveva fatto del cesaropapismo, alla maniera degli imperatori di Costantinopoli, il suo credo, divenendo Re non solo per legittimazione feudale, ma soprattutto perché “Dio l'aveva voluto”. Quest'aura di santità in realtà l'aveva ereditata da suo padre, essendo stato questi il campione della cristianità contro gli infedeli che insozzavano la Sicilia. Per di più, il fatto che alla guerra santa fosse seguita un'insolita tolleranza, aveva reso le figure del Gran Conte e di Re Ruggero leggendarie agli occhi di chi li stimava.
Chi stimava poco Ruggero erano invece i pontefici, i quali delle volte l'avevano pure scomunicato. Ciò nonostante, egli era stato in grado di forzare persino la volontà del Cielo, ottenendo la revoca con la pressione delle armi e proponendosi di volta in volta come difensore di Roma, contro l’Imperatore d’Occidente, nemico giurato del papa, e contro chi altri minacciasse il potere del successore di Pietro.
Era la prima volta che Giordano metteva piede nella sala del trono. Da giovane aveva osservato da lontano i giardini e le fonti d'acqua dei palazzi reali, immaginando le meravigliose donne dell'harem oziare presso gli alberi da frutto e bagnarsi i piedi nelle fontane. Ora invece percorreva la sala del trono scortato dai servitori del Re, eunuchi che vestivano i ricchi abiti di seta provenienti degli opifici del palazzo reale. Neppure il nobile più in vista indossava abiti così pregiati e belli come quelli di quei servi! Alcuni degli eunuchi si definivano devoti ad Allah, altri erano stati formalmente convertiti e battezzati, ma in sostanza non praticavano né la religione cristiana né l’islamica... così come non era possibile definire se fossero più uomini o donne.
Pian piano, mentre avanzava, Giordano vedeva delinearsi sul fondo la sagoma del seggio reale. Ogni cosa attorno a lui creava stupore ai suoi occhi: i mosaici, le armature della guardia reale, i tappeti, le vesti dei funzionari, i marmi del pavimento. Sulla sinistra si apriva un doppio colonnato sormontato da archi a sesto acuto che dava sui giardini, e al di sopra, per tutto il perimetro della sala, degli splendidi mosaici con temi floreali ed urì velate brillavano in migliaia di tessere d'oro. Ci volle un pezzo perché la meraviglia si attenuasse e Giordano ritornasse alla realtà. Dunque, alla vista del viso di Ruggero, si inginocchiò, poggiando mani e fronte al pavimento, così com'era in uso fare anche nelle corti d'oriente. Poi riprese a guardare verso l'alto, al suo signore il Re. Non vi era consorte accanto al sovrano, essendo questi da tredici anni fedele alla sua vedovanza. Inoltre, una fila di guardie circondava i lati del trono e un uomo dalla barba bianca e dalle lunghe vesti orientali se ne stava in piedi alla destra di Ruggero; egli era l'unico che Giordano conosceva.
«Alzati!» lo invitò proprio l'uomo che stava accanto a Ruggero, ovvero Giorgio d'Antiochia.
Perciò, guardandolo in viso, ancor prima che Giordano recitasse il cerimoniale, proprio il Re, con la sua possente voce, disse:
«Jourdain de Rougeville13...»
«Per servirvi, mio Re!»
«Qualcuno ultimamente mi ha ricordato dell'esistenza del vostro casato. Che legame può averci unito?»
«Mio padre combatté a Gerusalemme al seguito di vostro cugino Boemondo, Principe d’Antiochia, e morì per voi a capo Dimas14. Mio nonno discese con vostro padre in questa terra per liberarla dai qā'id15 saraceni, e quindi sposò la sorella della Contessa Judith, prima moglie di vostro padre.»
«Qual era il nome di vostro padre?»
«Rabel... Rabel de Rougeville!»
Ruggero allora guardò Giorgio in cerca di conferme.
«Era uno dei nostri migliori uomini! Un comandante di galea con molta esperienza.» spiegò proprio l’illustre ministro.
«Dovete essere fiero di vostro padre!» esclamò il Re, stringendo il pugno e alzandosi.
Ruggero era un uomo molto alto e dal fisico importante, ma guardando dal basso degli scalini che conducevano al trono sembrava svettare fino alla sommità dell'abside in cui era inserito il trono. A differenza di suo padre non aveva conservato i tipici tratti della gente del nord; Ruggero era infatti olivastro e scuro di capelli, cosa che alla sua nascita aveva fatto vociare quelle malelingue che lo volevano figlio di uno dei ministri di origine saracena del Gran Conte.
«Lo sono!» rispose orgoglioso Giordano.
«E voi, avete figli? Vi meritate il loro onore come vostro padre merita il vostro?» chiese sempre il Re.
Quindi Giorgio d’Antiochia rispose:
«Il nobile Jourdain è uno degli eroi di Corcyre; torna appunto ora dallo Ionio. Ha protetto l’ammiraglia dal fuoco greco mettendo di traverso la galea che comandava... un gesto ardito quanto eroico!»
«Dunque voi, mio visir16, siete debitore della vita a quest'uomo...» rifletté Ruggero, rivolgendosi al suo primo ministro.
«Sono debitore ad ogni singolo uomo che ubbidisce ai miei ordini: ai comandanti come ai mozzi!»
«La vostra umiltà vi fa grande!» si complimentò per quelle parole Ruggero. Al che Giorgio d’Antiochia accennò un inchino.
«Sentite come parla bene di voi l'Amiratus17?»
«Chiedo solo di morire per voi, così come fece mio padre.» rispose Giordano, fiero come non mai di ricevere le lodi del sovrano.
«Questo vi fa onore, prode Jourdain, ma oggi vi chiedo di restare vivo.»
Dunque Ruggero diede un colpo d'occhio al suo ministro e tornò a sedersi; era il segnale che Giorgio d'Antiochia poteva cominciare con la spiegazione dei fatti concreti.
«Vi stupisce che siete qui, Jourdain de Rougeville?»
«Mi stupisce che un indegno servitore debba varcare le gloriose porte di questo