per supplire alla carestia... e prestò capitale ai commercianti e agli artigiani cosicché riattivassero le loro attività. Ne beneficiò anche Kamal, il quale, al volgere di tre giorni, credette bene che potesse inviare le sue barche al largo e riprendere a creare monili. In breve tempo i suoi affari triplicarono.
La prosperità del Regno giungeva dunque sulle coste d'Africa. Se non fosse stato per l'imbarazzo e la proibizione coranica di servire un sovrano infedele, per certo gli abitanti di Mahdia avrebbero giurato al Re di Sicilia fedeltà senza riserve. Ciò nonostante, il mondo non conosce soltanto il colore del denaro, e accanto al tintinnio dell'argento e dell'oro si ode anche la voce della propria coscienza, addestrata secondo i precetti della propria educazione. Per gli abitanti di Mahdia, Ruggero, il suo Emiro degli Emiri, e pure tutta la soldataglia, rimanevano e sarebbero rimasti per sempre dei nemici. Avrebbero perciò goduto della prosperità derivata dalla conquista pur senza mai ringraziare.
Al contrario, per i succitati motivi che muovono il mondo, i cristiani indigeni vedevano Ruggero come il liberatore della fede. Essi praticavano il rito greco nella messa, ma si esprimevano tra loro in una lingua sorella a quella del volgo di Sicilia, ovvero parlavano l’ultimo rimasuglio del latino d’Africa. Questi si sentivano i veri vincitori del successo dei siciliani a Mahdia.
Ad ogni modo, benché gli affari sembrassero nuovamente in salute, Kamal sentiva che era venuto meno il prestigio che godeva presso Hasan. L'essere considerato uno degli artigiani di Mahdia, senza essere additato come il migliore nel suo ambito, lo faceva star male. Quando infatti si è ottenuto qualcosa di mancante, spesso chi è avido ricerca qualcos’altro, sentendo nell'animo il vuoto dell’essenziale. Kamal era già ricco, ma poteva esserlo ancora di più se fosse entrato nelle grazie dei nuovi conquistatori. Inoltre, grazie alle politiche di Re Ruggero, poteva guadagnare un prestigio maggiore di quello che godeva in precedenza. La corte di Palermo, con i suoi sfarzi e la sua opulenza, divenne da quel momento il suo principale obiettivo.
Capitolo 4
Inizio luglio 1148, Mahdia
Giorgio d’Antiochia sapeva che se avesse voluto ottenere una rapida vittoria non avrebbe dovuto permettere che le altre città dell'Ifrīqiya si organizzassero. Sicuro quindi che la situazione a Mahdia si fosse ormai stabilizzata, spostò il grosso dell'esercito per mandarlo sia a Susa che a Sfax, o altrimenti chiamata Safāqis. Per certo sperava di sbrigare la questione in poco tempo e di ritornare al suo quartier generale in pochi giorni.
Benché Giordano fremesse dentro e volesse partecipare all'azione, venne lasciato a Mahdia. Il nobile siciliano doveva adesso mettere da parte l'affare della spada per mettere mano a quello della penna.
Kamal aveva sentito parlare di Giordano di Rossavilla già al suo rientro in città. Sapeva che costui era una persona in grazia a Giorgio d’Antiochia e che era stato nominato ‘amil di Mahdia. Credette perciò bene che proprio l’agente del Re fosse la persona adatta per tentare la sua scalata al prestigio e ai privilegi del Regnum. D'altronde l'occasione per incontrarlo non si sarebbe fatta aspettare a lungo...
Dopo alcuni giorni venne anche per Kamal il turno di presentarsi al cospetto di Giordano per depositare la jizya; trattandosi di un testatico dovette farlo per sé e per ciascuno della sua casa. L'obiettivo dell'Amiratus era infatti quello di censire la popolazione, per cui bisognava presentarsi con tutta la famiglia, uomini, donne e bambini. Se si fosse trovato qualcuno dentro le mura non censito o insolvente riguardo alla tassa dei dhimmi33 avrebbe pagato il suo reato con pene severe.
Quando Kamal si recò all'ufficio dell’‘amil, un gruppo di cristiani della città se ne stava sull'ingresso, insultando e gettando terra sui saraceni in fila. La sorte si era invertita e la jizya, il tributo per la protezione degli infedeli, adesso dovevano pagarla coloro che fino a qualche giorno prima la riscuotevano.
Arrivò poi il momento di Kamal, che dunque si presentò al cospetto di Giordano. Quest'ultimo, seduto e chino sui registri, mostrava la lunga chioma castana dai riflessi rame a chi si avvinava, mentre Yasir, accomodato accanto, annotava e conteggiava nomi ed entrate. Era inusuale che un uomo del rango di Giordano dovesse assolvere personalmente la funzione di esattore, ma tutto era stato attentamente organizzato secondo il fine della missione.
«Come ti chiami?» domandò Yasir, intanto che Giordano, a braccia conserte, guardava il nuovo giunto.
«Kamal ibn Umar, e questi sono i miei figli: Salman e Talal. Lei è Basma, moglie di Salman, e questi sono i loro figli, Musad, Maisa ed il piccolo Samir.»
Quindi l'attenzione di Yasir venne rivolta ad una donna, una giovane forse ventenne che se ne stava dietro a tutti gli altri. Yasir era un ragazzo, ma avvertiva pur sempre le pulsioni degli uomini; non seppe staccare gli occhi da quel viso bruno che timidamente osservava oltre le spalle degli altri.
«E lei chi è?» chiese il giovane contabile.
Kamal si voltò, vide la ragazza e, stringendola per le guance affettuosamente, la presentò:
«Lei è mia figlia Faiza... il fiore di Mahdiyya!»
La vide adesso anche Giordano, ma lui, uomo di mondo, non le diede lì per lì tanto peso.
Faiza era davvero un fiore di bellezza: occhi neri e lucenti come l'ossidiana di Cossyra, capelli crespi come le gorgonie dei fondali marini e labbra del colore dei coralli più preziosi. Vestiva di nero e si stringeva al capo un velo della stessa tinta... inoltre era scalza.
«Non hai moglie?» chiese piuttosto Giordano.
«Non più da molti anni, ma rivivo ogni giorno il ricordo della mia prediletta scrutando il viso somigliante di mia figlia Faiza.»
Effettivamente la ragazza doveva somigliare maggiormente alla defunta madre; la tonalità della pelle e i tratti facciali erano differenti sia dal padre che dai suoi fratelli. Yasir, pur senza mai indagare, giunse alla conclusione che quell’uomo avesse avuto tutti gli altri figli da una moglie diversa.
«Qual è il tuo mestiere?» domandò ancora Giordano.
«Vedilo tu... mio Signore!» rispose Kamal, presentandogli una stupenda collana di coralli rossi intagliata a piccoli dadi disposti in sette fili d'oro intessuti in parallelo.
«Per certo hai una signora a cui puoi regalarla.» cercò di accattivarselo l'artigiano.
Giordano allungò una mano e afferrò la collana per osservarla meglio da vicino.
«Davvero splendida!» esclamò.
«Le fai tu queste?» chiese poi incuriosito.
«Ho due barche che i miei figli, Salman e Talal, sanno governare a dovere e condurre fino alle foreste di corallo della zona. Ma io sono anni che non prendo il largo, in quanto preferisco rimanere nella mia bottega a dar vita a questi splendidi monili.»
Dunque Kamal cambiò espressione e tono.
«Riguardo a questa collana, mio Signore, considerala un dono all'amicizia che lega da qualche giorno le nostre genti. E poi, mio Signore, se non è troppo, vorrei mostrarti quali altre meraviglie custodisco nella mia bottega.»
«Non è stato già abbastanza ricco il bottino?» rispose con sufficienza Giordano, il quale chiaramente aveva compreso lo scopo delle lusinghe dell'altro.
«Guarda nel tuo bottino allora, e vedi se riesci a trovare qualcosa come ciò che tieni in mano. Non credere, mio Signore, che le mani dei soldati siano arrivati dovunque... io ho saputo ben custodire i gioielli della mia bottega.»
«Il prossimo!» urlò Yasir, comprendendo che la presenza dell'artigiano stesse diventando molesta.
Kamal sconfortato guardò per l'ultima volta Giordano e gli disse:
«La collana che tieni in mano, mio Signore... sappi che era destinata ad una donna che tu conoscevi bene, e che le doveva essere consegnata per mano di un uomo che conoscevi altrettanto bene.»
Giordano valutò immediatamente l'ipotesi che quel tizio fosse chi cercavano, quindi