le rendite della terra e di poter pagare i propri obblighi feudali inviando uomini del contado. La differenza di prestigio faceva star male i primi e rendeva paradossalmente invidiosi i secondi, i quali avrebbero preferito che "gli illegittimi" non si fregiassero dello stesso nome... quello dei Rossavilla.
Giorgio d’Antiochia sapeva perciò il fatto suo quando aveva citato Rainulfo, cosciente che così avrebbe infuocato l'animo di Giordano. Il senso di rivalsa era forte e la volontà di acquisire meriti innanzi al sovrano ancora di più. Giordano, la cui fedeltà al Re era sempre stata incondizionata, adesso avvertì per la prima volta uno strano peso sullo stomaco. Si trattava di un atipico stato d'ansia, quello dettato dalla consapevolezza che la propria vita stia cambiando e che la possibilità che questo avvenga sia nelle proprie mani. Lasció perciò il Palazzo, determinato come non mai a portare a termine la missione che stava così tanto a cuore al suo Re.
Capitolo 2
Giugno 1148, isola di Cossyra
Sopravvenuta la notizia che in Ifrīqiya si moriva di fame, Ruggero non volle perdere altro tempo. Assicurò l'incolumità ai messaggeri di Hasan, che avevano tradito l'emiro venendo a recare la notizia della mala sorte del loro regno, e si apprestò ad armare duecentocinquanta navi.
Tra gli uomini di Giorgio d’Antiochia numerosi erano gli ufficiali saraceni senza casato né titolo e molti erano i nobili cristiani, capitani di ventura che gli obbedivano senza riserve. A Giordano, che faceva parte di questi ultimi, era stata affidata una galea. L'uomo sottomesso che era apparso dinanzi al Re adesso lasciava il posto ad un comandante sicuro di sé, scaltro e dai modi diretti ed efficaci.
L'equipaggio della galea era formato per lo più dai marinai forniti dalle città lombarde26 di Sicilia, ma anche da saraceni che facevano parte dell'esercito regolare. Il dotto Yasir stava accanto a Giordano e permaneva in uno stato di eccitazione e timore mentre la nave prendeva il mare aperto.
In attesa che il naviglio salpato dalla Sicilia giungesse al completo, fu convenuto di radunarsi a Cossyra27. Le prime galee arrivate sull'isola si ancorarono in una rada; quella di Giordano era tra queste. Quindi, al chiarore delle stelle e con il moto perpetuo del mare nelle orecchie, mentre molti altri riposavano, Yasir venne a sedersi accanto al suo comandante.
«Avete figli, mio Signore?» gli chiese parlando nel latino del popolo, l’idioma che permetteva ai siciliani, qualunque fosse la religione e la razza, di capirsi.
Giordano allora dovette interrompere i suoi pensieri, cosa che lì per lì lo infastidì non poco.
«Saresti dovuto scendere insieme agli altri e passare la notte a riva. La vita di mare è cosa dura per uno come te.»
«Ho già navigato con dei mercanti genovesi fino a Gerba28.»
«Di dove sei originario?»
«Di Gafludi29... ovvero di Cefalù. Mio padre soprintende da anni al lavoro degli artigiani di lingua araba nella costruzione della cattedrale. Ho visto i mosaicisti d'oriente all'opera e i più grandi ingegneri della nostra razza calcolare proporzioni e geometrie. È così che mi sono appassionato ai numeri.»
«Devi aver avuto un ottimo maestro!»
«È così...»
Poi, dopo averci pensato un po’, il giovane Yasir chiese:
«Anche voi, mio Signore, avete passato la scienza della spada ai vostri discendenti?»
Giordano assentì col capo e spiegò:
«Ho un figlio poco più grande di te e altri due ancora bambini. Il mio primogenito si è imbarcato per Corcira lo stesso giorno che io ho rimesso piede in Sicilia.»
«Non l'avete salutato?»
«L'ultima volta lo vidi due anni fa. Ma è bene che così si faccia le ossa!»
In quel momento la piccola barca a remi utilizzata per la spola con la spiaggia rocciosa venne velocemente verso la galea.
«Signore, Signore!» chiamò un tale Ali, soldato di vecchia data.
Giordano si sporse a babordo e chiese:
«Cos'è successo?»
«Una piccola imbarcazione degli ziridi... non molto distante da qui!»
Giordano perciò allertò una ventina di uomini e si recò al luogo che gli era stato indicato. In un'insenatura naturale, in attesa che sorgesse il sole, se ne stava attraccata una barca. Chiaramente era stata mandata da Mahdia per spiare le mosse dei siciliani.
Gli abitanti dell'isola se ne stavano già appostati dietro le rocce di pietra lavica, incuriositi dalla situazione. Si trattava di pescatori e raccoglitori di cotone, arabi più che latini, nella lingua così come nella religione.
Per quanto Giordano e i suoi cercassero di avvicinarsi in punta di piedi mentre si inerpicavano a difficoltà tra le asperità della scogliera, qualcuno dei marinai di Hasan dovette vederli, poiché la piccola imbarcazione cominciò ad allontanarsi a forza di remate. Dunque, chi a nuoto e chi calandosi sul ponte dalle rocce, prima che il legno fosse troppo lontano da riva, bloccarono la barca e immobilizzarono l'equipaggio.
Quando Giordano si accorse che sottocoperta gli occupanti principali dell’imbarcazione fossero dei piccioni messaggeri, venne colto dalla paura che l'effetto sorpresa su Mahdia fosse stato vanificato dalle notizie portate da quei volatili. Furioso si scagliò contro i marinai nemici.
«Cosa avete mandato a dire al vostro signore?» domandò in arabo, usando la persuasione della sua spada alla gola per convincerli a parlare.
«Nulla... proprio nulla!» rispose uno di quei marinai, proprio colui che a prima vista doveva essere l'ufficiale di Hasan.
Giordano, non convinto, stava per sgozzare il primo come monito agli altri quando Yasir fece capolino dal boccaporto.
«No, Signore, risparmiatelo... Dice il vero!» e porse un pezzetto di pergamena al nobile comandante.
Su di esso c’era scritto:
“I rūm30 sono a Quawsarah”
«Non lo hanno ancora mandato.» spiegò Yasir.
Giordano sorrise, diede una pacca sulla spalla al suo giovane aiutante e comandò ai suoi:
«Conduciamo questa bagnarola dall'Ammiraglio. È possibile che domani, in luogo del solito tonno salato e delle solite gallette di grano, banchetteremo con carne di piccione!»
Come previsto da Giordano, Giorgio d’Antiochia, l'Amiratus per chi parlava latino, l'Ammiraglio per chi conosceva solo il volgo del popolo, accolse la notizia con grande entusiasmo e riconoscenza. Concesse il bottino agli uomini di Giordano, ma riservò una colomba per sé. La bestiola sarebbe servita per inviare un falso messaggio all'emiro di Mahdia, rassicurandolo che il naviglio siciliano non era presente in quei mari.
Così si accrebbe ancor di più la fama di Giordano, e così, agli occhi degli uomini in armi, l'inspiegabile favore di Ruggero e del suo ministro nei confronti di quel nobile di modesto rango trovò più che una giustificazione nelle gesta di quella sera.
Capitolo 3
22 giugno 1148, Mahdia
Il viso di Kamal recava i segni del sale e del vento. Aveva circa cinquant’anni e aveva passato la sua giovinezza sul mare, gettando le reti e tirando le cime, alla caccia dei migliori coralli del Mediterraneo centrale; un duro lavoro che l’aveva ricompensato con un fisico che perdurava invidiabile nonostante l'età.
Se la sua giovinezza l'aveva passata in mare, lo stesso non poteva dirsi della sua età adulta,