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Rimatori siculo-toscani del dugento. Serie prima - Pistoiesi-Lucchesi-Pisani


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gravi pene 40 come sería del bene; ch'Amor ha in sé ben tanto signoragio, che mi pò dar coragio; e l'ire e l'ane e le pene e la noia mi poría ritornare a suo piacere in gioia.

      V

      Lodi della sua donna.

      Novellamente amore

       d'una donna piacente

       mi rallegra e mi conforta,

       da poi che 'l suo valore

       mi s'ha fatto servente; 5

       che cotanto preso porta

       d'esser la meglio acorta — tuttavia

       di null'altra che sia,

       la cui alta piacensa

       divisando non si pensa. 10

       Ell'è quella c'ha morta — villania,

       l'orgoglio e la follia;

       e senno e caunoscensa

       da colei prende crescensa.

       La beltá, che mantene, 15

       se pare in nulla parte.

       ogn'altra beltá dispare; chi piú mente la tene, piú fatta par per arte, tuttora piú bella pare. 20 E lo suo risguardare — gaio e gente, cui colpa, cuoce e sente di sí dolce ferita che nde cresce gioia e vita; e piú per lo parlare — suo piacente 25 'nnamora tutta gente; cosí è ben partita ch'a dir non sería finita. Per lo piacer m'ha vinto, per lo parlar distretto, 30 per l'operare conquiso, per la beltá m'ha cinto, che 'l core da lo petto pare che mi sia diviso, com'albore succiso — con catene. 35 La sua vertute bene vive in tale manera ca, vivendo, par che pèra. Ma l'amoroso viso, — che mi tene in sospiri e in pene, 40 non credo che soffèra che per lui morte mi fèra.

      VI

      Ama la sua donna, della quale loda le virtú; ma non ha coraggio di manifestarle il suo amore.

      Gioia né ben non è senza conforto

       né senza ralegranza,

       né ralegranza sanza — fino amore:

       rason è chi venir vole a bon porto

       de la sua desianza 5

       che in amoranza — metta lo suo core;

       ché per lo flore — spera l'omo frutto

       e per amor ciò ch'è disiderato.

       Perché l'amore è dato

       a gioia e a conforto senza inganno; 10

       ché, se patisse inganno, — fôra strutto

       lo ben d'amor, che tanto è conservato,

       né fôra disiato

       s'avesse men di gioia che d'afanno.

       Tant'è la gioia, lo preso e la piacenza, 15

       la 'ntendenza — e l'onore

       e lo valore — e 'l fino 'nsegnamento,

       che nascon d'amorosa caunoscenza,

       che differenza — amore

       no è prenditore — da vero compimento. 20

       Ma fallimento — fôra a conquistare

       senza affanare — cosí gran dilettanza,

       ca per la soverchianza

       vive in erranza — quel che s'umilia.

       Chi gio' non dia — non pò gioia aquistare, 25

       né bene amare — chi non ha in sé amanza,

       né compir la speranza

       chi no lassa di quel che piú disia.

       Perché sería fallire a dismisura

       a la pintura — andare 30

       chi pò mirare — la propria sustanza;

       ché di bel giorno vist'ho notte scura,

       contra natura, — fare

       e traportare — lo bene in malenanza.

       Unde bastanza — fôra, donna mia, 35

       se cortesia — mercede in voi trovasse,

       che l'afanno passasse

       e ritornasse — in gioia e in piacere,

       ché troppo sofferére — mi contraría;

       com'om, ch'è 'n via — per gir, che dimorasse 40

       e 'nanti non andasse né ritornasse — contra suo volere. Volere agio e speranza d'avanzare lo meo cominciamento per tal convento — ch'eo voi sia in piacere. 45 E ben volesse a reto ritornare, contra lo meo talento, né valimento — n'agio né podere. Cosí mi fère — l'amor, che m'ha priso del vostro viso — gente e amoroso, 50 per cui vivo gioioso, e disioso — sí ch'eo moro amando! E ciò ch'eo dico nullo dir m'è aviso, sí m'ha conquiso — e fatto pauroso l'amore, ch'agio ascoso, 55 piú ch'eo non oso — dire a voi, parlando.

      VII

      Dopo aver parlato della lotta, che combatte per la sua donna disserta sul ben fare e sulla follia.

      Sperando lungamente in acrescenza

       trar contendenza — d'alto signoragio,

       che mi dá tal coragio

       ch'ogn'altr'om i' ne credo sovrastare,

       di ben servir mi dona caunoscenza, 5

       che da ubidenza — nat'è per lignagio.

       E non è alcun paragio,

       che a l'ubidir si possa asimigliare,

       però che fa l'om fin preso aquistare

       e 'navanzare, e nascende onoranza 10

       e ricca nominanza.

       Servire e ubidenza

       vegnon da cognoscenza;

       di caunoscenza non è dubitato che nasce per fin senno ed è provato. 15 Da senno ven largheza, e cortesia oblia — torto, orgoglio e scaunoscenza e tutt'altra fallenza, che per rasion potesse dispiacere. E chi ben fa non usa villania, 20 né follia — comporta sofferenza; ed è matta credenza che l'un coll'altro possa sofferére, però che son diversi di valere; ché l'un val pregio, unde s'aquista amore, 25 e l'altro disamore. Però han diversitate e contrarietate; ché l'un contrar' per l'altro si disvia, come per morte vita tuttavia. 30

      VIII

      Lodi dell'amore: prega madonna che lo voglia amare.

      Uno giorno aventuroso,

       pensando in la mia mente

       com'amor m'avea inalzato,

       i' stava com'om dottoso,

       da che meritatamente 5

       non serve a chi l'ha onorato.

       Però vòlsi cantare

       lo certo affinamento,

       perché l'amor piú flore

       e luce e sta 'n vigore 10

       di tutto piacimento,

       gioia tene in talento

       e fa ogn'atro presio sormontare.

       Montasi ogne stasione, però fronde e fiore e frutta, 15 l'afinata gioi' d'amore; per questa sola rasione a lui è data e condutta ogne cosa, c'ha sentore: sí come par, li auselli 20 chiaman sua signoria tra lor divisamente tanto pietosamente, e l'amorosa via commenda tuttavia 25 perché comune vòlse usar con elli. Donqua, la comune usanza ha l'amor cosí agradito, che da tutti 'l fa laudare. Gentil donna, pietanza 30 inver' me, che so' ismarito e tempesto più che mare. Non guardate in me, fina; ch'eo vi son servidore: tragete simiglianza 35 da l'amorosa usanza, che da