(Perfezione intellettuale).
Swift ha parimente posti in ridicolo certi professori di scienze speculative dedicatisi allo studio di quanto veniva denominato in allora magia fisica e matematica; studio che non fondato su verun saldo principio, non indicato o comprovato dall'esperienza, penzolava tra la scienza ed il misticismo; di tal genere furono l'alchimia, la fabbricazione di figure di bronzo parlanti, d'augelli di legno volanti, di polvi simpatiche, di balsami efficaci senza applicarli alle ferite, ma bensì all'arma che le aveva fatte, d'ampolle di essenza atte a concimare iugeri sopra iugeri di terreno, e d'altre simili meraviglie predicate da impostori, i quali trovavano sfortunatamente i creduli che ne divenivano le vittime. La macchina del buon professore di Lagado, intesa ad affrettare i progressi delle scienze speculative, ed a comporre libri su tutti gli argomenti senza verun soccorso di genio o di sapere, era una allusione derisoria all'arte inventata da Raimondo Lullo, e perfezionata da quelle belle teste de' suoi comentatori, o al così intitolato metodo meccanico, la cui mercè Cornelio Agrippa, uno fra i discepoli di Lullo, s'arrogava il provare «che ciascun uomo può discutere su qualsivoglia argomento e, con un certo numero di nomi propri, di sostantivi e di verbi, tirare in lungo con molto splendore e sottigliezza una tesi, sostenendo ad un tempo due pareri contrari sopra la stessa quistione.»
Certamente al giorni di Swift un galantuomo poteva credersi trasportato in seno alla grande accademia di Lagado, allorchè leggeva la Breve e grande arte della dimostrazione, consistente nell'adattare il soggetto da trattarsi ad una macchina composta di diversi circoli fissi e mobili. Il circolo principale doveva essere immobile, e vi si leggevano i nomi delle sostanze e di tutte le cose che potevano somministrare un soggetto, come angelo, terra, cielo, uomo, animale, ec. Entro questo circolo fisso ne veniva introdotto un altro mobile su cui stavano scritti gl'incidenti, così chiamati dai logici, come quantità, qualità, relazione, ec. In altri circoli apparivano gli attributi assoluti e relativi, ec., con le formole delle quistioni. Girando i circoli in modo di far cadere gli attributi su la quistione proposta, doveva derivarne un guazzabuglio di così detta logica meccanica, che Swift senza dubbio aveva di mira nel descrivere la sua famosa macchina per comporre libri. Quante volte infatti vi erano stati ciarlatani che istituivano esperienze per portare al massimo grado della perfezione l'Arte dell'Arti (chè così fu chiamata). Mediante un tal metodo di comporre e di ragionare, Kircher che ha insegnato cento arti diverse di tal natura, ha rinnovellata e perfezionata, egli dicea, la macchina di Lullo; il gesuita Knittel ha composta su lo stesso stampo la Strada reale di tutte le scienze ed arti; sopra un egual sistema Bruno ha inventato l'arte della logica; e Kuhlman fa dubitare se siate desto, o sogniate, quando annunzia la sua macchina che conterrà non solamente l'arte delle cognizioni universali, o il sistema generale di tutte le scienze, ma eziandio quella di saper le lingue, di comentare, criticare, imparare la storia sacra e profana, di conoscere le biografie d'ogni specie, senza comprendervi la Biblioteca delle Biblioteche, ove si contiene l'essenza di quanti libri furono pubblicati. Quando si era arrivato a tanto che uomini reputati dotti millantavano con prosopopea ed in un sufficente latino la possibilità d'acquistare tutte le immaginabili cognizioni coll'aiuto d'uno stromento meccanico, assai somigliante ad un fanciullesco balocco, era tempo che la satira facesse giustizia di tante orride fanfaluche. Non è pertanto la scienza ciò che Swift ha cercato di mettere in ridicolo, ma bensì gli studi chimerici cui talvolta era stato compartito il nome di scienza.
Nella caricatura dei progettisti, Swift lascia trapelare le idee che lo affezionavano, mentre scriveva, alla fazione dei tory. Quando leggiamo la storia malinconica degli strulldbrugg (degl'immortali stanchi in formidabil guisa della loro immortalità), siamo condotti all'epoca in cui l'autore concepì quella indifferenza per la morte che a miglior diritto avrebbe sentita negli ultimi anni della sua vita scompagnati dalla ragione.[8]
Alcune severe diatribe contra la natura umana, non hanno potuto essere inspirate se non dall'ira che, come il medesimo Swift lo ha confessato nel comporsi il suo epitafio da sè, rodea da lungo tempo il suo cuore.
Confinato in un paese ove la specie umana era divisa in piccioli tiranni[9] ed oppressi schiavi, idolatra della libertà e dell'indipendenza che vedeva ad ogni istante calpestate, l'energia de' suoi sentimenti, fattasi omai incapace di freno, gli fece prendere in orrore una specie di viventi capaci gli uni di commettere, gli altri di sopportare tante ingiustizie. Non perdiamo di vista la sua salute che declinava ogni giorno, la sua felicità domestica distrutta dalla morte di una compagna da lui amata e dall'affliggente spettacolo del pericolo che minacciava la vita di un'altra donna statagli non meno cara, i giorni di lui appassiti nel loro autunno, la certezza di dover finire i suoi anni in un paese venutogli in avversione per non esser quello ove aveva concepite sì lusinghiere speranze, e dove avea lasciati i migliori fra i suoi amici. Questa totalità di circostanze può fargli perdonare una misantropia generale, che per altro non chiuse mai il cuore di Swift alla beneficenza. Tali considerazioni che non si restringono alla persona dell'autore, sono anche una specie d'apologia alla sua opera, la quale, ad onta del rancore che l'ha suggerita, offre una lezione morale. Certamente Swift non s'è inteso pignere in tutti gli enti fantastici della sua immaginazione l'uomo rischiarato dalla religione o anche dai soli lumi naturali della ragione; ma l'uomo digradato dal torpore volontario delle sue facoltà intellettuali, e dall'essersi fatto schiavo dei propri istinti, l'uomo sfortunato che vediamo nelle classi ultime della società, quando si abbandona all'ignoranza ed ai vizi ch'ella produce. Considerata la cosa sotto un tale aspetto, il ribrezzo inspirato da alcuni quadri debb'essere utile alla morale.
Non per ciò arriveremo ad affermare che la moralità dello scopo giustifichi la nudità del dipinto, nè l'artista, il quale ne ha presentato l'uomo nello stato di digradazione che lo accosta ai bruti. I moralisti dovrebbero imitare i Romani, che sottoponendo a pene pubbliche la generalità dei delitti, punivano con castighi segreti gli oltraggi fatti al pudore.
A malgrado d'inverisimiglianze giudicate tali or dalla ragione, or dalla preoccupazione, i Viaggi di Gulliver destarono un universale interesse; lo meritavano e per la novità e per l'intrinsico loro merito. Luciano, Rabelais, More, Bergerac, Alletz, e parecchi altri scrittori avevano ideato l'artifizio di far raccontare ad alcuni viaggiatori le scoperte da essi fatte in regioni ideali. Ma tutte le utopie immaginate per l'addietro si fondavano su puerili finzioni, o divenivano impalcamento ad un sistema d'impraticabili leggi. Era serbato a Swift il condire la morale della sua opera col sale della facezia, il farne sparire l'assurdo col frizzo della satira, il dare agli avvenimenti i più inverisimili l'aspetto della verità mercè il carattere e lo stile del narratore. Il carattere dell'immaginario viaggiatore Gulliver è esattamente quello di Dampier e d'ogni altro testardo navigatore di quell'età, che fornito di coraggio e di comune discernimento, dopo avere solcati rimoti mari, riportava a Portsmouth o a Plymouth i suoi pregiudizi inglesi, e raccontava gravemente e alla buona quanto avea veduto e quanto gli era stato fatto credere nei paesi percorsi. Un tal carattere è cotanto inglese che difficilmente gli stranieri lo possono valutare. Le osservazioni di Gulliver non sono mai più acute o profonde di quelle d'un capitano di bastimento mercantile o d'un chirurgo della City di Londra che torni da una lunga corsa marittima.
Robinson Crusoè, che racconta avvenimenti ben più prossimi alla realtà, non è forse superiore a Gulliver per la gravità e semplicità della sua narrazione.
La persona di Gulliver si scorge disegnata con tal verità che un marinaio affermava di aver conosciuto il capitano Gulliver; null'altro esservi di sbagliato fuorchè il luogo del suo domicilio, che era a Wapping, non a Rotherhithe. Una tal lotta tra la facilità naturale e semplicità dello stile e le meraviglie raccontate, è quanto produce uno dei grandi vezzi di questa memorabile satira delle imperfezioni, delle follie e dei vizi della specie umana; i calcoli esatti, che vengono istituiti nelle due prime parti contribuiscono a dar qualche verisimiglianza alla favola. Suol dirsi che ogni qual volta nella descrizione di un oggetto naturale le proporzioni sono ben conservate, il maraviglioso prodotto dall'impicciolimento o ingrandimento enorme dell'oggetto stesso è meno sensibile allo spettatore. Certo è che in generale la proporzione è un attributo essenziale della verità, e che, quando una volta il lettore ha ammessa l'esistenza degli uomini che il viaggiatore narra di aver veduti, egli è difficile il ravvisare veruna contradizione nel suo racconto; sembra al contrario che i personaggi in cui Gulliver si è scontrato, si