Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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scarpe da clown di circo, che tutti fissano, perché nessuno resiste a guardare il volto convulsamente stravolto del cadavere.

      Ore 9

      Da Via Mercanti irrompe sulla piazza una squadra di agenti, guidata da un commissario, che procede col cappello floscio sulla nuca, agitando il bastone davanti a sé.

      — Largo!… Largo!…

      La folla si apre, ondeggia, batte contro la facciata del caffè, incespica negli scalini del Loggiato.

      Gli agenti allargano il cerchio attorno al banco del Libro dei Libri, producono il vuoto sul lastricato.

      Il commissario si rivolge al vigile.

      — Un delitto, eh? Chi lo ha scoperto?

      Il vigile si stringe nelle spalle, indica il colosso.

      — Quello lì è il padrone del banco.

      Beniamino ha ritrovato la calma. Ha il volto chiuso, lo sguardo fiammeggiante.

      — Siete il padrone, voi?

      — Non ci sono padroni! Apparteniamo alla Lega Evangelica. Giobbe Tuama era un nostro fratello. Bisogna avvertire il Pastore.

      — Chi lo ha ucciso?

      — Il perverso opera nella notte! Il volto di lui ci è sconosciuto. Ma il Signore lo vede e lo colpisce. Egli ha tolto la mano dal capo di Giobbe Tuama e la folgore lo ha colpito…

      Il commissario spalanca gli occhi. Lo stupore che gli si dipinge sul volto è ineffabile. Oh! chi è mai questo pazzo, che parla come un invasato?

      — Ma che dice? Chi è lei?

      — Sono Beniamino O’Garrich… Un servo del Signore…

      Il commissario gli volta le spalle. Si vede davanti Bertrando. Il giovinetto è imbambolato. Tiene le braccia pendenti e dalle maniche troppo corte gli escono i polsi scarni, le grosse mani arrossate. Il commissario lo fissa. Soprattutto gli guarda i capelli, che urlano con quel loro straordinario colore.

      — E tu?

      — Anch’io appartengo alla Lega Evangelica. Ah! l’ho visto io per il primo… Chi può aver commesso un tale scempio?! Mi dica! E perché, perché?…

      È febbrile. Gli occhi gli brillano. A un tratto sussulta.

      — Il sacchetto! Il sacchetto!

      — Che dici? – grida il commissario, che comincia a sentirsi ghermire dalla follia. – Ma che dici?

      — È vero! – interviene Beniamino. – Il sacchetto col denaro del Signore!

      Si china verso il corpo, solleva il cappello a melone.

      — No! Non lo toccate!

      — Non c’è! – dice il colosso, raddrizzandosi. – Gli hanno rubato il sacchetto…

      — Ma quanto conteneva questo sacchetto?

      — Tutto il denaro della vendita di ieri.

      — Quanto?

      — Non so. Forse, mille lire, forse più…

      Per mille lire non si strangola un uomo, è il primo pensiero del commissario. Ma poi riflette che si sono dati casi in cui si è ucciso per molto meno.

      Comunque, adesso l’essenziale è di far togliere il corpo dalla piazza, altrimenti tra poco l’assembramento della folla interromperà persino il traffico nelle vie adiacenti. E proprio in Piazza del Duomo, di domenica, con la Fiera del Libro!

      Il giudice! Occorre il giudice che dia il nulla osta. Si penserà poi alle indagini. Provvederà il Questore. Lui, il commissario, era di servizio a San Fedele proprio per caso. Non vede l’ora di lavarsene le mani. È roba da Squadra Mobile quella lì e ci si divertirà il suo collega De Vincenzi, tanto non vuol altro, De Vincenzi, che i delitti misteriosi, i problemi complicati, gli enigmi! E con tutti quei pazzi avrà più di quel che desidera.

      Ma dove trovare il giudice di domenica, alle nove del mattino? A casa sua. Bisognerà mandarlo a prendere.

      Afferra un agente per un braccio.

      — Va’ alla Procura del Re, fatti dar l’indirizzo del giudice istruttore di servizio, corri a casa, portalo via con te… Oh! Dì anche che provvedano pel cancelliere…

      L’agente si allontana in fretta.

      Il commissario fa segno al brigadiere.

      — Voi! Rimanete qui. Non fate avvicinare nessuno. Non toccate il cadavere… Io vado a telefonare.

      E, chiuso nella cabina del caffè, dice al Questore:

      — Commendatore, un delitto alla Fiera del Libro… Ma sì… in Piazza Mercanti… La folla arriva sino in Piazza del Duomo… Un uomo con un naso enorme e due scarpe nere e quadrate. L’hanno strangolato… Ci sono due pazzi che denunciano la scomparsa di un sacchetto col denaro… Ma sì, dico pazzi per dire… Parlano come invasati… Appartengono alla Lega Evangelica… Che vuole? perdo la testa anch’io…

      Tace e ascolta. Dice di sì col capo, inghiottendo la saliva.

      Il Questore non dev’essere molto tenero, perché il volto del commissario si offusca ancor di più e assume un aspetto pietoso.

      — Sta bene, commendatore. Sì, al giudice ho provveduto. Aspetto lei. Grazie!

      Quando ritorna sulla piazza, deve alzare il bastone per farsi largo, perché la folla è aumentata.

      Conta gli agenti, che lo circondano. Sono sei. Vede i tre vigili.

      — Su, voialtri! Sgomberatemi la piazza. Tutti via!… Gli agenti piombano sulla folla.

      Si levano proteste. Comincia il tumulto. Qualche banco viene rovesciato.

      — Via! Via! Via!…

      — Neh! u’ capite ca qui nce se pò stà!

      — Benedetta Matri!

      Nove uomini contro una moltitudine. Ma la moltitudine indietreggia. La piazza è sgombra. Gli agenti e i vigili chiudono i quattro sbocchi. Il commissario percorre, tra i banchi, il terreno conquistato. Davanti al pozzo, si ferma a guardare la pentola di Penelope e aggrotta la fronte, perché non capisce che cosa ci stia a fare lì in mezzo.

      Beniamino e Bertrando sono rimasti davanti al morto, che, con la lingua penzoloni, sbarra gli occhi sotto la tavola del banco, fissando l’eternità.

      Ore 10

      È arrivato il giudice col cancelliere.

      E c’è il Questore che lo attende.

      Due agenti aiutano il dottore a estrarre il cadavere di sotto il banco.

      Operano con delicatezza. Il dottore è rotondetto. Col volto troppo grasso, di un grasso malsano. Lo sono andati a prendere alla Guardia Medica di via Agnello e lui è di cattivo umore, perché stava per andarsene a casa.

      Dal Loggiato, gli autori, gli editori, i commessi e le commesse guardano. La piazza è sgombera, coi banchi abbandonati. Tutti quei libri al sole! E la pentola d’alluminio di Penelope manda bagliori.

      In disparte, ai lati del banco del Libro dei Libri, si tengono Beniamino e Bertrando.

      Il Questore ha, come sempre, l’aspetto curato, leccato, elegante. Prima di uscire dall’ufficio s’è tolto il fiore dalla bottoniera, ma nell’asola è rimasta una fogliolina lanceolata di garofano.

      Scruta attorno a sé per la piazza, con quei suoi occhi vivi e penetranti. Ha subito capito che è una grana quella, che gli è capitata sulle spalle e ha mandato a chiamar De Vincenzi. Il commissario capo della Squadra Mobile è il suo parafulmine. S’è fatto un fama solida, oramai, il giovane funzionario. Molti dicono che è la Fortuna