aver contribuito a fargli padroneggiare gli avvenimenti e a dargli la chiave di enigmi indecifrabili; ma non si può trarre partito dal Caso, se non si hanno le cellule grige in pieno rendimento e una sensibilità pronta e vigile.
Il Questore lo sa e tiene quel suo prezioso collaboratore nel dovuto conto. Oramai la collana delle inchieste poliziesche condotte a felice termine da De Vincenzi è lunga: l’assassinio del banchiere Garlini, quelli ancor più misteriosi del senatore Magni e di Norina Santini, il groviglio fantastico del canotto insanguinato, che i giornali di tutto il mondo hanno chiamato «l’enigma dell’impermeabile rosso»… Ed ecco ora questo cadavere alla Fiera, che sbarra gli occhi nel vuoto sotto un banco e che sta gettando lo scompiglio proprio nel cuore di Milano.
Il Questore stringe la mano al giudice, gl’indica il corpo che il medico e due agenti hanno deposto sopra un gradino della Casa della Ferrata, ai piedi della saracinesca abbassata di un negozio.
— Abbiamo il fatto nostro!…
— Come lo hanno ucciso?
— Ce lo dirà il dottore…
Il giudice si morde nervosamente un labbro. È il tic di quell’omino arso e secco, col naso sottile, affilato, lunghissimo, da farlo sembrare un uccello di penne nere, così terreo com’è e coi capelli color carbone.
Il dottore ha manipolato per un poco, attorno al corpo del fu Giobbe Tuama.
Si volge e si avvicina al Questore.
— Strangolato! Gli hanno bellamente spezzata la carotide. Neppure una morsa di ferro!…
— L’ora della morte? – chiede il giudice, che è lettore accanito di romanzi polizieschi e che s’è già guardato attorno per vedere se il Questore abbia fatto venire dal Gabinetto di Polizia Scientifica i fotografi e gli esperti in impronte.
Il medico lo guarda con le sopracciglia sollevate, come si guarda un fenomeno.
— Durante la notte! – pronuncia, con ironia. – Vuol sapere l’ora! Come faccio a dirgliela, con un cadavere, che è rimasto all’aria aperta e senza che abbia a mia disposizione gli strumenti necessari? Le posso dire soltanto che dura ancora la rigidità cadaverica e che quindi l’uomo non può essere stato ucciso da più di un giorno, un giorno e mezzo…
— Lo credo! Ieri sera era vivo!
— Ebbene, se era vivo iersera… se lei può dirmi l’ora in cui lo hanno veduto vivo per l’ultima volta…
Il commissario, che si è avvicinato al gruppo, interviene.
— Alle ventiquattro circa i suoi compagni si sono allontanati, lasciandolo solo accanto al banco…
— Dunque, calcoliamo a un’ora, un’ora e mezza il periodo della flaccidità di primo grado, a cui subentra la rigidità…
Il dottore s’interrompe, si avvicina di nuovo al cadavere, ne tocca le mani, prova a sollevargli un braccio, a piegargli un dito. Sta per allontanarsene, torna indietro, palpa la mascella.
— Credo di non sbagliarmi di molto, dicendo che è morto da non più di nove ore…
— Perciò alla una… – conclude il Questore e il giudice si volge al cancelliere:
— Prenda nota.
Il dottore sorride. Ha l’aria di dire: eccoli a posto! adesso, hanno trovato l’assassino!; ma non lo dice, nonostante l’umore e il carattere bilioso, che egli deve anche al suo fegato.
— Io me ne posso andare, no?… Facciano portare il cadavere all’Obitorio di via Ponzio… Domattina farò l’autopsia…
E si allontana lentamente.
Da via Mercanti arriva strombettando l’auto del Gabinetto di Polizia Scientifica. Scendono i fotografi. C’è un giovane biondo e timido, che si avvicina al cadavere con precauzione e prima di cominciare il rilievo delle impronte volge in giro gli occhi supplici, come a chiedere il permesso o a pregare che non lo osservino. Quando lui ha finito, attaccano i fotografi.
— Vadano poi a fotografarlo all’Obitorio, dopo la toletta... – ordina il Questore.
Quando i nuovi venuti se ne sono andati, il giudice si mette a dettare il verbale al cancelliere, che scrive col foglio disteso sopra un mucchio di Bibbie.
Il Questore aspetta De Vincenzi. Comincia a impazientirsi. La lettiga è sulla piazza e lui non vuol far portar via il cadavere prima che lo abbia veduto De Vincenzi…
— Copritelo…
Un agente prende il copertone di tela cerata e lo distende sopra il corpo del fu Giobbe Tuama.
Il commissario sta raccogliendo per la piazza e sotto il Loggiato tutti coloro che hanno avuto rapporti o che hanno soltanto veduto l’uomo delle Bibbie la sera prima e li fa raggruppare attorno a Beniamino e a Bertrando. Il colosso domina il gruppo e con lui la chioma corvina di Tino Fiamma, che ha gli occhi più che mai stupefatti e non osa neppure più far la bocca a cuore, tanto quell’avvenimento lo ha sconvolto. Dove troverà le mille lire che gli occorrono, adesso che Giobbe è morto? Poi riflette: per il solo fatto che è morto non dovrà pagargli alla fine del mese le tremila lire che già gli deve… E si rasserena un poco. Ma l’urgenza immediata come la fronteggerà? Neppure c’è speranza di vender firme a una lira l’una, con quella catastrofe abbattutasi di schianto sui banchi della Fiera!
Ore 10 e 35
Da pochi minuti, il cadavere è stato posto sulla lettiga e il veicolo è partito a suon di sirena.
Il Questore ha atteso invano il commissario De Vincenzi. Finalmente, ha dovuto dar l’ordine di trasportare all’Obitorio i resti mortali di Giobbe Tuama. Una delegazione di editori e di autori gli si è presentata, per renderlo edotto del danno sensibile, che sarebbe derivato agli espositori, se i banchi non avessero potuto riprendere la vendita. Gli sforzi di un intero anno irrimediabilmente frustrati. Molte ditte private di un incasso sul quale facevano assegnamento. La linea del diagramma a rompicollo giù dalle alte cime conquistate, come presa da vertigine.
E il Questore ha ceduto.
Il giudice sta per allontanarsi.
— A chi affida l’inchiesta?
— Uhm… Alla Squadra Mobile…
— Ah!
E poi con amara ironia:
— Il commissario De Vincenzi scoprirà l’assassino per mezzo della psicanalisi!
— Ne ha scoperti degli altri – risponde il Questore, che difende il suo sottoposto a cui vuol bene; ma tra sé impreca: – Dov’è andato a cacciarsi quell’animale?! È più di un’ora che l’ho mandato a chiamare…
— Bene! Mi faccia sapere qualcosa. Io inizierò domani gli interrogatori…
E il giudice se ne va.
— Conduca a San Fedele i testimoni – ordina il Questore al commissario.
Il branco si avvia, fiancheggiato dagli agenti. Il Questore lo segue da lontano.
La Fiera è stata invasa dalla folla. Ma tutti si dirigono e sostano davanti al banco delle Bibbie, che Beniamino e Bertrando hanno coperto col tendone prima di abbandonarlo.
E nessuno acquista più libri dagli altri banchi. Neppure le ricette culinarie dalla scutrettolante servetta di Penelope. Un delitto di quella specie toglie l’appetito…
R
Capitolo III
Sempre la domenica
Il Questore non riusciva a vedere De Vincenzi, per la buona ragione che il commissario già da un paio d’ore si trovava in Piazza Mercanti, mescolato alla folla degli editori e degli autori.
Aveva persino