Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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Che vuole?»

      «Avanti! Continuate!»

      «Ih! Se m’interrompe?… Poi… Poi… Sicuro, glielo posso dire… Me lo ricordo… Il signor Aurigi è tornato che saranno state le cinque… Non era solo…»

      «Con chi?»

      «Un signore vecchio, diritto, molto distinto…»

      «Lo avete veduto altre volte?»

      «Mai!»

      R

      La risposta venne categorica. La donna era sincera, indubbiamente. Del resto, perché non lo sarebbe stata? Lei ancora non ci capiva niente.

      «E sono usciti?»

      «Lui… quel signore, solo, è uscito tardi. Noi stavamo mangiando, era tornato mio marito… Saranno state le sette e mezzo… Forse più tardi…»

      «E Aurigi»

      «È uscito anche lui, alle nove… Forse prima. Era vestito da teatro, andava alla Scala…»

      «Come lo sapete?»

      «E dove vuole che andasse? Non siamo mica di carnevale, che si va ai balli! E poi, lui va sempre alla Scala.»

      «Avanti!»

      «Avanti… avanti… Non ho più altro da dire. Io non l’ho più veduto.»

      «Siete andata a dormire a mezzanotte?»

      «Ecco… Le dirò…»

      La donna fece una pausa. Ma il suo imbarazzo scomparve subito.

      «Ecco. Questa sera sono andata a letto più presto. Subito appena chiuso il portone. Non mi sentivo bene… La nevralgia… Io soffro di nevralgie…»

      «Bene!»

      «Come bene!?» gridò la portinaia.

      L’altro alzò le spalle. Quella donna con le sue chiacchiere aveva servito a fargli ritrovare quasi tutti i propri mezzi; ma lo irritava.

      «Aurigi ha un cameriere?»

      La domanda richiamò la donna su quel fatto, che non l’aveva colpita ancora. Si guardò attorno, come se cercasse.

      «Ma sì… E non c’è? Non l’avete trovato in casa?»

      I due commissari si guardarono. Maccari si strinse nelle spalle. Poteva essere un indizio. Era quella una persona, che avrebbe dovuto esserci e che non c’era. In quella casa, al posto del cameriere avevano trovato un morto. Ma tutti e due sentirono che non era il filo giusto. Sarebbe stato troppo semplice. Un delitto volgare, un delitto di teppa. E non doveva essere così. Lì sotto c’era qualche cosa di più, qualche cosa di peggio.

      «No! Non l’abbiamo trovato. Lo avete veduto uscire?»

      «No! Ma è strano! Giacomo non esce mai.»

      «Si chiama Giacomo?»

      «Sì, Giacomo Macchi. Lo so, perché riceve una lettera ogni settimana…»

      «È vecchio?»

      «Così… Avrà cinquant’anni… Che ne so? È un uomo anziano… grigio.»

      E De Vincenzi riprese ad interrogarla su quel che specialmente lo interessava.

      «Aurigi… Il signor Aurigi riceve donne in casa?»

      Più che meraviglia, quella della donna fu ribellione.

      «Donne? Perché vuole saperlo? Che c’entra questo col furto?»

      «Chi vi ha detto che c’è stato un furto?»

      «Oh! Che c’è stato, allora? Perché si trovano qui, loro? Che cosa è successo?»

      «Dopo la una, questa notte, non avete sentito rumori, aprire e chiudere il portone, qualcosa di insolito, di sospetto?»

      No, non aveva sentito nulla. Né vi poteva esser dubbio: non mentiva. Era ancora troppo presa dall’imprevisto e troppo grande era la sua curiosità, perché lei non pensasse che a sapere. Se non altro per questo, diceva la verità.

      De Vincenzi si volse all’improvviso verso il portinaio e, prendendolo per la giacca e fissandolo negli occhi, gli chiese:

      «E voi… Voi non avete sentito nulla?»

      Il pover’uomo tremava come una foglia.

      «Io… Ah! Ma no, nulla…»

      La donna sogghignò:

      «Lui? Lui dorme! Se cadeva il palazzo, neppure lo sentiva…»

      Lo guardò con ironia e con disprezzo:

      «Lui dorme sempre!»

      A De Vincenzi quel disgraziato faceva pena e volle subito far tacere la donna, mettendola di fronte ad uno spettacolo, che l’avrebbe atterrita.

      «Avete coraggio, voi, donnetta mia? Avete tanto coraggio, quanta parlantina?»

      «Che vuol dire? Che c’entra il coraggio col dormire?»

      «Eh! vedrete che, dopo, vi sarà difficile prender sonno.»

      Le indicò la porta del salottino.

      «Guardate lì dentro.»

      La portinaia, invece di avvicinarsi alla porta, se ne ritrasse. S’era fatta diffidente. Si guardava attorno, quasi sentisse che le stavano tendendo un tranello.

      «Lì dentro? Che c’è lì dentro?»

      Il commissario la prese per un braccio e la condusse verso il salottino.

      «Venite con me e non spaventatevi. Intanto, a spaventarsi non si conclude nulla!»

      Appena varcato l’uscio, la donna vide la schiena del medico curvo sul divano e non si rese conto di quel che essa nascondeva. Avanzava, ancora baldanzosa, per quanto in lei la diffidenza fosse aumentata. Ma il medico si rizzò, traendosi da parte. Allora la donna vide e gettò un grido disperato. Un grido da belva ferita. Cercò di fuggire e si trovò davanti De Vincenzi.

      «Madonna mia!»

      «Su, su, coraggio… Cercate di farvi coraggio e guardatelo bene. Ditemi se lo avete mai visto, se lo riconoscete.»

      «No, non me lo faccia guardare… Madonna mia! Oh! Come faccio, io?»

      La voce del commissario si fece severa, gelida.

      «Guardatelo, vi dico!»

      «Madonna mia!»

      La donna si voltò, diede uno sguardo terrorizzato a quel morto, si coprì il volto con le mani e sarebbe caduta, se De Vincenzi non fosse stato pronto ad afferrarla e a farla sedere su di una poltrona. La fissava. Perché aveva ricevuta un’impressione così forte? Eppure in quel morto non c’era nulla di terrorizzante. Un foro in una tempia e null’altro. Neppure più il sangue sulla gota, che il medico glielo aveva lavato.

      Il dottore fece un passo avanti, perché gli sembrò che il suo dovere gli imponesse d’intervenire e che la donna stesse proprio male; ma De Vincenzi lo trattenne.

      «La lasci stare,» gli sussurrò. «Lasci che per qualche minuto faccia quel che vuole. Voglio vederne le reazioni.»

      Nella camera si fece silenzio. La portinaia teneva sempre il volto tra le mani. S’era come afflosciata e il petto le ansava.

      Intanto, nell’altra camera, suo marito s’era avvicinato a Maccari.

      «Signore… Signor commendatore…»

      Il commissario non sorrise neppure.

      «Che vuoi?… Ti sembro proprio un commendatore?»

      L’altro non capì che quella era una domanda ironica.