convulso. Si aggrappò al braccio di Maccari. Il suo terrore faceva pietà.
«Oh! Dio!… È una casa maledetta!… Lo sanno loro che questa è una casa maledetta?»
«Sta’ su! Non cadermi addosso! Che c’entra la casa, adesso? Gli uomini sono maledetti qualche volta, non le case! Sta’ su!»
Il portinaio cercò tenersi in piedi e sussurrò:
«Non le creda, sa? Non è vero! Non è vero! Se dice che è stato lui, l’inquilino della soffitta, non le creda! Quello è un bravo giovane, povero ma onesto! Lo so io! Non le creda.»
E guardava verso la porta del salottino, temendo che la moglie ricomparisse.
Maccari alzò le spalle. «Dillo all’altro commissario… È lui che fa l’inchiesta.»
De Vincenzi tornava, sostenendo per un braccio la portinaia. La fece mettere a sedere e le si pose di fronte a fissarla negli occhi.
La donna lo guardava con le pupille piene di stupore e di paura.
Il commissario le pose le mani sulle spalle e scandì: «E adesso, parlate!»
R
4. La prova terribile
Un silenzio di piombo pesava su quegli uomini, in quella stanza.
La pendola batteva i minuti, con piccoli scatti sonori. Sembrava un cuore, che palpitasse. L’unico, mentre tutti gli altri si erano arrestati.
Quando De Vincenzi parlò, la voce rivelava anche in lui il turbamento.
«Adesso non potete non dirmi la verità. Lo conoscevate il morto?»
La donna sembrava come ipnotizzata dallo sguardo del commissario. Fece cenno di sì col capo, con un movimento automatico, legnoso.
«Veniva a trovare Aurigi?»
«Sì…»
«Spesso?»
«Da due o tre giorni… tutti i giorni…»
«E prima?»
«No… No, non mi sembra… Forse, raramente… Lo avevo veduto uno o due volte in tutto.»
«E qui, da Aurigi, veniva anche una signora, è vero?»
Gli occhi della donna ebbero un lampo di paura, più che di meraviglia.
«Come lo sa?»
«Spesso veniva?»
«Sì…»
«Tutti i giorni?»
«Quasi tutti i giorni… Ma si tratteneva pochissimo… Non doveva essere, per quello che lei pensa…»
«Io non penso nulla. E oggi? Oggi, è venuta?»
«Sì…»
«Perché non me lo avete detto?»
«Non sapevo! Credevo che non interessasse… Io pensavo al furto. Il signore… Il signor Aurigi non voleva che dicessi che quella… Signorina veniva a trovarlo… Mi aveva raccomandato di non dirlo a nessuno!»
«Vi pagava bene, per tacere, vero? Ma questo non importa… Oggi, a che ora è venuta?»
«Alle quattro. Poco dopo che il signor Aurigi era uscito…»
«Ed è salita egualmente?»
«Sì… Saliva sempre, senza chiedere nulla. Io oggi avrei voluto avvertirla; ma poi ho pensato che forse lei sapeva che il signor Aurigi non c’era…»
«E quanto tempo è rimasta?»
«Non so…»
«Sicché, quando Aurigi è tornato oggi nel pomeriggio, con quel signore vecchio… La signorina era già in casa, qui dentro, cioè?»
«Sì… Doveva esserci…»
«E non l’avete vista uscire?»
«Dopo mezz’ora. È passata in fretta, quasi correndo… Era pallidissima. M’ha fatto impressione e sono uscita fin sul marciapiede e l’ho veduta prendere un tassì… Qui davanti… All’angolo di via Conservatorio.»
De Vincenzi si voltò a Maccari:
«Domattina, fammi il piacere di rintracciare quel tassì… Se lo trovi, mandami il conducente in Questura.»
Maccari fece di sì con la testa. Lui aveva ascoltato tutto quell’interrogatorio e si era detto che De Vincenzi doveva saperne più di quanto facesse mostra e che certo aveva già la sua idea circa quella signorina ed il vecchio signore.
De Vincenzi sollevò la donna per un braccio e la fece alzare.
«Basta! Per ora, basta. Tornate a letto, tutti e due… E zitti, eh? Non parlate con nessuno di questo neppure domani, o vi chiudo in guardina e vi ci tengo… Via!»
Spinse l’uomo, che tremava sempre ed era così curvo e piccolino da sembrare un vecchio decrepito e la donna, che adesso aveva perduta tutta la baldanza, verso la porta di fondo. Poi prese per un braccio un agente e gli sussurrò:
«Accompagnali giù e falli mettere a letto. Stai bene attento che non parlino con quel signore, che deve trovarsi adesso in portineria… Che non gli dicano niente, neppure una parola… Hai capito?»
«Sì, cavaliere.»
E l’agente seguì in fretta i portinai, che uscivano.
Adesso, si trovarono di nuovo soli De Vincenzi e Maccari, perché Cruni si era ritirato in anticamera.
De Vincenzi aveva il cervello che gli turbinava. Era evidente lo sforzo che faceva, per dominare il turbamento, e anche quello di voler vedere nettamente, lucidamente. Cercava di non pensare ancora ad Aurigi. Eppure, era proprio lui la causa di quel suo stato d’animo, che il commissario non aveva mai conosciuto. Un delitto! Un delitto, per quanto egli fosse ancora giovane, non l’avrebbe davvero turbato.
«Non credere alle apparenze,» gli disse Maccari, guardandolo e scuotendo la testa. «Io sento che qui sotto c’è qualcosa, che per ora ci sfugge. Qualcosa di terribile e di innaturale. Qualcosa che ripugna alla ragione!»
L’esclamazione dell’altro fu spontanea, violenta quasi.
«Eh! Volesse Iddio che fosse soltanto innaturale!»
«Gli sei amico?»
«Sì… E credevo di conoscerlo!»
«Lo ritenevi incapace?»
«Di assassinare? Sfido! Non volevo dir questo. Pensavo ad altro… ma ancora non credo niente. Dici bene tu: ci sono cose che ripugnano alla ragione.»
«Sì… soprattutto il veleno! Il veleno non lo capisco. Perché, vedi…»
Ma s’interruppe di colpo, chè dal salottino veniva il dottore. Aveva l’aria soddisfatta come chi abbia terminato un compito difficile e pure per lui interessante.
«Gli ho tolto gli abiti. Sono lì. Ho lasciato il cadavere svestito, ma l’ho coperto con un lenzuolo. Le posso dire che non c’è stata lotta. Si direbbe che sia stato colpito di sorpresa. Il proiettile gli è entrato nella tempia, da destra, un poco indietro e gli si è fermato nella scatola cranica. Domani si potrà estrarlo e allora vedremo il calibro, ma dev’essere un calibro piuttosto grande… più di sei millimetri. La morte è stata istantanea.»
Parlava, mettendosi il pastrano. Poi prese il cappello e si cacciò la sua busta nera, che aveva richiusa, sotto il braccio.
«Domattina le farò avere il rapporto sul veleno… Ah! Ho segnato in terra il contorno dei cadavere col gesso. Lo fanno tutti, oramai… in Germania… in America… Vuol sapere altro?»
No,