Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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Anche tu, adesso, senti il bisogno di rinnegare il passato?»

      «No! Hai chiesto perché io mi trovi qui? Ebbene, te lo dico. Ci sono venuta, perché il rimorso mi ci ha spinta. Il rimorso di averti indotto a fare quel che hai fatto…»

      Aurigi agitò le mani avanti, come per scacciare una visione ossessionante. Fece un passo verso Maria Giovanna, stava quasi per urlare, quando vide De Vincenzi e Marchionni e tacque.

      La giovane continuava:

      «Il rimorso di non averti mai amato e di avertelo lasciato credere… e di averti ingannato. È questa la verità, Giannetto! Io ti avrei sposato solo perché tu eri ricco… Perché ti credevo ricco… E mio padre aveva bisogno di un uomo ricco, che lo aiutasse…»

      Il conte strinse i pugni e sibilò:

      «Maria Giovanna, ti proibisco!»

      Con un colpo della testa all’indietro, Maria Giovanna si eresse sulla persona, quasi volesse apparire più grande, quanto più si umiliava con la sua confessione:

      «Che cosa mi vuoi proibire, babbo? Non possiamo più tacere! Non possiamo più! Credi che domani non si saprebbe?… Adesso… Oh! adesso frugheranno sino in fondo alla nostra vita… sino in fondo alle nostre anime… Avrei voluto tacere anch’io… Poco fa ho taciuto… Ma ora capisco che non è più possibile nascondere la verità…»

      Si volse di nuovo ad Aurigi:

      «Le condizioni della nostra famiglia erano precarie. Una bella facciata e dietro la rovina. Un palazzo… servi… ma la lotta quotidiana per puntellare questa apparenza di ricchezza ci pesava addosso fino a schiacciarci…»

      Parlava, nulla nascondendo, dilaniandosi nello spasimo di quella confessione atroce fatta proprio all’uomo, che aveva ingannato e che lei credeva di aver spinto all’assassinio.

      «Io fino a qualche anno fa, ho ignorata la tragica lotta che mio padre e mia madre sostenevano eroicamente… Le terre perdute una ad una… I ripieghi… Le argenterie, i quadri, i mobili di prezzo andati a vendere lontano e sostituiti con ottone argentato e con copie… Poi venne la volta dei gioielli di mia madre… Poi i debiti….»

      Si volse a indicare suo padre, ma nulla in lei era dell’accusatrice.

      «Lui ha lottato con una forza, che io ammiravo… Mi nascondeva tutto… Mi ha sempre nascosto… Adesso, soffre di più, perché ha saputo che io sapevo! Mia madre dovette confessarmi tutta la verità! E mi disse che l’unica speranza di mio padre ero io! Soltanto un matrimonio ricco, un mio matrimonio ricco, avrebbe potuto salvarci. E allora… Poiché essi ti credevano ricco, Giannetto… Poiché mi dissero che tu solo avresti potuto salvarci, acconsentii a sposarti… Divenni la tua fidanzata…»

      Aveva detto tutto, ma soggiunse, con un singhiozzo:

      «Soltanto… soltanto non avevo riflettuto che tu mi amavi veramente e che sarebbe venuto presto o tardi il momento in cui io avrei dovuto farti questa mia atroce confessione!»

      Il conte aveva ascoltato Maria Giovanna, come piegato sotto il peso delle parole di lei. A quel singhiozzo, che aveva interrotta la frase della giovane, trovò la forza per reagire e scattò:

      «Basta! Basta! Non una parola di quanto ha detto questa pazza è vera! Il fatto stesso delle condizioni in cui si trova Aurigi lo dimostra! Se avessi voluto un genero ricco, non avrei scelto lui!»

      Un altro silenzio seguì. Pieno di ansia.

      Maria Giovanna fece un passo verso suo padre e gli disse con dolcezza, quasi volesse tentare di convincerlo:

      «Vuoi dire che egli ti ha ingannato, babbo? Che tu ti sei ingannato? Sì, questo è vero. Abbiamo creduto che Aurigi fosse ricco… Forse, lui stesso ha fatto di tutto per farcelo credere… Ma di quanto è accaduto ieri notte in questa casa io mi sono sentita colpevole quanto Giannetto. Perciò sono venuta qui. Non dovevo, non potevo abbandonarlo. Non l’ho amato, non lo amo, e lui ha creduto nel mio amore, fino al punto di farsi assassino per non perdermi!»

      Livido, col volto contratto, i muscoli vibranti, contenendo a fatica la violenza esplosiva delle sue passioni, Giannetto si avvicinò, quasi di balzo, a Maria Giovanna e l’afferrò al polso. La sua voce suonò fischiante, inumana d’odio:

      «Tu come sai che sono stato io l’assassino? Come fai a dirlo?… Anche in questo momento vuoi recitare una commedia infernale per perdermi! Sgual…»

      De Vincenzi, che aveva assistito con freddezza a quel terribile dibattito di due anime atrocemente disperate, si era avvicinato ai due e si trovava dietro di essi. Appena vide che Giannetto non riusciva più a dominarsi, gli afferrò il braccio e lo strinse così forte da obbligarlo a lasciare il polso di Maria Giovanna.

      «Taci! Taci, tu!»

      Spinse Aurigi con violenza lontano, più lontano che poté.

      «Taci!»

      Quando lo vide appoggiato al muro con gli occhi spenti, con le labbra improvvisamente cadenti, tornò verso la giovane e la sostenne, perché stava per mancare. Con dolcezza, la condusse sino al divano e ve la fece sedere.

      Di nuovo il silenzio cadde in quella camera.

      E fu lui, De Vincenzi, sempre lui, che lo ruppe per primo.

      Chinatosi verso Maria Giovanna, mormorò con dolcezza:

      «Lei questa notte, contessina Maria Giovanna, è stata in questa casa…»

      La giovane chinò il capo.

      «Perché c’è stata? È necessario, ormai, dire tutto!»

      Ma Marchionni, intervenne con decisione:

      «Parlerò io, commissario!»

      «No! Ancora no!» disse De Vincenzi, con voce ansiosa. «Verrà il momento in cui dovrà parlare, conte Marchionni. Ma, non è questo.»

      «Ma io ho il diritto, per Dio!»

      «No! le dico. Uno solo qui dentro, adesso, ha il diritto d’interrogare e sono io. Un delitto è stato commesso. Non dimentichiamolo! Se attorno a questo fatto determinante, decisivo, che ha mosso l’ingranaggio della giustizia sociale, ci sono altri fatti, altre tragedie personali, che ad ognuno di voi possono anche sembrare capitali, che per ognuno di voi costituiscono il fatto centrale, io è soltanto del delitto e dell’autore di esso che debbo occuparmi. Tutto il resto conta per me soltanto in quanto serve ad illuminarmi. Adesso, conte Marchionni, lei deve tacere, altrimenti sarò obbligato a farlo accompagnare altrove!»

      Marchionni tacque.

      Il commissario si volse di nuovo a Maria Giovanna e le disse, con voce ferma:

      «Contessina, lei ha lasciato cadere un bastoncino di rosso per le labbra in questa stanza e una fialetta di acido prussico di là, nel bagno. Come io possa affermare che la fialetta è stata lei a farla cadere, non lo so. Poteva essere stata lei come un’altra persona. Voglio dire che non ne avevo le prove. L’ho subito intuito, ma prove non ne avevo, fino a quando lei stessa non me lo ha confessato. E adesso so che è stata lei. Dunque, lei è venuta qui questa notte. Non ha ucciso Garlini, ma c’è venuta. Vuole dirmi perché e come?»

      Maria Giovanna alzò gli occhi verso De Vincenzi e nel suo sguardo egli lesse una preghiera disperata.

      Il commissario rispose a quello sguardo: «Sì, sì, è necessario, è indispensabile! Tutto quello che ancora si può salvare, si salverà soltanto se lei parlerà…»

      La giovane disse con un soffio:

      «Ci sono venuta per incontrare Garlini…»

      «Lei sapeva che Garlini si sarebbe trovato in questa casa a mezzanotte?»

      «Sì…»

      De Vincenzi stava per fare un’altra domanda, ma guardò Giannetto ed ebbe un’esitazione. Poi si decise.

      «E