Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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a nulla, ma voglio dargli una lezione…»

      L’agente seguì il detective e De Vincenzi chiuse l’uscio.

      Tornava in sala da pranzo, quando vide Giacomo dirigersi verso la propria camera. Gli sbarrò il passo.

      «E voi dove andate?»

      «Credevo che non avesse bisogno neppure di me…»

      «Infatti per ora non mi servite; ma ha bisogno di voi la casa e tra poco ne avrò bisogno anch’io… Andate di là e non preoccupatevi di altro che del vostro servizio. Fate, come se nulla fosse accaduto.»

      Il cameriere scosse la testa:

      «Credo che non sarà facile…»

      Con voce di nuovo gelida, il commissario gli intimò:

      «Vi sarà facile, ad ogni modo, non venir di qua, se non vi chiamo.»

      E, rientrato nel salotto, chiuse la porta con cura, attardandosi nei movimenti, quasi avesse voluto dar tempo al suo spirito di calmarsi interamente. Quando si volse verso Maria Giovanna era corretto e cortese, e sorrideva.

      La giovane, per nulla turbata o intimidita da quello che si annunciava come un vero interrogatorio, fu la prima a formulare una domanda:

      «Dov’è Aurigi?»

      «Non lontano. Vuole parlargli?»

      «Gliene sarei grata…» mormorò Maria Giovanna, con voce divenuta improvvisamente malsicura.

      «Prima a lui o prima a me?» scandì De Vincenzi, fissandola.

      «Lei… Lei deve avere udito quanto ho detto…»

      «Certo! Ho udito; ma udire non significa comprendere e soprattutto non vuol dire credere.» La giovane supplicò:

      «Bisogna credermi!… Ho detto la verità…»

      «Una triste verità, signorina!… Che, se fosse realmente tale, non salverebbe nulla e nessuno.»

      «Purtroppo, ormai non c’è più nulla da salvare!»

      C’era tanta disperazione in quelle parole, che persino De Vincenzi ne rimase turbato.

      «Comunque,» disse con forza, anche per reagire a se stesso, «io debbo comprendere.»

      E subito aggiunse, con voce piena di affettuosa cordialità:

      «E in quanto alla rovina, essa non è mai così definitiva come la si ritiene in un istante di smarrimento!»

      Un lungo fremito percosse visibilmente la giovane. Tacque, per contenere l’impeto della disperazione, che traboccava, ma non ci riuscì. E dovette coprirsi il volto con le mani.

      «Quel che è accaduto in un giorno è terribile! Abbia pietà di me!»

      «E come potrei non averne, signorina?»

      La condusse verso una poltrona e la fece sedere. Lei si muoveva come un automa. Quando De Vincenzi la vide quasi rassegnata, le insinuò dolcemente:

      «Perché ha voluto accusarsi di avere ucciso Garlini, signorina Marchionni?»

      La giovine trovò un ultimo scatto di resistenza:

      «Perché l’ho ucciso!» gridò.

      «E perché lo avrebbe ucciso… proprio lei?»

      «Non le basta che le dica di averlo fatto?»

      Ma il commissario la fissava così intensamente, che lei mormorò senza accorgersene:

      «Ci sono cose che non si confessano…»

      «Sì… Qualche volta è più facile confessare un delitto, che non si è commesso!»

      Ma Giovanna lo guardò, poi volse altrove lo sguardo ed ebbe un gesto. Sembrava tranquilla. Si mise le mani sulle ginocchia, alzò il volto e disse lentamente:

      «Lei ha torto a non volermi credere. Io ho realmente ucciso Garlini.»

      De Vincenzi prese una sedia e sedette di fronte a lei.

      «Vogliamo dire che lei beneficierebbe di tutte le attenuanti, se lo avesse ucciso?»

      La giovane sussultò. Fu con terrore che fissava adesso il commissario e gli gridò, quasi per allontanare da sé una minaccia:

      «Perché dice questo? Che cosa sa lei? La scongiuro! Mi dica quello che sa…»

      «Si calmi. Quel che posso sapere io non muta il fatto avvenuto, né il corso degli eventi.»

      Due lacrime erano apparse agli occhi di Maria Giovanna.

      «Oh! Mi creda… mi creda e non cerchi di sapere altro!»

      «Lei ha ucciso un uomo, materialmente, con un colpo di rivoltella in una tempia…»

      Aveva pronunciate queste parole lentamente, scandendole, battendole in ogni sillaba. Fece una pausa. Si alzò poi di scatto e andò verso il caminetto. Tese la mano, per indicare la pendola:

      «E dopo aver fatto tutto questo, lei, contessina Marchionni, ha girate le sfere di quella pendola, perché segnassero un’ora di più?»

      Con profondo stupore, Maria Giovanna chiese:

      «Che pendola? Che cosa dice? Io non ho toccato quella pendola…»

      Il grido del commissario fu di trionfo.

      «Ecco! Lei non ha toccato questa pendola. Io ne sono assolutamente convinto. Ed è per questo che lei non ha ucciso Garlini!…»

      «Ma che dice? Che c’entra la pendola?» ripeté Maria Giovanna.

      Il commissario aveva riacquistata la sua tranquilla indifferenza.

      «Non cerchi di capire! E creda a me! È troppo difficile farsi condannare per un delitto, che non si è commesso. Più difficile certo che non salvarsi, dopo aver commesso un delitto!»

      Non mutò tono di voce, per chiedere all’improvviso:

      «Dov’è stata questa notte, contessina Marchionni, dalle undici e mezzo alla una?»

      Adesso, il grido di vittoria lo ebbe Maria Giovanna.

      «In questa casa!»

      «Lo so!» disse con la medesima pacatezza De Vincenzi e trasse dal taschino del panciotto il piccolo lapis rosso per le labbra, che Maccari aveva raccolto, sotto il divano. Lo fissò un istante e lo porse alla giovane.

      «Ecco, se permette… Questo le appartiene.»

      La contessina prese quel piccolo oggetto d’oro, che riluceva, e chiese:

      «Dove l’ha trovato?»

      «Per terra, qui, in questa stanza. Quello è un innocuo bastoncino di rosso per le labbra… cinabro artificiale… ravviva il volto… È una convenzione e una concessione. È un segno di vita, certamente, e lei, signorina, lo ha perduto qui… Lo ha lasciato cadere in questa casa…»

      Dopo un breve silenzio, continuò:

      «Ma non è la sola cosa che questa notte lei abbia smarrita in questa casa, contessina…»

      Dolorosamente, come tra sé, Maria Giovanna sospirò:

      «È vero! Anche la ragione vi ho smarrita…»

      De Vincenzi le si avvicinò e le mormorò a voce bassissima, come un soffio:

      «Anche una fiala di veleno, che può togliere la ragione e la vita!»

      Se fu possibile, il pallore di Maria Giovanna aumentò e lei ebbe quasi una vertigine.

      «Come fa a saper questo?»

      «Sapere? Ma io non sapevo che la fiala le appartenesse! Lei, però non credeva d’averla perduta!»