Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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Dico! Se vi fate gioco di me, buonuomo, ve ne potreste pentire!»

      Il cameriere lo guardò meravigliato:

      «Io? Ma che dice?»

      «Guardate!» disse De Vincenzi, traendo dal cassetto un’altra rivoltella. «E questa qui di chi è? Il vostro padrone aveva una collezione di rivoltelle?»

      Lo stupore di Giacomo appariva profondo.

      «Ma no! Una sola. Quella lì non c’era! No, non l’ho mai veduta, signore. Permettetemi di osservarla…»

      E tese la mano. De Vincenzi stava per dargliela, ma si trattenne.

      Osservò la rivoltella, ne annusò il foro d’uscita, come aveva fatto con l’altra, ed ebbe un gesto.

      «Aspettate!»

      Depose sul tavolo la rivoltella, che aveva tolta a Giacomo e, ravvolta la seconda nel proprio fazzoletto, se la mise in tasca.

      Si volse a Cruni:

      «Telefonate subito al dottore, al cimitero Monumentale, che mi mandi il proiettile estratto… E poi cercate un armaiuolo, che alle…»

      Guardò la pendola sul caminetto ed ebbe un sorriso, mentre traeva il proprio orologio dalla tasca. Sì, la pendola andava proprio un’ora avanti. Continuò, rivolto a Cruni:

      «…che alle undici venga qui… Appena fatto questo, andate dove sapete e fate quanto vi ho detto…»

      «Va bene, dottore,» disse Cruni, avviandosi verso l’ingresso. «Vuole che faccia salire Paoli qui da lei?»

      «Non importa. Ditegli soltanto di non muoversi dalla portineria per nessuna ragione.»

      Il commissario aspettò che il brigadiere fosse uscito e poi si volse a Giacomo:

      «E adesso, a noi due.»

      Sedette e indicò una seggiola al cameriere.

      «Sedete pure. Ho bisogno di sapere molte cose da voi. A che ora siete uscito, ieri sera?»

      Giacomo rimase in piedi.

      «Alle undici. Il padrone mi aveva dato il permesso. Egli sapeva che non sarei tornato che stamane…»

      De Vincenzi trasalì.

      «Ah! Lo sapeva?»

      «Certo!» disse l’altro. «Egli stesso mi aveva detto ieri mattina che sarei stato libero. Ogni settimana il signor Aurigi mi dà una notte di permesso. Di solito il venerdì sera. Questa settimana ha voluto cambiare. Ieri mattina, mi disse: “Giacomo, oggi è martedì, ma non importa, sarai libero stanotte, invece di venerdì. Lo preferisco”.»

      Seguì un silenzio. De Vincenzi si diceva che, quanto più avanzava nelle indagini, tanto più la colpevolezza di Aurigi appariva manifesta.

      «E voi, ogni settimana, portate via la rivoltella?»

      «Sì. Che c’è di male? Vado in una casa alla Cagnola, a cinque minuti di strada dopo il capolinea del tranvai. Le strade da quella parte sono brutte, di notte…»

      «E Aurigi non si era mai accorto che portavate via… per precauzione… la sua rivoltella?»

      «No, mai! Gliel’ho detto: lui della rivoltella non aveva mai occasione di servirsi.»

      «Bene. Controlleremo poi la verità di quanto dite. Ma badate bene! Stanotte, in questa casa, è stato commesso un delitto…»

      Il cameriere diede un passo addietro. Il terrore che si era dipinto sul suo volto doveva essere sincero, pensò De Vincenzi, oppure quell’uomo era un delinquente indurito, un attore consumato.

      «No!» esclamò con voce rauca. «Il mio padrone?»

      «Non il vostro padrone. Lui è sano e salvo. Ma rendetevi conto che tutto quello che dite… compreso il vostro alibi… ha un’importanza estrema…»

      «Non vorrà mica dire!…» non cercava neppure di nascondere il proprio turbamento. Doveva sentirsi soprattutto in preda a spavento.

      «Voglio dire proprio quel che dico!» pronunciò De Vincenzi freddamente. «Ma voi non dovete pensare che a dire la verità…»

      L’uomo si guardava attorno smarrito.

      «Ma chi?… Chi?… E dov’è il mio padrone?»

      «Sedete!» ordinò il commissario e questa volta automaticamente, l’uomo sedette. «Ieri, siete rimasto in casa tutto il giorno.»

      «Sì.»

      «Raccontatemi quello che è avvenuto qui dentro, nel pomeriggio di ieri…»

      «Ma… non so…» rispose Giacomo, stringendosi nelle spalle. «Nulla di anormale, credo.»

      «Aurigi è uscito alle tre?»

      «Sì… alle tre… o forse più tardi… No, credo che siano state proprio le tre…»

      «E mentre lui era fuori, è venuta…»

      «Lo sa?» esclamò con meraviglia Giacomo.

      E subito aggiunse:

      «Sì, è venuta la signorina… Le ho detto che il padrone era fuori e l’ho fatta entrare qui, in questa sala. Nulla di strano, del resto. Quando il signor Aurigi non c’era, la signorina entrava sempre qui… o di là, nel salottino, e lo aspettava…»

      «Veniva ogni giorno… la signorina

      «Ma no!» fece l’altro con meraviglia. «Perché ogni giorno?»

      De Vincenzi lo scrutò. Chi dei due mentiva? Lui o la portinaia? La donna aveva detto che la signorina veniva tutti i giorni.

      «Badate! Cercate di essere assolutamente preciso. A me risulta che veniva ogni giorno!»

      Il cameriere si strinse nelle spalle:

      «Se risulta a lei!»

      Il commissario capì che aveva a che fare con un soggetto particolarmente ombroso e suscettibile. Occorreva prenderlo per il suo verso.

      «Bene! Vediamo di trovare la verità. Se non ogni giorno, quando?»

      «Oh! raramente. Una volta alla settimana, per esempio, o più di rado o più di frequente, secondo i periodi. E poi erano visite sempre molto brevi le sue. Si tratteneva col signore in questo salotto o di là nella sala da pranzo… Parlavano, ma la signorina aveva sempre una gran fretta. Il signore non se ne mostrava soddisfatto, naturalmente.»

      Era evidente che quell’uomo, su questo punto almeno, non mentiva. Oh! perché lo avrebbe fatto, del resto?

      Ma, in tal caso, come accordare le affermazioni della portinaia con quella del cameriere?

      Anche la portinaia non era possibile mentisse. Troppo spaventata, in quel momento, per farlo! E poi, in ogni caso, se anche avesse voluto farlo e per il proprio interesse, avrebbe mentito, negando quel fatto, come aveva tentato al principio, e non ammettendolo. Lei evidentemente riceveva denaro da Aurigi o dalla stessa signorina Marchionni e una tal cosa non si confessa mai volentieri.

      Ma allora?

      Poteva ammettere, De Vincenzi, che la contessina entrasse nel portone di Aurigi, senza recarsi dal suo fidanzato?

      L’ipotesi era arbitraria. Ma tutta la realtà della vita non è forse arbitraria?

      Era un problema, questo, che il commissario si riservò di esaminare e di risolvere in appresso.

      Per il momento, l’essenziale era di ottenere che quell’uomo, che gli stava davanti, parlasse.

      «E poi? Continuate!»

      «Dopo una mezz’ora… O forse più… Sentii suonare di nuovo. Era il mio padrone con un signore…»