Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi


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credo, cavaliere!»

      De Vincenzi tornò subito verso il conte.

      «Mi scusi! Come vede, facilito il compito al suo detective… Un brav’uomo, quell’Harrington… Aspettava di potersi occupare di un delitto, di un vero delitto, con così ansioso desiderio!… Mettersi un nome inglese, come Sherlock Holmes, e doversi occupare soltanto d’informazioni e di pedinamenti… Un martirio! Ma il buon Dio lo ha aiutato, finalmente…»

      Fece una pausa, e poi, fissando Marchionni, chiese:

      «Ma a che cosa crede che le possa essere utile, signor conte, l’opera di un detective privato?»

      «Intanto, a recare un aiuto alla Polizia… E a rendere, quindi, più rapida l’istruttoria…»

      Aveva nella voce un leggero sarcasmo; ma De Vincenzi non sembrò rilevarlo, perché disse con perfetta sincerità: «Grazie!»

      «E poi a dimostrare a tutti, nel caso ce ne fosse bisogno, che il conte Marchionni, pur essendo Giannetto Aurigi il fidanzato di sua figlia, non ha esitato a prendere decisamente posizione contro di lui…»

      «… dato che sia colpevole realmente…» insinuò con un sorriso dolce il commissario.

      Il conte lo fissò con attenzione, quasi con meraviglia:

      «Oh questo sì, naturalmente. Ma purtroppo quali speranze si potrebbero avere, ch’egli sia innocente? Ha trovato qualcosa, lei? A che punto è l’inchiesta?»

      «Al principio, per conto mio, al principio…» rispose De Vincenzi, scuotendo il capo. «In quanto al giudice istruttore, credo non l’abbia neppure iniziata, se non per pura forma ancora…»

      «Vede!… No, no, non ritengo che ci si possa fare illusioni…»

      E tacque, chinando il capo.

      «È un delitto complesso e terribilmente oscuro,» osservò il commissario, anche per rompere l’imbarazzo di quel silenzio. «Tutto sembra accusare Aurigi. Non si riesce a pensare chi potrebbe essere stato, se non lui. Eppure la ragione si ribella ad ammetterlo…»

      «Sì, infatti, la ragione di chi lo ha conosciuto fino a ieri, di chi gli ha data tutta la sua fiducia, sino al punto da accoglierlo nella propria famiglia, si rifiuta a crederlo colpevole. Ma appunto perché ho temuto che, questa volta, la ragione s’identificasse col sentimento… O col tornaconto, ho ritenuto mio dovere far qualche cosa di effettivo, di visibile, per contribuire a svelare la verità.»

      Adesso l’ironia di De Vincenzi apparve manifesta:

      «Mettendo in opera le doti di indagine e di deduzione del nostro amico Harrington?»

      Il conte si alzò. E disse con un certo calore:

      «Precisamente! Comunque, egli sarà un testimonio.»

      «Per noi», disse freddamente De Vincenzi, «non ce ne sarebbe stato bisogno, di un testimonio!»

      «Già la sua ragione, dottore, che pure non può essere né sentimento, né tornaconto, come mai esita ad accettare tutte quelle prove… che esistono ed accusano Aurigi?»

      «Perché sarebbe la prima volta che un delinquente avrebbe messo in opera tutte le proprie doti d’intelligenza e di astuzia, per rendere assolutamente inequivocabile la propria colpevolezza!»

      «Oh!» fece Marchionni, alzando le spalle, «Aurigi, anche assassino, non sarebbe che un assassino occasionale…»

      «Sì… ma, se si toglie la premeditazione a questo delitto, il delitto non poteva compiersi. E, se la si ammette, esso non poteva venir compiuto nel modo con cui sembra esserlo stato…»

      «Perbacco!» esclamò il conte.

      Sembrava, più che colpito dalle parole del commissario, imbarazzato. Per cambiar discorso e quasi per mettersi subito sopra un terreno pratico e affrontare la situazione nettamente, disse irrigidendosi:

      «Ma lei voleva interrogarmi…»

      L’altro corresse con troppa cortesia, per essere sincero:

      «Un colloquio, le ho chiesto. Non mi sarei permesso un interrogatorio! Ma non le nascondo che faccio appunto assegnamento su quanto vorrà dirmi lei, per far fare all’inchiesta un passo decisivo…»

      «Non saprei come; ma può cominciare…»

      De Vincenzi sembrò raccogliersi un istante e poi, fissando il suo interlocutore, domandò:

      «Ieri sera, Giannetto Aurigi è stato alla “Scala” con loro, nel suo palco?»

      «Aurigi era il fidanzato di mia figlia. Potrei cercare giustificazioni a questo fatto, che mi è impossibile negare. Preferisco non cercarle. Era fidanzato da un anno. Avrebbe dovuto sposarsi dopo la Quaresima. Le accerto, però, che questo matrimonio, per mia decisione, non si sarebbe fatto»

      «Perché?… Se vuol dirmelo…»

      «Da qualche mese a questa parte, Aurigi si era messo a giocare. Il mese scorso ha avuto una fortissima perdita in Borsa. Questo mese la sua situazione era ancora peggiore. Anche se non fosse accaduto… Quel che è accaduto, egli non avrebbe potuto evitare la rovina.»

      «Capisco!» disse De Vincenzi. «A che ora ha lasciato il teatro, ieri sera, Aurigi?»

      «Dopo il secondo atto dell’Aida. Saranno state le undici.»

      «Ed era stato nel ridotto con lei?»

      «Questo è abbastanza esatto,» riconobbe subito Marchionni, con un breve sorriso. «Fui io ad invitarlo a venire con me nel ridotto per parlare. La discussione fu tempestosa, quanto naturalmente poteva essere tempestosa una discussione nel ridotto della “Scala”, in mezzo a tutta la gente, che ci ascoltava.»

      «Dal ridotto, Aurigi si allontanò per uscire di teatro?…»

      «No. Tornò nel palco. Si trattenne qualche minuto con mia moglie e con mia figlia e poi, accusando un improvviso mal di capo, ci salutò ed uscì.»

      «Lei rimase nel palco con le signore?»

      «Sì… Naturalmente…»

      De Vincenzi notò che, per la prima volta da quando dava le sue risposte, Marchionni aveva manifestato un leggero imbarazzo. Lo fissò e il conte continuò subito, in fretta:

      «Intanto, era cominciato il terzo atto… Mia figlia andò a far visita alla marchesa di Belmonte, nel suo palco, e rimase con la figlia della marchesa, che è sua amica, sino al termine dello spettacolo. Uscì dal teatro assieme a loro e tornò a casa nell’automobile della marchesa.»

      «Vedo…» mormorò il commissario. «Sicché sua figlia è rientrata al palazzo verso la una di notte…»

      «Calcolo appunto a quell’ora…»

      «Lei la vide rientrare?» chiese subito De Vincenzi, scrutandolo.

      «Sì. Ma perché mi fa queste domande? Non vedo come possa interessarla tutto quanto ieri sera abbiamo fatto io e la mia famiglia…»

      «Infatti! Non m’interessa… È soltanto per precisare le ore e per rendermi conto di quelle che possono essere state le mosse di Aurigi, che io le chiedo dove e come abbiano trascorsa la serata lei e i suoi…»

      «Se le fa proprio piacere, allora, le dirò che io, terminato lo spettacolo, sono andato al Savini e poi al Clubino... Dal Clubino sono uscito alle due… O circa alle due.»

      «Oh!» esclamò De Vincenzi. «Strano!…»

      L’altro disse sarcasticamente:

      «Che cosa è strano? Che io abbia ceduto ad un presentimento, rimanendo fuori di casa proprio nelle ore in cui si stava commettendo un omicidio?»

      «Io credo ai presentimenti,» disse De Vincenzi.

      «Io