alla giovane di riprendersi, di tornare a trincerarsi dietro quella sua menzogna eroica ed inutile.
Ah! no. Adesso, avrebbe agito a fondo.
Quella giovinezza già martoriata dal dolore lo angosciava; ma c’era un morto, c’era il suo dovere c’era anche l’assoluta necessità, che si era imposta, di salvare Aurigi e tanto più doveva farlo adesso che lo sapeva infelice, colpito anche nel proprio sentimento di uomo, ferito nel cuore.
Tutto quel racconto era, forse, sincero. Anzi, lui lo riteneva sincero e veritiero. Ma non spiegava l’assassinio, non spiegava la presenza di Maria Giovanna in quell’appartamento proprio la notte del delitto, soprattutto non spiegava la fiala del veleno.
E lassù in alto, c’era quell’altro essere umano, sorto improvvisamente ad illuminare di luce avvampante gli avvenimenti, il quale pure doveva sapere qualche cosa, perché non era presumibile che avesse dormito placidamente, mentre a poca distanza da lui la donna che egli amava stava vivendo un’orribile tragedia.
Avrebbe agito.
Guardò la donna. Sicuro, avrebbe cominciato proprio da lei!
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11. Un dolore più forte del dolore
L’uscio del salottino si era aperto e sulla soglia era comparso il conte Marchionni.
Aveva il volto contratto, lo sguardo sfavillante. Un piccolo fremito gli agitava le labbra. Si mise ad osservare sua figlia e De Vincenzi, che vivevano quel terribile dramma, sino in fondo, e tacque.
De Vincenzi, dopo una pausa brevissima, disse con voce decisa:
«Ebbene, signorina, parlerò io, allora. Ma sarà più doloroso per lei, perché mi occorrerà aiutare la logica con la fantasia. Ricostruire anche nei particolari il dramma dei cervelli. E sarò brutale, perché io ho dovuto cercarla la verità, interrogando le cose, guardando dietro le apparenze…»
Marchionni con voce tagliente, facendo un passo innanzi, intervenne:
«Le apparenze ingannano, commissario!»
De Vincenzi si voltò, senza meraviglia, e disse con profonda amarezza:
«Lei ha voluto ascoltare?»
«Non è regolare il suo modo di procedere. Che valore può avere una confessione estorta coi suoi mezzi ad una donna?»
La frase colpì il commissario in pieno petto. Ebbe un sussulto. Il sangue gli affluì alle gote e lui si diresse rapido verso l’uscio della sala da pranzo.
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«Allora, poiché lei lo vuole, facciamo le cose regolari.»
E picchiò all’uscio.
«Apri!… Sono io… Il commissario…»
Subito la porta si aprì e l’agente comparve. De Vincenzi lo trasse con violenza da parte.
«Va’ via! Lì, in quell’altra camera… Dove vuoi.»
Lo spinse verso l’ingresso e richiuse la porta dietro di lui. Poi tornò rapidamente sui suoi passi:
«Aurigi! Aurigi! Vieni qui…»
Sempre in frak, col volto stanco e lo sguardo allucinato, Giannetto apparve. Vide Maria Giovanna e il conte ed ebbe un gesto per allontanarsi, per difendersi. Indietreggiò; ma De Vincenzi lo trattenne.
«No! Vieni avanti,..»
E lo spinse in mezzo alla camera. Poi guardò, quasi con sfida, il conte.
«Ecco! Ora ci sono quasi tutti. Adesso, ritiene il procedimento regolare, conte Marchionni?»
«Non credo!» affermò il vecchio. «Ho sentito parlare di un giudice istruttore e conosco il codice di procedura penale…»
«Conoscete anche,» chiese subito con ironia il commissario, «oltre il codice, il trattato classico di Tardieu sui sintomi e sul decorso dell’avvelenamento per acido prussico?»
«Che cosa vuol dire?» chiese il conte.
Maria Giovanna era balzata avanti e gridava con voce terrorizzata:
«Ah! No… questo no… Non ne ha il diritto!»
Ma De Vincenzi non si trattenne.
«Voglio dire,» scandì con voce gelida, «e ne ho il diritto, che sua figlia, conte, la notte scorsa, in questa casa, ha lasciato cadere una fiala contenente tanto acido prussico da uccidere una mezza dozzina di persone.»
«Tu sei stata qui, questa notte?» gridò il conte a Maria Giovanna. E nella sua voce era più che altro un disperato accento di supplica.
«C’è stata!» disse De Vincenzi, frapponendosi tra padre e figlia. «Mentre lei si trovava al “Savini” o al “Clubino”…»
Il conte e il commissario si affrontavano.
«Come fa a negarlo, lei, se sua figlia lo confessa?»
L’altro rispose con sarcasmo:
«Ha anche confessato di avere ucciso Garlini!»
«Sicuro! E invece non lo ha ucciso. Siamo d’accordo. Ma la sicurezza, che non lo abbia ucciso, lei, conte, da che cosa la trae?»
Marchionni ebbe un brevissimo istante di esitazione, poi alzò le spalle:
«Non ne sarebbe stata capace…»
«Perché non afferma anche che non aveva ragioni per ucciderlo?»
«Quali ragioni poteva avere?»
«Io le ho chieste a lei!»
«Una sola persona aveva interesse ad uccidere Garlini…»
«Crede?»
«Lui!»
«E, infatti, Aurigi,» riprese con forza De Vincenzi, «ha ammesso di averlo ucciso… anche lui. Non le sembra che due rei confessi di uno stesso delitto siano troppi? E non le sembra che questa sua implacabile volontà di accusare Aurigi sia… inspiegabile?»
«Mia figlia ha tentato un melodrammatico sacrificio di se stessa, per un nobile amore!»
«Lo crede, proprio? Ad ogni modo il sacrificio è stato inutile.»
Il colloquio tra i due uomini si era svolto serrato ed ecco che la voce di Aurigi, piena di spasimo, si rivolse a Maria Giovanna:
«Ma perché? Ma perché? Perché hai voluto far questo? Perché ti hanno condotta qui?»
La giovane si alzò. Era così pallida da far fremere. Vacillava. Rispose quasi allucinata, come se le parole le uscissero in uno stato sonnambolico e la sua volontà cosciente fosse tutta tesa a contenere il fremito interiore:
«Giannetto!… Giannetto, io sto per commettere verso di te la vigliaccheria di parlare troppo tardi… Forse, se avessi parlato prima, tutto questo non sarebbe avvenuto…»
Con un movimento spontaneo, De Vincenzi si era tirato da parte. Sentiva che il dramma, di nuovo ondeggiando come cosa viva, era passato nel dominio di quei due esseri, che il destino squassava. Per un po’, lui non poteva essere se non spettatore e lo comprese così bene, che ascoltò con tutta l’anima negli occhi, ma da lontano.
Marchionni avrebbe voluto frapporsi. Non poté. Una forza estranea a lui lo trattenne: sentì che qualcosa di nuovo, di diverso, di più atroce, stava per accadere.
«Che vuoi dire, Maria Giovanna,» chiese Aurigi, quasi con terrore.
E la risposta venne, terribile.
«Io non ti amo, Giannetto! Non ti ho mai amato. Ti ho sempre considerato soltanto come un amico… come un buon amico…»
L’altro, anche perché