Sandra Carmel

La Cattura


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      Più si avvicinava a quella donna intrigante, più il suo corpo canticchiava con risoluta armonia, come se l’aura di lei lo avesse avvolto in una calda coperta escludendo il resto del mondo.

      Dei magnifici capelli biondi incorniciavano il viso della ragazza, le cui onde cadevano sulle sue spalle slanciate.

      “Non ti ho mai visto qui prima”.

      Il suo accento la identificava come nativa norvegese, un’alta, magra e sexy autoctona.

      Roba da stella del cinema.

      Il suo cuore iniziò a battere al ritmo della big band.

      “N-no”, balbettò.

      “No. Studio all’università.

      Facoltà di Scienza e tecnologia a Gløshaugen”.

      Non aveva neanche risposto alla sua domanda.

      Doveva pensare che fosse un idiota di prima classe.

      “Uhm... Non mi sono avventurato fuori un granché.

      Ho una borsa di studio,

      mi sto concentrando sullo studio

      perché non posso permettermi di perderla”.

      Ok, ora suonava meglio.

      Dieci e lode per aver fatto una grandiosa prima impressione.

      Ora probabilmente pensava anche che fosse un nerd fifone.

      Lei sorrise come a dire ‘ha perfettamente senso’, oppure ‘ non so perché ma ti darò un’opportunità’, e porse la mano candida.

      “Capisco.

      Mi chiamo Rhoda, sono anch’io una studentessa e vivo in fondo alla strada”.

      È un invito?

      Lui strinse la sua mano mentre brividi deliziosi saltavano da sinapsi a sinapsi.

      “Sono Abe.

      Piacere di conoscerti”.

      Molto piacere.

      I suoi lombi erano d’accordo.

      Le coppie si radunavano sulla pista da ballo.

      Doveva chiederle di ballare e poi offrirle da bere.

      Era così che il rituale di corteggiamento iniziava in Australia.

      In Norvegia, così straniera per lui per tanti versi, non aveva idea.

      L’etichetta poteva essere molto diversa, giusto?

      Si schiarì la gola.

      “Quindi... “

      “Ti piacerebbe accompagnarmi a casa?”

      La speranza che traspariva dai suoi occhi li faceva luccicare come torce.

      Cosa?!

      “Ma sono appena arrivato.

      Ci siamo appena incontrati.”

      “Si tratta solo di una piccola passeggiata.

      Possiamo conoscerci meglio sulla strada.

      È difficile parlare qui”.

      O aveva una mentalità estremamente aperta o l’aveva fraintesa completamente.

      Di norma era bravissimo a inquadrare le persone, le situazioni, i codici.

      Ma fino a quel momento niente era normale in quell’interazione.

      “Uhm...”

      “Dai,

      vivi un po’”.

      Lei afferrò la sua mano e lo condusse verso l’uscita.

      L’aria ghiacciata sferzava la pelle come se la volesse scorticare.

      Abe rabbrividì e tirò su il colletto del cappotto, mentre Rhoda sembrava non risentirne affatto, neanche un po’ di pelle d’oca sulla pelle nuda, come se fosse immune al freddo.

      Girarono a sinistra e fecero una passeggiata sul lungomare.

      “Sono tutte così coraggiose le ragazze norvegesi?”

      Lei rise e la sua risata era ricca e melodiosa come un canto di sirena.

      “Hai un forte accento.

      Da dove vieni?”

      “Dalla Tasmania, in Australia.

      Ma non hai risposto alla mia domanda”.

      “Dipende dalla ragazza.

      Gli uomini australiani sono tutti così pronti a fare supposizioni?”

      “Fare supposizioni?

      Non sto supponendo nulla”.

      Lei si fermò, i suoi magnetici occhi verde giada fissavano quelli di lui.

      “Una ragazza ti invita ad accompagnarla a casa e tu non hai in testa supposizioni e aspettative?”

      Lui ridacchiò, quindi continuarono a camminare.

      “Mi hai beccato.

      Più che altro sono curioso”.

      “Di quel che potrebbe accadere”.

      “Sì,

      ma sto cercando di mantenere una mentalità aperta a riguardo”.

      “È la maniera migliore”.

      Lui guardò il profilo equilibrato di lei.

      “Chiedi spesso agli uomini di accompagnarti a casa?”

      “Importerebbe qualcosa se lo facessi?”

      “No, quello che fai sono affari tuoi”.

      “No”.

      “No?”

      “Normalmente non chiedo agli uomini di accompagnarmi a casa.

      Questa è la prima volta”.

      “Davvero?”

      Questa donna era un enigma che neanche lui riusciva a districare.

      Sanguigna, attraente, provocante, e tuttavia innocente?

      “Perché è così facile per te credere che lo abbia già fatto prima, ma non che sia la prima volta?”

      Lui sfregò il mento ben rasato con la mano ghiacciata.

      “Sembri così sicura di te”.

      “Lo sono... Di te.

      Sembri retto e affidabile”.

      “Ora chi è che fa supposizioni?”

      Lei scoppiò di nuovo in quella musica che era la sua risata.

      Arrivarono a una villa gotica imponente, un palazzo in arenaria, con una fontana che raffigurava Psyche e Eros che rumoreggiava sul davanti.

      “Wow.

      Vivi qui?”

      “Sì,

      questa casa appartiene alla mia famiglia da generazioni”.

      Percorsero i gradini consumati fino a una grande porta in quercia con sinuosi cardini e battente neri.

      Lei lasciò andare la sua mano, cercò nelle tasche e tirò fuori un’antica chiave di ottone che sembrava uscita direttamente da un museo.

      Rhoda entrò e proseguì lungo l’oscuro corridoio.

      “Non entri?”

      Anche se a distanza, lui era rimasto nella sua bolla ammaliatrice.

      Abe la seguì, come un cucciolo adorante tirato da un guinzaglio invisibile.

      Sulla sinistra si ergeva una scalinata e lei andò verso una