Sandra Carmel

La Cattura


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metteva in testa di tirare su qualcuno, non si fermava finché non otteneva un qualche risultato.

      E con Eva ci riusciva sempre.

      Prima o poi.

      Il resto del lunedì e il martedì trascorsero senza che vi fossero notizie da Richard.

      Il mercoledì sera, Eva smise di sperare che si sarebbe rifatto vivo.

      Eva stava cucinando quando il telefono squillò.

      La speranza riemerse nel suo cuore che batteva a mille.

      Richard?

      Pensieri razionali invasero il suo cervello scacciando la gioia.

      Dubitava che fosse lui, dato che l’aveva evitata fin dal loro appuntamento.

      L’insicurezza l’affliggeva, punzecchiando la ferita emotiva che pensava fosse già guarita.

      Prima l’aveva abbandonata suo padre, poi Richard.

      Tolse la padella dal fuoco e andò nel corridoio per fermare lo squillo incessante.

      “Pronto?”.

      “Eva, ti senti bene?

      La tua voce sembra un po’ giù”.

      Richard.

      La gioia le dava le classiche farfalle nello stomaco.

      La sua voce profonda e sensuale le riportava alla mente la sua canzone preferita, innescando ricordi nostalgici.

      Aspetta.

      Può stravolgere il mio umore solo con una parola?

      “Sto bene, grazie”.

      Una specie.

      “Come stai tu?

      Che hai fatto di bello?”

      “Lavoro, lavoro e ancora lavoro, sfortunatamente”.

      “Capisco”.

      Ora arriva il discorso ‘mi dispiace ma non credo che la nostra relazione potrebbe funzionare’, oppure la classica stronzata ‘non sei tu, sono io’.

      “Mi dispiace veramente di aver annullato lunedì.

      Cosa fai sabato sera?”

      “Niente, perché?”

      “Mi piacerebbe portarti fuori”.

      Davvero?

      “Dove?”

      “È una sorpresa.

      Fatti bella, ti vengo a prendere alle cinque e mezza”.

      Oh.

      Che fosse ancora interessato?

      Oppure voleva semplicemente comportarsi da gentiluomo, portarla fuori un’ultima volta e poi rompere con lei di persona.

      L’unico modo per scoprirlo era accettare.

      Eva faticò a dormire quella notte, troppo nervosa ed eccitata per il loro prossimo appuntamento.

      Quando tornò a casa dal lavoro il giorno seguente, davanti alla porta trovò un pacco avvolto in carta marrone con un biglietto e una rosa rossa.

      Richard.

      Dev’essere da parte sua.

      Non aveva altri corteggiatori.

      Con un sorriso così grande che immaginava potesse essere visto fin dalla luna, afferrò il pacco, prese la rosa e annusò il suo meraviglioso profumo.

      Andò dritta nel salotto, si sedette sul divano e tirò fuori il biglietto dalla busta rossa.

      La calligrafia inclinata all’indietro di Richard scorreva in linee pulite lungo quel piccolo spazio.

      Cara Eva,

      mi sei veramente mancata questa settimana.

      Non vedo l’ora di rivederti sabato sera.

      Richard

      P.S.:

      Non ho resistito e ti ho preso questo.

      Spero che ti piaccia.

      Eva aprì il pacco svelando una copia in edizione speciale di Nord e Sud.

      Liberò il prezioso libro, passò la mano sulla copertina color nero e oro e sfogliò le pagine dal bordo dorato.

      Aveva quell’inebriante odore di libro antico.

      Un regalo davvero premuroso, per non parlare del dolcissimo messaggio che lo accompagnava.

      Doveva implicare un interesse romantico, vero?

      Le sue parole erano una cosa, ma per dimostrare che intendeva sul serio ciò che aveva scritto, avrebbe dovuto confermarle con azioni coerenti, inclusa l’intimità fisica, sempre che lui considerasse se stesso come il suo ragazzo.

      Capitolo Sei

      Il decifratore

      Trondheim, Norvegia 1937

      Il compagno di stanza di Abe spinse il libro di testo via dalla scrivania facendolo cadere sul pavimento.

      “Ma dai!

      Lo sai che sei un genio coi codici.

      È semplicemente una serata fuori,

      non ti farà male.

      Potrai finire la revisione domani”.

      Il ragazzo aveva ragione.

      Abe era sempre stato un mago della matematica e adorava creare e risolvere rompicapi.

      Se la parola ‘crittografo’ avesse avuto una foto accanto sul dizionario, sarebbe stata la sua.

      Una notte lontano dallo studio avrebbe potuto persino fargli bene.

      Avrebbe potuto servire a calmargli i nervi, che erano il suo vero problema.

      Si prepararono e andarono a un club sotterraneo, molto popolare, apparentemente frequentato da bellissime donne - o almeno era quanto asseriva il suo compagno di stanza.

      Quello era stato l’argomento decisivo.

      Lo swing martellava contro le doppie porte chiuse, sorvegliate da due massicci buttafuori.

      Il suo amico strinse loro le mani, scambiò qualche parola e lo condusse dentro attraverso un muro di fumo.

      Gli occhi di Abe si abituarono all’oscurità.

      Gruppi di uomini in tiro e di donne in abiti attillati riempivano la vasta area.

      Un gruppo suonava sul palco che sovrastava la pista da ballo piena di gente, con rivoli di fumo che si diffondevano nell’aria allegra.

      Sulla sinistra c’era un piccolo guardaroba, mentre un bar luccicante occupava il resto della parete di sinistra.

      “Prendiamoci una birra”, disse il suo amico guidandolo lungo un tortuoso percorso diretto al barista più vicino.

      “Offro io”.

      Abe prese alcune corone dal suo portafogli e ordinò i loro drink.

      E poi la vide.

      La più bella creatura che avesse mai visto.

      I suoi occhi verde giada tagliarono il fumo e incrociarono i suoi dall’altra parte del bar e fu come se delle piccole mani invisibili lo spingessero in avanti.

      “Scusa, devo andare”.

      Abe passò le birre al suo amico senza distogliere gli occhi da quelli della donna e iniziò ad andare verso di lei.

      “Abe?”

      La voce del suo compagno di stanza gli arrivò attraverso il rumore,

      ma Abe non si fermò, come un treno su un binario diretto