Ricerche puntuali, basate su fonti quantitative, relative alla seconda metà del ‘300 e al primo ‘400 hanno dimostrato come la percentuale dei fiorentini che vivevano allora dell’arte della lana non si discostava di molto da quella indicata dal Villani per il 1338.40
Anche per altre città sono state proposte cifre relative agli addetti al settore laniero. A Padova alla fine del XIV secolo vi sarebbero state impiegate 18 mila persone, tra la città e la campagna circostante.41 A Siena già il Constituto del 1262 fa riferimento a «quam plures familie civitatis Senarum» che vivevano della manifattura laniera;42 quasi due secoli dopo, nel 1448, i consoli dell’Arte lamentavano che le importazioni di panni forestieri, oltre a compromettere «l’honore et la reputatione» della città, incapace di provvedere a se stessa, mettevano in crisi la manifattura locale grazie alla quale «si governa et nutre il terzo delle persone d’essa vostra città».43 A Vicenza nel Quattrocento, una città di circa 20 mila abitanti, sarebbero stati intorno a 7.000 quanti lavoravano a vario titolo nell’arte della lana.44
È evidente che tali stime non hanno un fondamento certo: gli uomini del tempo non disponevano di strumenti atti a elaborare statistiche di questo tipo. Tuttavia, nelle città dove la manifattura laniera era più sviluppata, appare diffusa l’opinione che essa desse da vivere a circa un terzo della popolazione: una sorta di valutazione ad occhio, di percezione, che in qualche caso trova riscontri puntuali in fonti di tipo quantitativo.45 Di conseguenza, i momenti di crisi della manifattura –tutt’altro che rari, anche per cause non strettamente economiche, ma che attenevano al quadro politico e alle vicende belliche– avevano ripercussioni immediate su quanti vivevano di essa.46 Anzi, tanto più questa rappresentava il cuore dell’economia di una città, tanto maggiori erano le consegueur negative dei momenti di crisi. Da qui, la consapevolezza da parte dei governi di quanto la manifattura della lana giovasse all’economia e al benessere delle città.47
Coloro che traevano i mezzi per vivere lavorando la lana, appartenevano in larga parte agli strati sociali più bassi: erano indicati come ‘poveri’. Nelle fonti pubbliche e private il collegamento tra lavoratori subordinati della lana e condizione di povertà è pressoché costante. Il Costituto in volgare di Siena del 1309 sottolinea l’importanza dell’arte della lana perché «molte povare persone per lo ministerio de la detta arte continuamente si sostentino».48 Sempre a Siena nel 1366 si sottolinea come da tale manifattura traevano sostentamento «innumerabiles mares et femine pauperes».49 Giordano da Rivalto nelle sue prediche di inizio ‘300 definisce «feminelle povere» le addette alla filatura della lana.50 Nella Vicenza del primo ‘400 si dice che «bona pars pauperum personarum civitatis Vincentie et districtus vivit ex lanificio et eorum familias sustentant».51 In una lettera del 1410 scritta da ser Lapo Mazzei a Cristofano da Barberino si dice in riferimento a Firenze che «l’Arte della Lana non lavora; e la grande turba de’ poveri, che solea qui bere, fa con l’acqua»;52 ossia i lavoratori della lana, rimasti senza lavoro, non acquistavano più vino e bevevano acqua. Nella manifattura tessile –scrive Leon Battista Alberti una ventina di anni dopo– «s’adoperano molte mani [e] ivi in più persone il danaio si sparge, e così a molti poveri utilità ne viene».53
Non mancano testimonianze dirette da parte degli stessi lavoranti. Così un pettinatore di Prato dice di sé «lavora quando truova a l’esercizio di pettinare la lana»; uno scardassiere senese vive «dì per dì poveramente».54 A Milano nel 1485, in una supplica indirizzata a Galeazzo Maria Sforza, i pettinatori e gli scardassieri si definiscono «poverissimi et veneno meno et non hano el modo del vivere».55
Certo non tutti coloro che vivevano dell’arte della lana, svolgendo lavori manuali, erano ‘poveri’. Alcuni avevano posizioni economiche più solide (i tintori ad esempio, qualche tessitore proprietario di più telai, qualche addetto alle gualchiere);56 ma la maggior parte, di gran lunga, costituiva quella fascia sociale a rischio di scivolare nell’indigenza ogni qual volta si presentassero momenti di congiuntura negativa, quali il rincaro dei prezzi di prima necessità o la discontinuità dell’occupazione.57
Gli interventi dei governi cittadini nei confronti della manifattura laniera ebbero come obiettivo principale l’impianto e l’incremento della produzione locale e, successivamente, la difesa dalla concorrenza esterna.
Vanno nella prima direzione l’attenzione e il favore con cui si guardava all’immigrazione di maestranze specializzate in grado di dare impulso alla locale arte della lana. È un fenomeno che incontriamo in molte realtà urbane e per un arco cronologico ampio. Le difficoltà di varia natura attraversate da alcune città manifatturiere, in Italia e fuori d’Italia, provocavano esodi di artigiani specializzati attirati altrove da incentivi quali esenzioni dal carico fiscale e dal pagamento della tassa di iscrizione all’Arte, agevolazioni sulla casa di abitazione o sull’apertura di botteghe, concessioni di prestiti, ecc.58
In qualche caso le città adottarono interventi di natura dirigistica –non si sa quanto coronati da successo– come fu il caso del Comune di Siena che cercò più volte, a cavallo fra Tre e Quattrocento, di imporre all’Arte di confezionare un numero minimo di panni l’anno e di qualità superiore.59 In altri casi si mirava a diversificare e a migliorare la produzione prendendo a modello i tessuti di altre città.60 Del resto fabbricare panni a imitazione di quelli prodotti altrove era allora prassi comune.61
Interventi sicuramente più efficaci riguardarono la costruzione a spese dell’erario degli impianti necessari al processo produttivo (fonti, lavatoi, gualchiere, tiratoi, fondaci, ecc.) e di conseguenza, in molti casi, la proprietà pubblica di essi, ulteriore prova dell’importanza attribuita alla manifattura laniera. Le testimonianze in tal senso sono numerose e riguardano centri manifatturieri di diverso rilievo, distribuiti nelle varie parti dell’Italia centro-settentrionale.62
La difesa delle manifatture locali passò spesso attraverso provvedimenti protezionistici che vietavano l’importazione di panni forestieri,63 o che penalizzavano le manifatture dei centri soggetti a vantaggio di quella della città dominante.64 Provvedimenti che non sempre brillavano per coerenza ed efficacia.
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