Alek's Books

La colpa è sua


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chi cazzo tromba, mi chiesi, mentre pulivo l’ultimo taglio sul collo del ragazzo. Avrei voluto avvicinarmi a quel collo, annusarlo, coprirlo di piccoli baci. J si girò di scatto, il viso solo pochi centimetri dal mio. I capelli biondi e bagnati gli scendevano sugli occhi. Mi fossi lasciato andare alle emozioni, mi sarei perso. Subito. Non so cosa avrei dato per baciare quelle labbra. Ma il ragazzo aveva bisogno di tutt’altro adesso, ne ero consapevole e volevo fare il gentiluomo. Quindi mi rimisi a sedere sul divano.

      “Prima di pensare alle altre ferite ho bisogno di un drink. Cosa prendi, Daniel?” chiese, avviandosi verso l’angolo cucina.

      “Solo un po’ di acqua”, risposi.

      “Acqua?” J mi guardò sorpreso, come se gli avessi chiesto la cosa più strana di questo pianeta.

      “Ehm, devo vedere se… ehm… penso che… Eccola, è rimasta una bottiglietta”, mi lanciò la bottiglia d’acqua che presi al volo. J aprì un armadietto, tirò fuori una bottiglia di Gin e bevve qualche sorso direttamente dalla bottiglia.

      Questo aveva deciso di farmi impazzire, ne ero sicuro. Era impossibile non guardare quel corpo nella penombra della stanza. Sarei stato disposto a comperargli un set nuovo di lampadine, giusto per avere più luce e vederlo meglio.

      Dopo aver trangugiato un buon terzo della bottiglia, prese il disinfettante e se lo versò addosso in un colpo. Feci un salto all’espressione del suo viso. Sentivo persino io il dolore per lui! Doveva bruciare come l’inferno. Lacrime gli scappavano dagli occhi, concentrato a trattenere un urlo. Svenire sarebbe stata una conseguenza più che naturale e tra me e me glielo auguravo. Ma niente. Neanche un rantolo.

      Nico uscì dal bagno poco dopo coperto con un accappatoio e si fermò davanti a J, osservando con sguardo scettico il suo coinquilino.

      “Non sono quattro. Non ti basteranno mai, J”, sfiorò una ferita sul petto dell’amico. “Non ha senso fare il duro e non riprenderti fino alla próxima vez. Datti almeno sette.”

      “Nico…”, il tono di J era seccato, ma ancora gentile.

      “Se parlo con Big D sicuramente entiende. Posso sostituirti yo per una semana.”

      “Nico, per favore, basta adesso”, iniziò ad irritarsi.

      “Vedo che non reggi più... No quiero che...”

      Sentii lo schiaffo prima ancora di riuscire a girarmi verso i due. Nico si teneva una mano sulla guancia sinistra e J lo aveva preso per le spalle scuotendolo.

      “Quattro! Chiaro?” urlò tra denti serrati. Poi prese Nico tra le braccia e gli baciò la testa. “Sai che non mi ci vuole niente per riprendermi. Adesso vai, prima che arrivi in ritardo. Big D detesta aspettare.”

      Nico tornò in camera sua, uscì vestito con jeans, maglietta, felpa e scarpe da ginnastica e lasciò l’appartamento senza degnarmi di un’ultima occhiata. Vedi, ogni tanto basta poco per farsi nuovi nemici. Qualche volta basta esistere (o sbavare dietro ad un bonazzo nudo).

      Sedutosi vicino a me sul divano, J tirò fuori una sigaretta da un pacchetto sul tavolino. La accese, fece qualche tiro profondo, espirò e la mise nel posacenere. Non sapevo cosa dire. Ero ancora occupato ad elaborare quanto fosse successo nelle ultime ore.

      Ad un tratto J si alzò, si sedette sopra le mie gambe, il viso rivolto verso me, sorridendomi eroticamente. L’amichetto tra le mie gambe ci mise esattamente cinque secondi per svegliarsi.

      “Non ti ho ancora ringraziato”, sussurrò, avvicinando le sue labbra alle mie.

      Preso da tutta quella serie di eventi, non ero riuscito a fare altro che sciogliermi nel suo bacio. Avevo bisogno di spegnere la mente, fosse stato anche solo per qualche secondo. Quelle labbra. Parliamoci chiaro: non ero un verginello. Ne avevo baciate di bocche e tante erano state attaccate a soggetti di bellezza superiore alla media. Ma questo bacio era diverso. Mi sembrava che la vista mi si stesse riempiendo di piccole macchie bianche. Ancora qualche secondo in più e avrei perso coscienza, da quanto mi girava la testa.

      “Aspetta…”, riuscii a dire, le sue labbra ancora incollate alle mie, e riempii i miei polmoni che si erano dimenticati come si rimetteva l’ossigeno in circolo. Mi feci violenza per staccarmi da quella statua umana seduta sopra di me. Indossare una tuta dal tessuto leggero non è il massimo in quelle situazioni. La mia eccitazione era palesemente visibile, ma almeno coperta. J invece, giusto per ricordarlo, era nudo. Vedere il suo sesso animato di fronte a me non era certo d’aiuto per calmare il mio.

      “Non devi ringraziami… in questo modo…”

      Coglione! Non avevo idea di cosa mi stesse succedendo. Per qualche motivo inspiegabile riuscii a dire di NO al ragazzo più bello e sexy mai incontrato. A parte il fatto che non osavo toccarlo. Troppe ferite e troppa passione per riuscire a controllarmi.

      J mi guardò un po’ spiazzato. Non sembrava incazzato, né offeso. Gli si stavano inumidendo gli occhi però. Ce l’avevo fatta. Avevo incontrato il tipo più bello mai visto ed ero riuscito a farlo piangere. Scese dalle mie gambe, si sedette vicino a me, nascondendosi il viso tra le mani.

       “Non ce la faccio più...”

      Il sussurro era quasi impercettibile e pure era riuscito a trasmettermi la disperazione celata dietro le sue parole. Non avevo idea di cosa fosse successo a quel ragazzo, e la sua spiegazione di una serata ‘di fuoco’ non era per niente credibile. Dalla sua reazione, oltre al resto registrato durante la sera nel suo appartamento, non doveva essere stata la prima volta. Avevo davanti una persona che non sembrava più in grado di gestire la sua attuale situazione.

      “Puoi parlarne, se vuoi…”

      Grande! Le parole giuste nei momenti sbagliati! Sempre. Ma che gli dici ad un ragazzo in quelle condizioni, prossimo ad un crollo?

      J si girò verso di me, gli occhi arrossati dalle lacrime. Un sorriso debole gli comparse sulle labbra, mentre scuoteva la testa incredulo. Il suo viso sembrava un campo di guerra devastato. Mi si strinse il cuore, dolorosamente.

       “Parlarne…”

      Le sopracciglia tirate in su erano la conferma che avevo fatto una gran bella figura di merda. Parlarne. Alla fine ero un perfetto sconosciuto e lui non mi doveva dire un bel niente.

       “Non posso parlarti di queste cose, Daniel. Non vorrei essere io il responsabile di uccidere la tua fiducia nella razza umana. Tu sei un bravo ragazzo. Purtroppo non posso dire lo stesso di me.”

      Lacrime scendevano silenziosamente sulle sue guance mentre parlava. Mi stava guardando con occhi tristi. Sicuramente non era abituato ad essere respinto, anche se l’avevo fatto per non sembrare un assatanato di sesso, pronto ad aiutare le persone solo per avere qualcosa in cambio. Giuro!

      “Non sono tutti come te. Se vuoi qualcosa, devi pagare. E con il denaro oggi ti puoi comprare tutto.”

      Forse il pensiero sulla prostituzione, che mi aveva sfiorato per un secondo la mente, non era poi così errato, pensai, temendo di aver aperto una finestra ad un mondo che non ero sicuro di essere pronto a scoprire. Sicuro era, invece, che quel ragazzo aveva bisogno di sfogarsi e volevo dargli questa possibilità. Fosse stato pronto lui.

       “Forse è meglio che tu vada. È stata una notte lunga anche per te.”

      Con questo si alzò, andò verso l’unica porta dell’appartamento, che era quella dell’uscita, e la aprì, lo sguardo basso, quasi come se si vergognasse.

       “Grazie per avermi accompagnato a casa.”

      Lo raggiunsi alla porta e mi fermai davanti a lui. Mi piangeva il cuore lasciarlo da solo in quel momento, nello stato emozionale in cui era. In quei momenti le persone non sempre sanno ciò che fanno. Il solo pensiero di lasciare dietro di me un ipotetico caso di suicidio mi faceva rabbrividire. Magari dopo qualche giorno avrei aperto il giornale per leggere di un ragazzo biondo trovato morto con in mano