Alek's Books

La colpa è sua


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vecchio e freddo era l’odore prevalente, oltre a qualcosa di bruciacchiato indecifrabile.

      “Nico!” urlò J. Feci un salto dallo spavento. “Sono a casa! Faccio una pausa da quattro. Diglielo quando lo vedi stasera!” Poi si girò verso di me. “Siediti. Fa’ come se fossi a casa tua.”

      Con questo mi lasciò lì in piedi come un coglione. Le opzioni per sedersi erano alquanto scarse. C’era una sedia che avrebbe retto al massimo un peso di cinquanta chili, quindi la scartai. Poi c’era una poltrona, ricoperta da bruciature, e un divano macchiato di un po’ di tutto, ma che sembrava abbastanza comodo. Mi sedetti lentamente, attento a non toccare niente.

      Intanto J era andato in bagno. Notai l’assenza di porte all’interno di questo appartamento. Niente privacy. Non era il posto adatto per persone timide.

      J di certo non lo era. Si tolse i jeans senza problemi e si fermò davanti allo specchio per studiarsi le ferite in viso. I piccoli tagli che avevo notato sul suo torso, ricoprivano tutto il suo corpo. E che corpo! Doveva essere alto un metro e ottanta. Completamente privo di peluria, si riusciva a vedere ogni singolo muscolo muoversi sotto la pelle tirata. Sommerso da quella visione, non avevo notato che J mi stava guardando, sorridendo compiaciuto.

      “Dopo la doccia avrò bisogno di qualcuno che mi disinfetti la schiena”, mi disse, facendomi l’occhiolino.

      Cavolo, mi sentivo un maniaco! Il colore rosso mi era tornato in viso, costituendo la prova incastrante che mi aveva beccato in flagrante. Beh, non è che lo stavo proprio spiando. Se hai una meraviglia di corpo maschile di tale bellezza davanti a te, nudo poi, non puoi non guardare! E comunque non lo stavo guardando “in quel modo”. Ero intento a controllare le ferite, quali eventualmente necessitavano per forza di cure mediche, e…

      Al diavolo! Lo stavo spiando e come! Alzarmi adesso sarebbe stato alquanto imbarazzante.

      “Quattro? Mierda, se sono divertiti”, urlò una voce maschile da una stanza vicina.

      Mi girai di scatto quando si accese una luce e un ragazzo piccolo, magrissimo e nudo uscì. Ma son tutti nudi qui?, mi chiesi. Andò verso il bagno, lanciandomi solo uno sguardo frettoloso. Quello doveva essere Nico. Aveva la pelle color caffè latte, era alto non più di un metro sessantacinque ed esile, la muscolatura definita. Sembrava molto giovane. I cappelli neri fino alle spalle, riccioli ribelli, gli scendevano su un viso efebico. Se non fosse stato nudo e non avesse avuto il petto completamente piatto, avrei giurato che fosse una ragazzina.

      “Ahi Dios mio…”, mormorò Nico appena vide il suo coinquilino.

      Corse nella camera dalla quale era uscito e tornò in bagno con un kit di pronto soccorso in mano. “Esto es de siete, J! Quando la smetti di fare l’eroe? Quei maledetti europei. Se gli dico, que usted necesita de siete…”

      “Quattro”, lo interruppe J. “Ne parliamo dopo. Abbiamo ospiti ”, disse cercando di cambiare argomento, sempre con quel sorriso malizioso sulle labbra. Aveva gli occhi nuovamente incollati ai miei e mi indicò con un dito.

      Nico si girò e venne verso di me. Quello sguardo da acido mi faceva salire l’ansia, anche se mi arrivava solo all’altezza del petto. Si mise a sedere all’indiana sul tavolino di fronte al divano, proprio davanti a me. La nudità a questi ragazzi non sembrava dare alcun fastidio, e in altre situazioni nemmeno a me.

      Non ero abituato ad essere ospite di qualcuno che faceva penzolare i propri attributi liberamente all’aria, senza il minimo d’imbarazzo. I miei sono delle persone molto aperte per quanto riguarda la mia sessualità e la sessualità in generale. Finche rimane dietro i muri di casa. Niente di cui parlare apertamente. Una volta mia madre era entrata in camera mia, mentre mi stavo trastullando. Chiese scusa e chiuse la porta. Il giorno dopo papà mi aveva fatto un discorso su quanto fosse naturale il cambiamento che avrebbe subìto negli anni a seguire il mio corpo e che era normale per un ragazzo della mia età andare alla ricerca di questi cambiamenti. Per tutta la durata del suo monologo avevo tenuto gli occhi abbassati. Dopo non se ne era più parlato.

      “Quién es el?” chiese Nico, guardandomi dalla testa ai piedi. Anche senza sorriso e un’espressione finta da incazzato, quel viso non perdeva niente del suo fascino etereo. Anzi. Quegli occhi neri enormi erano ancora più belli quando arrabbiati.

       “Mi ha aiutato ad alzarmi e m’ha portato a casa. Non fare lo stronzo.”

      Nico mi studiava con fare sospettoso. L’espressione di sfiducia era uguale a quella sul viso di J quando gli avevo proposto di chiamare la polizia o di portarlo all’ospedale. Che i due ragazzi non fossero abituati a fidarsi era ovvio.

      “Ciao... ehm... Daniel”, cercai di presentarmi, sorridendo timidamente, mentre gli davo la mano.

      Nico guardò la mia mano, sorrise con arroganza, si alzò e tornò verso il bagno.

      “Lui è Nico”, urlò J dal bagno.

      “Nicolao Joseph Tortades”, lo corresse l’altro ragazzo immediatamente, guardandomi fisso negli occhi. Poi si girò nuovamente verso il suo coinquilino. L’arrabbiatura aveva lasciato il suo viso, un’espressione preoccupata il suo posto.

      “Quando hai deciso di portare estranei in casa? Usted está loco?”

      Dal tono della voce si capiva che la mia presenza lo aveva reso irrequieto. J aprì la tenda della doccia, uscì, piazzò le sue braccia attorno al ragazzo e lo strinse a sé. La tenerezza del abbraccio era sincera. Dovevano essere amici molto intimi. Mi dava quasi fastidio vederlo abbracciare così dolcemente un altro ragazzo.

      “È uno a posto. Tranquillo. Tu basta che stai zitto adesso. Preparati che se no fai tardi. Digli che mi riposo per quattro giorni e poi sono a posto. E non scordarti di portarne un po’. È quasi finita”, disse a Nico che entrò in doccia dopo avermi lanciato un ultimo sguardo assassino e chiuse la tenda.

      Con solo un asciugamano avvolto attorno alla vita J venne verso di me. Si sedette sul tavolino, mani incrociate e gomiti sulle ginocchia, e mi guardò negli occhi. Era tutto così strano. Un’ora prima stavo ancora seduto ad un tavolo con la mia migliore amica, parlando dell’eventuale possibilità di innamorarmi in un futuro lontano. E adesso il mio cuore si comportava in modo del tutto irrazionale, solo guardando quegli occhi azzurri di ghiaccio. Conoscevo appena l’iniziale del suo nome. L’avevo visto nudo, ok, che inoltre era stato tutto un programma, ma non c’erano motivi concreti per sentirmi così.

      “Avrei ancora bisogno di qualcuno che mi disinfetti la schiena e Nico deve prepararsi per uscire”, mi disse, porgendomi una bottiglietta di disinfettante e delle garze.

      Cercai di tenere sotto controllo il tremolio delle mie mani, quando vennero in contatto con quelle di J. Presi la bottiglia e le garze. J si alzò dal tavolino, si girò e fece cadere in avanti la testa, mettendo a mia disposizione la sua schiena. Una rete rossa, che il sangue aveva tracciato assieme alle gocce d’acqua, la ricopriva.

      “Mi serve un asciugamano per asciugare le ferite prima di disinfettarle”, dissi alzandomi dal divano.

      J afferrò l’asciugamano attorno alla sua vita e girandosi me lo diede in mano. La situazione diventava sempre più scurrile. Con delicatezza tamponavo la schiena del ragazzo, cercando di asciugare la pelle senza procurargli troppo fastidio. Lo sentivo tremare quando il tessuto veniva in contatto con la sua pelle. Presi una garza e la impregnai con il disinfettante.

      “Questo farà un po’ male”, lo avvisai, prima di iniziare con la prima ferita.

      L’unico rumore che si sentiva era il respiro irregolare del ragazzo, intento inconfutabilmente a sopprimere il dolore. Io non è che ero uno delicato parlando di dolore, lo sopportavo abbastanza bene. Fossi stato io, però, quello con il corpo pieno di taglietti, sarei morto nell’istante in cui il disinfettante fosse venuto in contatto con la pelle lesa. Ero sempre più curioso ed infine non riuscii più a trattenermi.

      “Cosa... Cosa ti è successo?”, chiesi mormorando.

      “Notti