Olga Kvirkveliya

Una promessa rubata


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racconta al fratello la storia del nonno: della bellissima Miriam, di Abdulla, della donna con il bambino, della valle verde del limbo…

      – ‐ E la nonna? Lui non l’amava proprio?

      – ‐ All’inizio no. Cercava una madre per i suoi figli, una ragazza forte e intelligente, capace di capire e di assecondare lo scopo della sua vita, il suo servizio alla Madonna della valle verde. E trovò nostra nonna.

      – ‐ Ma lei sapeva..?

      – ‐ Sapeva. Il nonno voleva che lei lo prendesse così com’era, non deludendo le sue speranze e non fingendo. E lei lo prese.

      – ‐ Sembra che lei lo amasse molto…

      – ‐ Sai, anche lui l’amava, non come amava Miriam, forse molto più profondamente. Di Miriam era innamorato, ma l’amore è tutt’altra cosa…

      I fratelli trovano quel luogo riposto presso il fiume; vi costruiscono il santuario; vi posano la statua della Madonna bruna con gli occhi neri. Infine dedicano il santuario a Dio, a Santa Maria e all’Ordine di Calatrava.

      Capitolo IV

      Don Enrico

      L’anno 1208

      1

      Questa morte assurda confuse tutti definitivamente. Che cosa insensata, morire per mano del fidanzato rifiutato dalla figlia! E proprio nella famiglia reale! Un amore infelice? Come se questo potesse accadere alle principesse! Enrico scuoteva la testa, incredulo. Ora bisognava prendere in fretta delle decisioni per risolvere la situazione in una terra come la

      Puglia, così importante per lui, e non solo. Per questo si diresse subito a Messina, per condurre delle trattative con un ragazzino di 14 anni!

      Si strofinò il braccio malato, che si faceva sentire con l’umidità. Enrico, figlio tardivo di Pedro Guevara, era nato con un braccio e una gamba semiparalizzati, e non poteva neanche pensare di diventare soldato in queste condizioni. Da bambino questo lo faceva molto soffrire, e con lui soffriva suo padre. In seguito trovò la sua strada. Non potendo praticamente allontanarsi da casa, da ragazzo era costretto ad assistere agli incontri e ai colloqui degli adulti. Spesso non ne comprendeva il significato, ma era interessante osservare le espressioni del volto, le intonazioni, le pose… Col tempo acquisì un grande spirito di osservazione, e la capacità di comprendere ciò che succedeva da mezze frasi, dai gesti, perfino dagli sguardi, cogliendo le posizioni degli interlocutori, i loro interessi e le loro intenzioni. Il padre comprese che unendo queste doti con la mentalità strategica tipica di tutti i Guevara, il ragazzo poteva diventare un eccellente diplomatico. Ed egli lo divenne, anche se, al momento, soltanto nel ruolo di consigliere.

      Va detto che negli ultimi 20 anni la Germania era stata perseguitata dalle morti che si succedevano senza interruzione. Nel 1190 era annegato Federico Barbarossa, padre di Filippo di Svevia; un anno dopo, durante una crociata, scomparve uno dei fratelli maggiori di Filippo, Federico VI, duca di Svevia. Allora erano ancora vivi gli altri fratelli maggiori, Enrico, Corrado e Ottone, ma nessuno di loro aveva figli. Quindi morirono Corrado e Ottone, e infine anche Filippo…

      Enrico si mise a riflettere sul destino di Filippo, che era stato quasi vescovo, quasi imperatore e a volte re… Il più piccolo dei figli del Barbarossa sapeva fin dall’infanzia che sarebbe diventato sacerdote, e non avrebbe avuto altra prospettiva. Egli voleva diventare un buon pastore, studiava con impegno ed era in generale un ragazzo modello. Filippo aveva 13 anni quando il padre – come presentendo la propria imminente scomparsa – organizzò la sua elezione a vescovo. In quell’anno annegò il Barbarossa, e il nuovo vescovo nominato non fu mai consacrato…

      Enrico cercava di immaginarsi le sue reazioni.

      Il ragazzo provava fin dall’inizio un senso come di condanna? In un modo o nell’altro, la carriera ecclesiastica era stata decisa preventivamente dal padre.

      E in seguito, aveva provato un senso di liberazione? Certo, era già stato eletto, ma il sacramento non si era ancora compiuto… A giudicare dal fatto che aveva immediatamente rifiutato la propria dignità clericale, egli sembrava contento di aver ingannato il fato…

      O era stato il Signore a correggere i disegni dell’imperatore?

      Comunque, suo fratello, l’imperatore Enrico, ottenne che Filippo potesse tornare allo stato laicale. Evidentemente non era guidato soltanto dall’amore fraterno, ma anche dalla spiacevole circostanza che nessuno dei fratelli avesse avuto figli, tanto più che uno di loro, Ottone, era parso adatto a occuparsi di qualunque cosa che non fosse il governo. In un tempo così torbido e sanguinario, conveniva tenere il proprio successore direttamente sotto controllo… E di nuovo Nostro Signore s’immischiò nei progetti umani: soltanto un anno dopo a Enrico nacque un erede, Federico! Enrico ebbe sinceramente compassione di Filippo. Non c’era modo di tornare indietro: sulla cattedra episcopale sedeva già un’altra persona e perfino tornare al sacerdozio risultava ora difficile… Naturalmente, il fratello comprendeva il turbamento del giovane Filippo, che a quel tempo aveva solo 17 anni. Si può anche dire già 17, se pensiamo che ora egli non sapeva quale sarebbe stato il suo destino. L’imperatore Enrico cercava di consolare Filippo, e appena ebbe conquistato, nel 1194, il regno di Sicilia, lo donò come feudo all’ex quasi-‐vescovo di Toscana. E di nuovo la provvidenza divina intervenne: un anno dopo morì lo zio Corrado, e Filippo ricevette i suoi possedimenti, diventando duca di Svevia. Enrico sorrise di fronte alla pietra angolare di tutto l’intrigo: se la Toscana fosse rimasta nelle mani di Filippo, oggi molti problemi si sarebbero presentati sotto tutt’altra luce.

      In generale, in tutta questa storia il regno di Sicilia svolse un ruolo quasi mistico. Proprio là nacque e trascorse i suoi primi anni Federico, il figlio ed erede di Enrico. Quando era ancora margravio di Toscana, Filippo si era fidanzato con la vedova del principe Ruggero di Sicilia, duca di Puglia. Sarebbe potuto essere un matrimonio con uno scopo a lungo termine… ma la festa ebbe luogo due anni dopo, quando Filippo era già in Svevia. E quattro mesi e tre giorni dopo morì l’imperatore Enrico… In quel momento Filippo si trovava proprio in Italia, in quanto il fratello gli aveva assegnato il compito di prendere suo figlio e portarlo in Germania. L’imperatrice Costanza, ormai vedova, si opponeva categoricamente a questa prospettiva.

      – ‐ Tu sei una brava persona, a te io credo – ella disse a Filippo – ma io conosco bene i nostri notabili. Essi non riconoscerebbero come re un bambino di tre anni, per di più nato fuori dalla Germania! Comincerebbero le liti, i conflitti… Eh no, noi resteremo qui, e io cercherò di assicurare a lui almeno la corona siciliana! Tu invece raduna i tuoi compatrioti e ritorna in patria, cerca di difendere i diritti di tuo nipote, mentre io aspetterò e pregherò, per te e per lui.

      Ella così fece, e Filippo raggiunse la Germania con grande difficoltà. Là egli comprese presto che avrebbe fatto molta fatica a difendere i diritti del nipote, soprattutto in mancanza della regina e dell’erede al trono. Se almeno fosse stato nominato suo tutore! L’unica soluzione che gli sembrava ragionevole era quella di assumere egli stesso la corona.

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