Emilio Salgari

I minatori dell' Alaska


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– esclamò il cow-boy, che si era voltato per guardare gli indiani. – Cominciano a guadagnare su di noi.

      – Sproniamo?…

      – Non ancora. Armando; lasciamoli accostare e cerchiamo di fare un buon doppio colpo. D’altronde abbiamo quattro cavalli di ricambio.

      – Mi sorprende come quelli del carro ci seguano sempre.

      – Sono abituati a non lasciarmi, e non ci abbandoneranno nemmeno quando comincieranno le fucilate. Tenete pronto il fucile per quando spunterà l’alba.

      – Comincia già a sorgere.

      – Sì, e fra mezz’ora manderemo nostre nuove a Nube Rossa e a Coda Screziata.

      Mentre così chiaccheravano tranquillamente, come facessero una semplice trottata di piacere, gli indiani forzavano i loro mustani per guadagnare strada. Erano però soltanto quelli delle ali che si avvicinavano, non quelli del centro, i quali pareva invece cercassero di non esaurire troppo presto le forze dei loro animali, per non trovarsi più tardi nell’impossibilità di continuare la caccia. Quei cavalieri, cresciuti sul dorso dei rapidi cavalli di prateria, di gran lunga superiori ai più instancabili cow-boy, e che cavalcano intere giornate senza aver bisogno nè di staffe, nè di sella, nè di speroni, conoscevano troppo bene la resistenza dei loro destrieri, per ridurli a mal partito prima del tempo. Per il momento il centro si accontentava di mantenere la distanza, lasciando alle ali l’incarico di stringersi addosso ai fuggiaschi. Bennie però aveva buon giuoco con i suoi cavalli di ricambio. Lasciava che gli indiani delle ali si accostassero, pronto tuttavia ad abbandonare il suo Caribou, al primo indizio di stanchezza, per lanciarsi in sella a un altro cavallo, fra quelli che lo seguivano caracollando ai suoi fianchi. L’alba intanto sorgeva, diradando le tenebre e diffondendo una luce vivissima sulla vasta prateria. Il primo raggio di sole non doveva essere lontano. A un tratto Bennie udì un urlìo furioso risuonare fra gli indiani.

      – Ah!… – esclamò. – Ora si sono accorti della scomparsa di Back!… – Miei cari, a quest’ora è al sicuro, e vi sfido a trovarlo.

      – Credete che sia giunto al rifugio? – chiese Armando.

      – Scommetterei una buona carabina a ripetizione contro un pezzo di tabacco, che stanno facendo colazione con appetito.

      – Non verranno scoperti?…

      – Non abbiate questo timore; nessuno sa che quel colosso della vegetazione, che ho scoperto per caso, è vuoto. Siete pronto a fare un buon colpo?…

      – Non aspetto che il vostro comando.

      – Bravo, giovanotto.

      Arrestò violentemente Caribou, e si guardò alle spalle. I cavalieri dell’ala destra, più avanti di quelli della sinistra, non si trovavano che a quattrocento metri, e aizzavano i loro mustani per guadagnare rapidamente terreno.

      – È un bel tiro, ma si può provare – mormorò. – A me l’indiano che monta quel bellissimo cavallo bianco, e che si trova in testa a tutti; a voi il secondo, che monta quel morello dalla lunga coda.

      – Lo vedo – rispose il ragazzo. Volsero i mustani, e puntarono simultaneamente i fucili, mentre i cavalli del carro approfittavano di quella breve sosta per mangiare alcune foglie succolenti di buffalo-grass. Gli indiani, vedendosi presi di mira, impugnarono i loro winchester, ma furono prevenuti. Due spari rimbombarono l’uno dietro l’altro. L’indiano che montava il cavallo bianco, colpito dall’infallibile palla del Gran Cacciatore, aprì le braccia, poi stramazzò pesantemente al suolo, lasciandosi sfuggire l’arma che teneva in mano, mentre il cavallo morello, attraversato dalla palla di Armando, s’inalberava bruscamente, cadendo poi di quarto insieme con il cavaliere. Urla di furore salutarono quel doppio colpo, mentre Bennie e il suo giovane compagno ripartivano di gran galoppo. Una scarica salutò la loro pronta ritirata, però le palle non giunsero a segno, essendo quasi tutti gli indiani mediocrissimi tiratori; solamente uno dei quattro cavalli del carro parve sfiorato da un proiettile, poiché lo si vide scartare bruscamente, quindi lanciarsi innanzi a tutta velocità, mandando un lungo nitrito.

      – Bravo giovanotto – esclamò Bennie, allegramente.

      – Ho mancato l’uomo – rispose Armando arrossendo.

      – Uccidendo il cavallo avete messo fuori combattimento il cavaliere, il quale non potrà ora più seguire i compagni. Avete fatto un bel tiro, mio caro, ve lo dico io, un tiro che molti cow-boys vi invidierebbero.

      – Ricominceremo?…

      – Più tardi, Armando. Cerchiamo per ora di stancarli.

      I mustani, eccitati vivamente, avevano ripreso la corsa, salendo e scendendo le ondulazioni della prateria, però i due montati, e specialmente quello di Bennie che aveva percorso un lunghissimo tratto lungo le rive del lago, cominciavano a dare segni di stanchezza. Anche quelli degli indiani non sembravano trovarsi in condizioni migliori. Quelli delle due ali, dopo aver fatto uno sforzo estremo per guadagnare terreno, a poco a poco rimanevano sempre più indietro, mentre si avvantaggiavano un pò quelli del centro, i quali ora avanzavano a forma di un immenso triangolo, il cui vertice era formato da un mustano bellissimo montato da Coda Screziata. La caccia all’uomo continuò una mezz’ora ancora, interrotta da qualche colpo di winchester, che mai colpiva il segno a causa delle scosse disordinate dei cavalli. Bennie, che sentiva Caribou sbuffare, stava per dare il comando di cambiare i cavalli, quando tutto d’un tratto il suo destriero cadde di peso, mandando un nitrito di dolore. Prima che il cavaliere avesse potuto prevedere quell’improvvisa caduta, si sentì scagliare in avanti da quella brusca fermata. Armando lo vide volteggiare due volte in aria, poi capitombolare, tre metri innanzi, in mezzo alle alte erbe.

      – Signor Bennie!… – gridò, arrestando con una vigorosa strappata il proprio mustano. Stava per balzare di sella per lanciarsi in aiuto del suo compagno, quando vide sorgere fra le alte erbe, due indiani armati di fucile. Pronto come il lampo, il giovanotto spianò la carabina sul più vicino e fece fuoco. L’uomo cadde col cranio fracassato, ma l’altro lo prendeva intanto di mira alla distanza di trenta passi. Mancando il tempo di prevenirlo, con una furiosa speronata fece impennare il mustano per coprirsi col corpo dell’animale. Quell’abile manovra lo salvò. L’indiano aveva fatto fuoco, ma la palla, invece di abbattere il giovane cavaliere, aveva attraversato il cavallo da parte a parte, entrandogli nel petto e uscendogli dietro la groppa. L’animale, fulminato, cadde trascinando Armando. Il giovanotto, quantunque stordito per la caduta, stava per rialzarsi, quando dinanzi a lui echeggiò un terzo sparo, seguito da una voce che diceva:

      – E due!… A furia di doppietti, finiremo con lo sbarazzarci da questa torma di cani idrofobi!…

      – Bennie, siete voi? – chiese il giovanotto, alzandosi.

      – Sì, Armando, – rispose il cow-boy. – Mi sono alzato in tempo per ammirare il vostro coraggio e per mandare diritto al Grande Spirito quell’indiano che si preparava a scotennarvi.

      – Siete ferito?

      – Un po’ malconcio, ma niente di guasto. A cavallo o gli altri ci raggiungeranno.

      I quattro cavalli del carro si erano arrestati intorno a Caribou, il quale faceva sforzi disperati per alzarsi, senza però riuscirvi.

      – Corna di bisonte!… – urlò Bennie, con accento di dolore misto a ira – il mio mustano s’è spezzata una gamba!… Ecco un animale che rimpiangerò a lungo.

      Lo sbarazzò rapidamente della sella, bardò uno dei quattro mustani del carro, mentre Armando faceva altrettanto con un altro, poi salì in arcioni gridando:

      – Badate!… C’è una corda tesa dinanzi a noi!…

      – Dove? – chiese Armando.

      – Fra le erbe.

      Allargarono le gambe raccogliendo le briglie, e fecero fare ai due mustani un bel salto che li portò al di là della corda, la quale era stata abilmente tesa dai due indiani.

      – L’avete vista? – chiese Bennie.

      – Sì.

      – Furfanti!…