Emilio Salgari

I minatori dell' Alaska


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morirà.

      – Chi me lo assicura?…

      – Io, il Gran Cacciatore, amico degli uomini rossi.

      – Tu dunque sei incaricato dello scambio?

      – Sì, Nube Rossa.

      – Ebbene sia; questa sera partirai scortato da venti dei miei guerrieri.

      – Basteranno due.

      – E perché non venti?…

      – Questo è il desiderio degli uomini della Grande Madre per evitare possibili conflitti. Tu sai che fra i volti pallidi e gli uomini rossi non è mai regnata la concordia.

      – Tu hai ragione: troppi rancori esistono fra le due razze. Però tu non potrai partire che dopo la danza dei bisonti, che si farà questa sera, dopo il tramonto del sole, avendo io promesso, che vi avrebbe assistito anche il prigioniero. Bennie aggrottò la fronte e fece un gesto d’inquietudine che non sfuggi al sackem.

      – Oh!… Il Gran Cacciatore nulla deve temere: ha la parola del capo delle tribù dei Corvi e dei Grandi Ventri. Egli deve sapere d’altronde che questa cerimonia non ha altro scopo che quello di anticipare il passaggio delle mandrie dei bisonti.

      La mia tribù non ha quasi più viveri, ha mangiato, questo inverno, quasi tutti i cani che possedeva e se i bisonti non si affrettano a venire, dovrà soffrire la fame.

      – È vero, l’inverno è stato molto freddo quest’anno, – disse Bennie, – ma dopo la danza i grandi animali accorreranno per cibare gli uomini rossi.

      – Il Gran Cacciatore si riposi intanto nella mia tenda e accetti la ospitalità di Nube Rossa.

      – E il prigioniero?…

      – Sarà liberato dal palo e gli verrà dato da mangiare.

      – Grazie, capo.

      Il sackem avvertì gli anziani che il consiglio era terminato e uscì per sorvegliare i preparativi della festa notturna che doveva, secondo loro, chiamare i bisonti i quali avrebbero offerto le loro deliziose bistecche agli uomini rossi. Erano trascorsi pochi minuti, quando un giovane indiano entrò nella tenda portando al cow-boy, da parte del capo, un pezzo di tacchino selvatico arrostito, alcune gallette di mais, alcune mandorle di pino abbrustolite, dei navoni indiani grossi come uova ed eccellenti, e una mezza bottiglia di whisky, o acqua del diavolo, come viene chiamato dagli uomini rossi. Il cow-boy, che aveva cavalcato quasi tutto il giorno e dopo la colazione del mattino non aveva mangiato che pochi lamponi, fece buona accoglienza al pasto, divorandolo coscienziosamente, poi accese la pipa, e sdraiatosi su di una pelle di bisonte, attese pazientemente il tramonto del sole. Aveva appena terminata la sua seconda pipata, quando al di fuori scoppiò un urlìo indiavolato, accompagnato da un tamburellare sordo e sgradevole, prodotto da una specie di otri che gli indiani percuotono con le mani. Bennie si mise la pipa in tasca, si alzò, ed uscì. Le tenebre calavano rapidamente, invadendo il bosco di pini, ma dei grandi falò erano stati accesi attorno al campo e spandevano una luce vivissima, bruciando legna resinosa. Più di quattrocento indiani, giunti dai dintorni, insieme con numerose donne e fanciulli, si erano radunati, formando un vasto cerchio. Nube Rossa col suo grande mantello di lana di montone, si era collocato nel mezzo dinanzi a quattro indiani che battevano senza posa gli otri su un ritmo sempre eguale, monotono. Di fronte a lui, a dieci passi, si era collocato un altro indiano, avvolto con una grande pelle di bisonte bianco, col capo adorno di piume e il petto di collane di denti d’orso, ossa, lucertole, ranocchi e code di lupi e di cani. Doveva essere lo stregone della tribù e in quel momento doveva rappresentare il primo uomo, una specie di Noè sfuggito al diluvio universale. Ad un tratto otto uomini avanzarono, correndo rapidamente, e disponendosi l’uno di fronte all’altro. Rappresentavano i bisonti, poiché portavano sul capo le corna di quei giganteschi bufali, e avevano delle code sospese al dorso e alle caviglie dei ciuffi di peli. Il corpo era nudo e bizzarramente dipinto: la testa, il tronco e le braccia erano dipinti in rosso, in bianco e nero con cerchi concentrici che segnavano le articolazioni delle mascelle, una faccia da bambino disegnata sul ventre e sulle spalle portavano un fastello di rami di salice. Gli otto danzatori, a un segnale del capo, si misero a correre all’intorno tenendosi curvi, poi ripresero la loro prima posizione e si caricarono vicendevolmente, vibrandosi delle cornate e balzando ora a destra e ora a sinistra con un’agilità prodigiosa. Dopo aver danzato un quarto d’ora, al suono di quella musica monotona, si coricarono fra le erbe, mentre irrompevano nel cerchio illuminato altri quindici o venti indiani e una dozzina di ragazzi. I primi e i secondi rappresentavano gli animali e i rettili della prateria. C’erano i castori che portavano, appesa dietro, una larga coda; i serpenti, tutti nudi, ma dipinti come i rettili, a chiazze e a cerchi; i daini, dipinti in giallo e adorni di code; i montoni di montagna coperti di lunghi peli, e non mancavano gli orsi rappresentati da tre indiani coperti da splendide pellicce di baribal di un nero lucente. Tutti si misero a danzare disordinatamente, mentre i suonatori acceleravano la musica, e gli spettatori cantavano a piena gola. I bisonti si caricavano fra loro, gli orsi inseguivano le antilopi e i montoni, e i serpenti strisciavano dietro ai castori, cercando di raggiungerli. Mentre il ballo era al culmine, ecco apparire un indiano quasi interamente nudo, non avendo che una coda di bisonte e una fascia di pelo, dipinto in nero con piccole macchie bianche, ed armato di un bastone terminante in una palla. Era lo spirito del male, che cercava di impadronirsi dei bisonti per far soffrire la fame ai poveri indiani. Un urlo di furore scoppiò fra gli spettatori, alla vista del genio malefico, mentre i cani lo accoglievano con latrati. Le donne gli si precipitarono incontro coprendolo di ingiurie, gettandogli addosso manate di fango e cercando di strappargli il bastone. Tutti lo spingevano, lo urtavano. lo maltrattavano a morsi e a colpi d’unghia, minacciando di farlo a pezzi, ma l’indiano resisteva energicamente, tentando di scagliarsi contro i bisonti. Nube Rossa e i suoi prodi guerrieri, dal canto loro, lo minacciavano con le armi, mentre lo stregone si faceva innanzi portando il calumet, alla cui vista lo spirito del male si decise a battere in ritirata, lasciando nelle mani di una giovane il suo bastone spezzato in due. La sconfitta del genio malefico venne salutata da uria di gioia da parte di tutta la tribù, mentre le donne portavano in trionfo la ragazza che lo aveva disarmato, la quale, trovandosi ormai in possesso della forza creatrice, aveva il diritto di vita e di morte su tutti, e essendo ormai la Madre dei bisonti, poteva a suoi agio chiamarli o impedire loro di venire. Mentre i danzatori si rinvigorivano con alcune bottiglie di whisky. Nube Rossa si era avvicinato a Bennie, il quale aveva assistito tranquillamente alle danze.

      – L’uomo bianco è libero, – gli disse. – Il Gran Cacciatore può condurlo con sè, dietro promessa di far rilasciare Coda Screziata.

      – Dov’è?…

      – Attende il Gran Cacciatore fuori del campo, assieme al Vitello Bianco e al Corno Vuoto.

      – Tu hai la mia parola: addio Nube Rossa. Spero di rivederti ancora, prima che la neve copra la prateria.

      – Il Gran Cacciatore è amico degli uomini rossi e sarà sempre il benvenuto.

      Bennie salì sul suo mustano, che gli era stato condotto da un indiano, si assicurò che la carabina fosse ancora appesa all’arcione, salutò un’ultima volta Nube Rossa, poi uscì dal campo seguendo un ragazzo che gli serviva di guida. Al margine del bosco lo attendevano il prigioniero guardato da Vitello Bianco e da Corno Vuoto, due dei più valorosi guerrieri della tribù, armati di fucile, di lancia e di scure. Il giovane bianco era completamente libero e montava un bel cavallo nero prestatogli da Nube Rossa. Appena vide il cow-boy si levò il cappello, dicendogli in cattivo inglese:

      – Grazie, signore, di quanto avete fatto per me.

      – Gli uomini della stessa razza devono aiutarsi scambievolmente, giovanotto, – rispose Bennie. Oggi è toccato a me rendervi questo servigio e domani potrebbe toccare a voi. Affrettiamoci: qualcuno ci aspetta al mio campo.

      – Qualcuno?… – fece il prigioniero, con stupore misto a gioia. – Forse che avete salvato qualche altro?

      – Sì, un uomo alto, bruno come voi, dalla barba nera.

      – Mio zio!…

      – Io non so se sia vostro zio, vi dico però che quel brav’uomo,