Emilio Salgari

La riconquista di Monpracem


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passare, i passeggeri che affollavano le scialuppe a rimorchio della cannoniera, erano saltati in piedi, agitando forsennatamente le mani e lanciando clamori minacciosi:

      – Eccolo, il pirata!

      – Fate fuoco su di lui, se avete del sangue nelle vene.

      – Montate all’abbordaggio ed impiccate tutte quelle canaglie all’alberatura dello yacht.

      – Su via, se avete del fegato! —

      La cannoniera si era bruscamente arrestata, poi aveva compiuto un mezzo giro verso tribordo e siccome, per un caso straordinario, non aveva tutte le sue macchine completamente sgangherate, il suo equipaggio tagliò gli ormeggi delle scialuppe e si mise valorosamente in caccia.

      Aveva per altro dinanzi a sé un vero corridore del mare, capace di farsi inseguire fino a Calcutta senza permetterle di sparare una sola volta il suo pezzo poppiero.

      Yanez, sempre tranquillo, sempre calmo, era salito sul ponte di comando ed aveva lanciato in macchina un ordine:

      – A tiraggio forzato, finché potrete resistere. Posso contare su di voi?

      – Sì! – aveva risposto il capo-macchinista.

      – A me, Mati! —

      Il gigantesco dayaco sorse come un diavolo a sorpresa dal boccaporto del quadro e si slanciò verso il portoghese, chiedendogli:

      – Che cosa desiderate, signor Yanez?

      – Sei sempre sicuro del tiro dei tuoi pezzi?

      – Scommetterei di portare via con una palla la sigaretta che in questo momento sta fumando il capitano.

      – È una pipa.

      – Niente di meglio, signor Yanez. Nello spezzarsi farà più fracasso.

      Ma non rispondo dei baffi.

      – Non occuparti di quelli. A Varauni vi sono ancora dei bravi barbieri indù che glieli rimetteranno a posto.

      – Allora non chiedo altro. Mi date carta bianca?

      – Sì, ma più tardi, quando avremo fatto correre la cannoniera al largo. Abbassa la bandiera inglese ed innalza sul picco la gloriosa bandiera delle invincibili tigri di Mompracem. —

      Il vessillo inglese cadde, svolazzando sul quadro, mentre al suo posto veniva innalzata una bandiera tutta rossa che portava nel mezzo una testa di tigre.

      I malesi dell’equipaggio salutarono quel vessillo, che ricordava le loro glorie passate, con un urlo altissimo.

      Guai se Yanez in quel momento li avesse scagliati all’abbordaggio!

      I figli delle vecchie tigri, incanutiti fra il fumo delle artiglierie e lo strepitar dell’acciaio, non avevano tralignato.

      La cannoniera, abbandonate le sei scialuppe ai loro remi, aveva cominciato a forzare le macchine.

      Invece di carbone doveva bruciare qualche altra sostanza più ardente, poiché dopo cinquecento passi aveva cominciato a guadagnare via.

      Il fumo che il vento spingeva fino sullo yacht era fortemente impregnato d’alcool.

      Per accelerare la corsa gli olandesi gettavano dentro i forni casse di ginepro, con grande disperazione dei macchinisti che avrebbero preferito vuotarle nel loro sacco, anziché innaffiare il carbone.

      A quattrocento metri la cannoniera sparò un colpo in bianco per invitare la nave fuggiasca ad arrestarsi, sotto minaccia di subire un bombardamento in piena regola.

      Mati si era avvicinato a Yanez, il quale passeggiava tranquillamente sul quadro colla sua eterna sigaretta fra le labbra.

      Ma doveva essere un po’ preoccupato, perché l’aveva lasciata spegnere.

      – Signor Yanez, che cosa dobbiamo fare? – gli chiese.

      – Salutarli colla bandiera delle tigri di Mompracem.

      – Ci prenderanno a palle.

      – E con palle risponderemo. Va’ a collocarti al pezzo da caccia di poppa. Quando sarà giunto il momento verrò io a rettificare la mira. Caccia dentro una buona granata da trentadue pollici e mandala fra le tambure di quel vecchio corvaccio di mare. Lo arresteremo in piena volata.

      – E gli uomini?

      – Tutti in coperta dietro ai bastingaggi. In qualche modo devono aiutarci.

      Ah, vi è anche il praho di Padar. Colle sue spingarde potrà spazzare la tolda ad una buona distanza. Va’ Mati: si preparano a demolire il nostro yacht. —

      Il malese si gettò giù dal ponte di comando e si portò dietro al pezzo poppiero, un magnifico pezzo da trentasei di buon calibro.

      Intanto i malesi ed i dayachi che formavano l’equipaggio, si erano gettati dietro le murate, passando le canne delle carabine sulle brande arrotolate sul bastingaggio.

      Erano tutti calmi e tranquilli come se si trattasse, non già di una battaglia disperata, ove il più debole era fatalmente condannato a soccombere, ma come se si preparassero a dei semplici tiri di combattimento in alto mare.

      Ognuno aveva portato presso di sé la terribile sciabola bornese, che valeva molto meglio di tutte le sciabole d’abbordaggio in uso nella marina europea ed americana.

      Yanez accese un’altra sigaretta, si fece versare dal suo chitmudgar un buon bicchiere d’harak siamese, poi passò rapidamente in rivista i suoi uomini.

      – Gli artiglieri ai pezzi! – disse colla sua voce sonora ed incisiva. – La battaglia sta per cominciare.

      Cercate di coprire innanzi tutto il praho di Padar, perché non voglio assolutamente che venga affondato. —

      Dieci macassaresi, che passavano pei migliori artiglieri delle isole della Sonda, erano balzati sui due pezzi, guidati da due quartiermastri. Padar aveva già puntato il pezzo da trentasei, mirando la coperta della cannoniera.

      Yanez, che era un cannoniere di grande fama come era abilissimo bersagliere, rettificò di qualche punto la mira, poi disse:

      – Vediamo Mati che cosa sai fare ora. Hai a tua disposizione due pezzi ben più grossi di quelli che porta la cannoniera. —

      Il cannoniere stava per obbedire, quando due fragorose detonazioni risonarono al largo, ripercuotendosi entro gli avvallamenti delle onde.

      Gli olandesi avevano prevenuto i malesi, sparando un colpo sullo yacht ed un altro sul praho di Padar, il quale faceva sforzi disperati per non rimanere indietro e farsi catturare.

      Il tiro era bensì troppo alto, poiché la prima palla passava fra le antenne della piccola nave a vapore, spezzando semplicemente un pennone, la seconda aveva attraversato le due vele del praho, toccando qualche corda delle manovre fisse.

      – A te, Mati! – disse Yanez. – Approfitta! —

      Il mastro si curvò sul pezzo, rettificò ancora di qualche linea la mira, sotto la sorveglianza del portoghese, e scatenò un uragano di ferro e di fuoco.

      La granata attraversò il praho che si frapponeva fra lo yacht e la cannoniera e cadde sul ponte di quest’ultima, disperdendo per un momento gli uomini che si erano raccolti intorno ai pezzi.

      – Lesto, Mati! – disse Yanez. – Non addormentarti sui tuoi allori.

      Qui si tratta di distruggere o di venire distrutti, poiché se quella cannoniera riesce ad approdare a Varauni, noi verremo presto o tardi appiccati come pirati.

      Facciamo sparire i testimoni che ingombrano.

      – Ed i naufraghi non ci accuseranno egualmente?

      – Lascia che me la cavi io col Sultano. Sotto le mie mani farò di lui quello che vorrò.

      Spara, per Giove! —

      Mati corse sul castello di prora, dove il pezzo, montato su un perno gigante, poteva sparare in tutte le direzioni e fece nuovamente fuoco lanciando una granata fra le tambura di babordo, le cui pale furono sgangherate assieme con le ferramenta.

      Anche