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Stato.

      Avendo appreso, per una strana combinazione, che l’Inghilterra mandava nientemeno che un ambasciatore a quell’imbecille di Sultano, vi ho portato via.

      – E che cosa farete di me?

      – Vi condurrò in India, dove vi offrirò un posto principesco alla mia corte, con dodicimila rupie all’anno.

      Siete contento, Sir William?

      – Credo ben poco alle vostre parole.

      – Allora non parliamone più.

      – Io so che mi trovo prigioniero, mentre dovrei esser libero.

      – Mi avete detto poco fa che avete della pazienza da vendere: aspettate dunque, Sir William.

      – Che cosa? Qualche morte violenta?

      Yanez si era alzato.

      Dai sabordi bene sprangati di ferri entravano le prime luci dell’alba.

      – Sir William, – disse – sarà meglio che prendiate un poco di riposo. Spero di rivedervi più tardi. —

      Si toccò colla destra l’orlo del sombrero, senza che l’inglese si degnasse di rispondere ed uscì dalla cabina, mentre i due malesi riprendevano il loro posto dinanzi alla porta.

      3. Uno spettacolo selvaggio

      Quarant’otto ore più tardi lo yacht, sempre seguìto a breve distanza dal praho di Padar, entrava a tutto vapore nell’ampia baia di Varauni o di Brunei colla bandiera inglese inalberata sulla maestra.

      Varauni è la Venezia delle isole della Sonda, perché costruita su palizzate e tagliata da un gran numero di ponti di bambù di aspetto pittoresco.

      È una graziosa cittadina di diecimila abitanti, che talvolta salgono a quindici, con pochi palazzi di stile arabo-indiano, abitati per lo più dai ministri e dai grandi della Corte.

      D’interessante ha quello del Sultano, con vari ordini di logge tutte di marmo bianco scolpito e vaste terrazze e giardini e giardini splendidi, dove passeggiano le sue duecento mogli.

      La vecchia batteria del forte di Batar, vedendo la bandiera inglese sventolare sulla maestra dello yacht, sparò due colpi coi suoi vecchi cannoni di ferro, i quali fortunatamente non scoppiarono.

      Era il saluto che dava alla nave.

      Un momento dopo lo yacht rispondeva con altri due colpi e dopo d’avere sfilato in mezzo a due fitti ranghi di prahos e di giongs, si ancorò ad una delle boe riservate alle navi a vapore, attendendo che l’ufficiale di porto facesse la sua visita.

      Il praho di Padar intanto aveva continuata la sua marcia per ancorarsi presso le calate.

      Non erano trascorsi dieci minuti, quando una barca coi bordi dorati ed i remi scolpiti e montata da un personaggio importante, a giudicarlo dalla ricchezza del suo sarong e dalla mole del suo turbante, e spinta da otto robusti rematori, abbordò lo yacht.

      La scala fu subito abbassata ed il funzionario del sultano salì a bordo, nel medesimo tempo che Yanez compariva con una fiammante giacca rossa ad alamari d’oro, calzoni bianchi, stivali alla scudiera, un elmo di tela sul capo circondato da un nastro azzurro.

      In una mano teneva il pacco delle credenziali.

      – Chi siete? – chiese, muovendo incontro al bornese.

      – Il segretario particolare di S. M. il Sultano del Borneo.

      – E perché siete venuto voi invece dell’ufficiale di porto?

      – Per portare più presto all’ambasciatore che la grande Inghilterra ci ha destinato, i saluti del mio signore.

      – Chi vi ha detto che io sarei giunto oggi?

      – Vi attendevamo da parecchi giorni, milord; e vedendo entrare il vostro yacht colla bandiera inglese, ci siamo subito immaginati che voi dovevate trovarvi qui.

      – A che ora potrò presentare al Sultano le mie credenziali ed i miei omaggi?

      – Vi riceverà, milord, nell’aloun-aloun, dove oggi avremo uno splendido combattimento fra tori selvatici e tigri.

      – Volete far colazione con me?

      – No, milord: il mio Signore mi aspetta con impazienza, e la mia testa potrebbe correre qualche pericolo.

      – Chi verrà a prendermi?

      – Io, milord.

      – Potete andare. —

      Il segretario fece un profondo inchino e ridiscese nella barca, mentre Yanez si volgeva verso un dayaco di statura quasi gigantesca, chiedendogli:

      – Tu conosci la città, Mati?

      – Come il vostro yacht, padrone.

      – Io ti apro un credito illimitato, affinché tu mi acquisti prima di questa sera qualche palazzotto, ove possa dare delle feste e dei ricevimenti.

      – M’incarico io, padrone.

      – Allora possiamo far colazione – concluse Yanez.

      Due barche, cariche di frutta d’ogni specie: banane, noci di cocco, durion, mangostani ecc. erano in quel momento giunte.

      Venivano da parte del Sultano, al quale premeva di tenersi caro l’ambasciatore del potente leopardo inglese.

      Stavano per allontanarsi, dopo d’aver scaricato, quando un grido colpì i remiganti.

      – Help! Help! —

      Le due imbarcazioni si erano fermate, e i battellieri guardavano verso i sabordi di poppa. Yanez che aveva pure udito quel grido fece loro un cenno imperioso di allontanarsi.

      – Per Giove! – esclamò il portoghese – Questo Sir William minaccia di darmi già dei grattacapi.

      Bisogna che dia l’ordine d’ora in poi che nessuna scialuppa si avvicini alla mia nave. —

      La tavola era stata preparata sul ponte sotto una tenda. Un buon cuoco indiano aveva preparata una colazione eccellente all’inglese.

      Yanez, che non era mai privo di appetito, fece la sua parte d’onore al pasto; poi dopo d’aver sorbita una buona tazza di caffè, andò a sdraiarsi su un seggiolone a dondolo collocato sul castello di prora, in attesa del ritorno del segretario.

      La magnifica baia di Varauni si svolgeva dinanzi ai suoi occhi nitidamente e così pure la città, essendo i vari quartieri costruiti in prossimità del mare.

      Un gran numero di barche solcava le acque, montate da malesi, da dayachi, da bornesi e da cinesi, i quali si recavano a sbarcare le merci di numerosi velieri schierati in buon ordine di fronte alla città.

      Di quando in quando qualche grossa e massiccia giunca cinese, dalla prora quadra e la velatura a stuoie, usciva verso il largo accompagnata da non pochi prahos i quali spiccavano magnificamente, colle loro vele variopinte, sul luminoso orizzonte.

      Gli equipaggi cantavano allegramente, lanciando delle note poderose che sfondavano gli orecchi, lieti di tornarsene al mare.

      La baia di Varauni non era ormai più quella di una volta.

      Nella sua profonda insenatura i pirati si erano radunati in buon numero per dare la caccia ai velieri che passavano al largo o che tentavano di entrare in relazioni amichevoli.

      Si ricordano ancora le stragi orrende commesse da quei formidabili predoni del mare che non avevano per capo un Sandokan per frenarli.

      Nel 1769 il capitano inglese Padler aveva tentato di ottenere un sicuro asilo dentro la baia, infuriando al di fuori una tempesta spaventevole.

      La sera stessa tutto l’equipaggio, compresi gli ufficiali, veniva trucidato a colpi di parangs e di kriss.

      Nel 1788 era stata purtroppo la volta d’un altro comandante inglese. Ancoratosi nella baia, vi era stato assalito da centinaia di prahos.

      Malgrado la disperata difesa dell’equipaggio, nessun marinaio era stato risparmiato da quei sanguinari predoni.

      Nel