Emilio Salgari

Le meraiglie del Duemila


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e non t’annoierà. Cinquant’anni or sono, un mio collega, il dottor Dek, viaggiava nell’Alto Egitto collo scopo di trovare un’antica miniera di metalli in cui lavoravano un tempo dei sudditi dei Faraoni. Un giorno incontrò un arabo infermo ed il dottore lo curò amorosamente, salvandogli la vita. Il figlio del deserto era povero, eppure volle ricompensare il suo salvatore, dandogli un tesoro che da solo valeva tutte le pietre preziose del mondo.»

      «In che cosa consisteva?» chiese Brandok, che cominciava ad interessarsi vivamente a quel racconto che assomigliava ad uno di quelli delle Mille ed una Notte.

      «In una piccola pianta disseccata, che dall’arabo era stata scoperta in una antichissima tomba, nel seno di una sacerdotessa egiziana che per bellezza non aveva avuto uguali. Il dottor Dek, ascoltando i pomposi elogi fatti a quel piccolo fiore, sepolto chissà quanti secoli prima dell’era cristiana e che portava dei bottoncini arsi dal sole ed ingialliti, non aveva potuto trattenersi dal sorridere.»

      «Ed io avrei fatto altrettanto» disse Brandok.

      «Ed avresti avuto torto,» disse Toby «poiché l’arabo prese la pianta, la bagnò con alcune gocce d’acqua e sotto gli sguardi del dottore si compì un prodigio meraviglioso. La pianta, appena sentì inumidirsi, cominciò a fremere, poi ad agitarsi, i suoi tessuti si raddrizzarono e i suoi bottoni si gonfiarono, poi si schiusero. Il fiore a poco a poco sbocciava, dopo venti secoli e più di sonno, svolgendo i suoi leggeri petali, i quali si distendevano come raggi superbi intorno ad un punto centrale, pieni di eleganza e di freschezza.»

      «Strano fenomeno!» esclamò Brandok, che pareva avesse dimenticato il suo spleen.

      «Quel fiore,» proseguì il dottore «assomigliava ad una margherita raccolta in qualche giardino incantato. Quella risurrezione misteriosa durò parecchi minuti, poi il fiore a poco a poco rovesciò la sua corolla dalle tinte iridescenti, scoprendo in mezzo ai petali alcuni granelli antichissimi. Ahimè! La preziosa semente che il fiore della risurrezione custodiva con tanta gelosa cura, da tanti secoli era irrimediabilmente sterile. A quale suolo affidare quei granelli? Quale sole avrebbe potuto tenerli in vita? Sorpreso e ammirato, il dottore portò seco la meravigliosa pianta e rinnovò in Europa centinaia di volte l’esperimento del vecchio arabo, e sempre il piccolo fiore del deserto, la pianta misteriosa degli antichi Faraoni, risuscitò nella sua immortale bellezza mercé alcune gocce d’acqua. Morendo, il dottor Dek regalò il fiore della risurrezione al discepolo ed amico suo James, il quale ripeté anch’egli, con eguale successo, la prodigiosa esperienza. Infine il fiore della pianta egiziana venne offerto ad Alessandro Humboldt ed il grande naturalista lo risuscitò più volte davanti ai suoi dotti colleghi. Fra le sue mani la pianta misteriosa non fece che rinascere e morire, senza che egli potesse penetrarne i segreti; ad ogni operazione ripeteva colla tristezza del genio impotente: «Nulla c’è in natura che somigli a questa pianta!»»

      «E nessuno ha mai potuto penetrare il mistero di quella pianta che tolta dal sepolcro, dopo migliaia di anni risuscitava grazie ad una goccia d’acqua e riapriva la sua corolla eternamente bella, come per dire al mondo: «Ecco come ero al tempo dei Faraoni»?» chiese Brandok.

      «Sì, uno solo: io!» disse Toby.

      «Tu!?»

      «Sì, io» ripeté il dottore.

      «Dunque?…»

      «Adagio, questo è un segreto. Durante un viaggio che feci venticinque anni or sono in Egitto, potei avere uno di quei fiori e studiare e anche spiegare i misteri della sua risurrezione. E da quel fiore mi è sorta l’idea di fermare la vita umana per farla risvegliare dopo un numero più o meno lungo di anni. Perché se poteva rivivere un umile fiorellino, non avrebbe potuto fare altrettanto un organismo così completo come quello dell’uomo? Ecco la domanda che mi rivolsi e alla cui soluzione impiegai venticinque anni di studi ininterrotti.»

      «E ci sei riuscito?»

      «Pienamente» rispose Toby.

      S’era alzato, avvicinandosi al tavolino e aveva preso fra le mani il coniglio che pareva morto, avendo le gambe e la testa irrigidite.

      «Ha odore, questo animale? Fiutalo, James. Credi che sia morto?»

      «È freddo e il cuore non batte più.»

      «Eppure la sua vita non è altro che sospesa da quattordici anni.»

      «È dunque la morte artificiale che hai scoperto?»

      «Una semplice puntura del mio filtro misterioso è bastata per fermare le pulsazioni del cuore di questo animale e per conservarlo per un così lungo tempo.»

      «È meraviglioso!»

      «Forse meno di quello che sembra» disse il dottore. «Sai che cosa sono i fakiri?»

      «Dei fanatici indiani che eseguono degli esperimenti meravigliosi.»

      «E che si fanno seppellire talvolta per quaranta e anche cinquanta giorni entro una cassa sigillata, colla bocca e le narici turate da uno strato di cera, e che poi risuscitano senza aver l’aspetto d’aver sofferto. Un bagno nell’acqua calda, un po’ di burro sulla loro lingua per renderla più pieghevole ed eccoli ritornare alla vita. Ora vedrai.»

      Prese da uno scaffale una piccola fiala di vetro che conteneva un liquido rosso, vi immerse una siringa, poi punse replicatamente il coniglio, la prima volta in direzione del cuore e la seconda volta alla gola.

      L’animale non aveva dato alcun segno di vita ed aveva conservata la sua rigidezza.

      «Aspetta, James» disse il dottore, vedendo apparire sulle labbra del giovine un sorriso d’incredulità.

      In un angolo vi era un bacino di metallo, sotto cui ardeva una lampadina ad alcool. Il dottore v’immerse un dito per assicurarsi del calore dell’acqua, poi levò la vaschetta, deponendola sulla tavola.

      «Fai fare un bagno al morto?» chiese Brandok.

      «Cioè all’addormentato» corresse il dottore. «È necessario allentare a questo dormiglione i nervi che da tanti anni non agiscono più.»

      «Se tu riesci a far rivivere questo animale, io ti proclamo il più grande scienziato del mondo.»

      «Non esigo tanto» rispose Toby, ridendo.

      Immerse il coniglio nel bacino, tenendogli la testa fuori dell’acqua, poi si mise ad alzare ed abbassare le gambe anteriori, come per provocare la respirazione e aspettò, guardando l’amico che s’era fatto tutto serio.

      «Pare che tu cominci a credere al buon risultato della strana operazione» gli disse il dottore. «È vero, James?»

      «Non ancora» rispose il giovine.

      «Eppure sento che la testa del coniglio comincia a diventar calda.»

      «Effetto del calore dell’acqua.»

      «E che la carne freme.»

      «Non vedo muoversi le gambe.»

      Ad un tratto mandò un grido di stupore; il coniglio aveva aperti gli occhi e fissava il dottore colle pupille dilatate.

      «Ti sembra morto ora?» disse Toby, con accento beffardo.

      «Ti guarda!» esclamò il giovine.

      «Lo vedo.»

      «Agita le zampe!»

      «E respira anche.»

      «Miracolo!… Miracolo!…»

      «Zitto, James, non gridar tanto forte.»

      «È meravigliosa questa risurrezione!»

      «Non dico di no.»

      «Una scoperta che metterà sossopra il mondo.»

      «Niente affatto, perché io mi guarderò bene dal divulgarla. Non siamo che in tre sole persone a conoscerla: io, tu ed il notaio del borgo, quell’eccellente signor Max.»

      «Perché la conosce anche il notaio?» chiese Brandok.

      «Lo saprai più tardi: guarda il risultato per ora.»

      Aveva levato dalla vaschetta il coniglio e l’aveva messo sul tavolino, avvolgendolo