Emilio Salgari

Le meraiglie del Duemila


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zampe, né cercava di fuggire. Doveva essere istupidito.

      «Non morrà?» chiese Brandok.

      «Stasera lo vedrai mangiare e correre assieme ai suoi compagni che tengo giù nel mio giardino. Non è il primo che io faccio risuscitare; la settimana scorsa ne ho fatto rivivere un altro dinanzi al notaio ed anche quello dormiva da quattordici anni. Ora mangia, saltella e dorme come gli altri, e tutti i suoi organi funzionano perfettamente bene.»

      «Toby,» esclamò Brandok, con profonda ammirazione «tu sei un grand’uomo; tu sei il più grande scienziato del secolo.»

      «Di questo, o dell’altro?» chiese il dottore.

      «Che domanda è questa?»

      «Mio caro James, tu devi aver fame ed il pranzo è pronto. L’aria di mare mette appetito e la mia vecchia Magge mi ha promesso un superbo piatto di pesce. Lasciamo qui il coniglio e andiamo a riempirci lo stomaco: la cuoca sarà già arrabbiata per il ritardo. Avremo anche il notaio al pudding.»

      «Perché il notaio?…»

      Il dottore, invece di rispondere, si affacciò alla finestra, e vedendo un garzone che stava innaffiando le zolle del giardino, gli gridò:

      «Tom, avverti Magge che siamo pronti per assaggiare le sue triglie e le sue dorate, e per le due attacca il poney. Dobbiamo fare una gita allo scoglio di Retz».

      Cinque minuti dopo, il dottore e il signor Brandok seduti in una elegante saletta da pranzo, dinanzi ad una tavola bene imbandita, gustavano con molto appetito le grosse ostriche di New Jersey, le più deliziose che si trovino sulle coste orientali dell’America settentrionale, le dorate e le triglie preparate dalla brava Magge, innaffiando le une e le altre con dell’eccellente vino bianco dei vigneti della Florida.

      Il dottore non parlava; pareva tutto intento a divorarsi quei deliziosi pesci, i migliori forse che possegga l’Atlantico settentrionale.

      Brandok invece, cosa assolutamente nuova, sembrava che non fosse più tormentato dallo spleen; chiacchierava per due, tempestando il compagno di domande su quella meravigliosa scoperta che doveva, a sentir lui, portare la rivoluzione nel mondo. Con tutto ciò non riusciva che a strappare qualche sorriso allo scienziato.

      «Dunque queste triglie e queste dorate ti hanno reso muto» gridò ad un tratto Brandok, che cominciava ad arrabbiarsi. «Sono venti minuti che i tuoi denti continuano a masticare e che invece la tua lingua rimane immobile.»

      «No, mio caro James, io penso» rispose il dottore, ridendo.

      «Pare che tu abbia dimenticato la tua scoperta.»

      «Tutt’altro.»

      «Allora parliamone.»

      «Al pudding.»

      «Che cosa c’entra quel pasticcio?»

      «Ti ho detto che verrà ad assaggiarlo anche il notaio della borgata, quel bravo signor Max.»

      «Ma insomma che cosa c’entra lui?»

      «Perdinci, se c’entra! Se dopo cent’anni nessuno più si ricordasse di me e mi lasciassero dormire per sempre? Tanto varrebbe morire.»

      «Toby!» esclamò Brandok «Che cosa hai intenzione di fare?»

      «Vedere come camminerà il mondo fra cent’anni e null’altro.»

      «Come! Tu vorresti…»

      «Fare un sonno di venti lustri.»

      «Sei pazzo?»

      «Non lo credo» rispose il dottore con voce tranquilla.

      Brandok aveva picchiato sulla tavola un pugno così violento, da far traballare i bicchieri e rovesciare una bottiglia.

      «Tu vorresti?…» gridò.

      «Farmi rinchiudere nel rifugio che mi son fatto preparare sulla cima dello scoglio di Retz, per risvegliarmi fra cento anni, mio caro. Si incaricheranno i discendenti del notaio e il futuro sindaco di Nantucket o i suoi successori, a farmi ritornare in vita. Lascio ventimila dollari appunto per farmi risuscitare, unitamente alla fiala contenente il misterioso liquido che mi dovranno iniettare nei punti indicati nel mio testamento.»

      «Ti ucciderai!»

      «Allora vuol dire che tu non hai alcuna fiducia nella mia grande scoperta.»

      «Sì, piena fiducia; però tu non sei un coniglio e poi cento anni non sono quattordici» disse Brandok.

      «Abbiamo sangue e muscoli al pari delle bestie e un cuore che funziona egualmente. Volevo farti la proposta di addormentarti con me; ora vi rinunzio.»

      «Tu hai pensato a me?»

      «Sì, sperando che con un riposo di cento anni il tuo spleen finirebbe per andarsene.»

      «Se l’altro giorno volevo gettarmi dal faro della Libertà! Vedi in quale conto ormai tengo la mia vita. Mi vuoi per compagno, Toby? Sono pronto. Anche se morissi, non perderei nulla.»

      «Dunque, ti piace la mia idea?»

      «Sì, francamente.»

      «Sei eccentrico come un vero inglese.»

      «E non sono forse un inglese?» disse Brandok ridendo.

      Il dottore s’alzò, andò a prendere su una mensola una polverosa bottiglia che doveva contare un bel numero d’anni e la sturò, empiendo i due bicchieri.

      «Medoc del milleottocentoottantotto» disse. «Dopo ventiquattr’anni di riposo deve essere diventato eccellente. Alla nostra risurrezione nel duemilatre!» esclamò, alzando il bicchiere. Lo svuotò di un fiato, stette qualche minuto soprappensiero, poi disse:

      «Quanto possiedi, James…?».

      «Cinque milioni di lire.»

      «In cartelle dello Stato?»

      «Sì.»

      «Devi cambiarle in oro, amico mio. Fra cent’anni quelle cartelle potrebbero non avere più valore alcuno, mentre invece l’oro rimane sempre oro, sia che si trovi in verghe od in pezzi da venti lire. Io posseggo soltanto ottantamila dollari, tuttavia spero che mi basteranno, anche fra cento anni, per non morir di fame. Sono già a posto nel piccolo sotterraneo che ho fatto scavare sotto la mia tomba, in una cassaforte, colla chiave a segreto.»

      «E sei certo che i nostri corpi si conserveranno?»

      «Meravigliosamente» disse il dottore. «Ci conserveremo come fossimo carni gelate.»

      «Geleremo?»

      «Sì.»

      «Chi metterà del ghiaccio nella nostra tomba?»

      «Non ce ne sarà bisogno. Ho scoperto un certo liquido che abbasserà la temperatura della nostra tomba a 20 gradi sotto lo zero.»

      «E si manterrà?»

      «Finché non sfonderanno la nostra cupola di cristallo per farci risuscitare. Staremo benissimo là dentro, te lo assicuro. Ah! ecco quel bravo notaio; giunge a tempo per assaggiare il pudding della mia cuoca e per vuotare un bicchiere di questo delizioso medoc.»

      Nella stanza vicina aveva udito Magge che gridava:

      «È sempre in ritardo, signor Max! Cinque minuti ancora e non assaggiava più il mio pudding. Un’altra volta me lo farà bruciare».

      La porta del salotto s’era aperta fragorosamente ed il notaio era entrato con un passo così pesante, da far traballare le bottiglie ed i bicchieri.

      Il signor Max era un uomo sulla sessantina, grasso come una botte e col viso rubicondo nel cui mezzo faceva bella mostra un naso che poteva stare a paragone, senza arrossire, con quello del guascone Cyrano di Bergerac.

      «Buon appetito, signori» gridò, con una voce da granatiere. «Come va, signor Brandok? V’è passato lo spleen dopo la vostra gita a Nuova York?»

      «Comincia a lasciarmi un po’ di tregua, signor Max,» rispose il giovine «e spero che fra alcuni giorni se ne starà tranquillo per un buon secolo. Poi vedremo.»

      «Ah!…