Emilio Salgari

Le meraiglie del Duemila


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appetito? Io mangerei volentieri una bistecca, per esempio.»

      «Adagio, mio caro. Non sappiamo ancora come funzioneranno i nostri organi interni.»

      «Se il cuore, ed i polmoni non danno segno d’aver sofferto, dopo una così lunga fermata, suppongo che anche gli intestini riprenderanno il loro lavoro.»

      «Eppure temevo che si atrofizzassero» disse Toby.

      In quel momento la porta si aprì ed il signor Holker comparve, seguito dal gigantesco negro che portava dei vestiti simili a quelli che indossava il suo padrone e della biancheria candidissima.

      «Come state, zio? Mi permettete di chiamarvi così, d’ora innanzi?»

      «Certo, mio caro tardo nipote» rispose il dottore. «Mi trovo abbastanza bene.»

      «Anche voi, signor Brandok?»

      «Ho solamente un po’ di fame.»

      «Buon segno; vestitevi e poi andremo a pranzare. Le vesti saranno un po’ diverse da quelle che si portavano cent’anni fa, però sono più comode e dal lato igienico nulla lasciano a desiderare, essendo disinfettate perfettamente.»

      «E anche la stoffa mi sembra diversa.»

      «Stoffa vegetale. Già da sessant’anni abbiamo rinunciato a quella animale, troppo costosa e poco pulita in paragone a questa. Ah! Troverete il mondo ben cambiato; per ora non vi dico altro per non scemare la vostra curiosità. Vi aspetto nella sala da pranzo.»

      Il dottor Toby e Brandok si cambiarono, fecero un po’ di toeletta, poi lasciarono la stanza, inoltrandosi in un corridoio le cui pareti lucidissime avevano degli strani splendori, come se sotto la vernice che le copriva vi fosse qualche strato di materia fosforescente, ed entrarono in un salotto abbastanza ampio, illuminato da due finestre larghe e alte fino al soffitto, che permettevano all’aria di entrare liberamente.

      Era ammobiliato con semplicità, non esente da una certa eleganza. Le sedie, la credenziera, gli scaffali situati negli angoli e perfino la tavola che occupava il centro, erano formati di un metallo bianco e lucentissimo che assomigliava all’alluminio.

      Il signor Holker era già seduto a tavola, la quale era coperta da una tovaglia colorata che non sembrava di tela.

      «Avanti, miei cari amici,» disse, andando loro incontro «il pranzo e pronto.»

      «E dove lo mangeremo?» chiese Brandok, che non aveva scorto sulla tavola né piatti, né bicchieri, né posate, né salviette, né cibi di alcun genere.

      «Ah! mi scordavo che un secolo fa gli albergatori erano pure indietro di cento anni!» disse Holker, ridendo. «Hanno progredito anche loro. Guardate.»

      S’accostò ad una parete ed abbassò una lastra di metallo lunga un paio di metri e larga una trentina di centimetri, unendola alla tavola in modo da formare un piccolo ponte. L’altra estremità s’appoggiava ad una piccola mensola sopra la quale sta scritto: «Abbonamento all’Hôtel Bardilly».

      «E ora?» chiese Brandok che guardava con crescente stupore.

      «Premo questo bottone ed il pranzo lascia le cucine dell’albergo per venire sulla mia tavola.»

      «Dove si trova questo Hôtel? In questa casa?»

      «Anzi, è piuttosto lontano: sulla riva opposta dell’Hudson.»

      «Siamo dunque a Nuova York?!» esclamarono ad una voce Toby e Brandok.

      «Dove credevate di essere? Ancora a Nantucket?»

      «Quando ci avete trasportati?» domandò Brandok al colmo della sorpresa.

      «Ieri sera. Alle otto ho lasciato l’isola e a mezzanotte eravate qui.»

      «In quattro sole ore, mentre cent’anni fa se ne impiegavano sedici e con una scialuppa a vapore!» esclamò il dottore.

      «Abbiamo camminato colle invenzioni, mio caro zio» disse Holker. «Ah! ecco il pranzo.»

      Un sibilo acuto era sfuggito da una piccola fessura della mensola, poi una porticina si era aperta automaticamente all’estremità della lastra di metallo che si univa alla tavola e una piccola macchina, seguita da sei vagoncini di alluminio di forma cilindrica, s’avanzò, correndo su due incavi che servivano da rotaie.

      «Il pranzo che manda l’albergo?» chiesero Toby e Brandok.

      «Sì, signori, e con tutto il necessario. Come vedete è una cosa molto comoda che mi dispensa dall’avere una cuoca ed una cucina» rispose Holker.

      Aprì il primo vagoncino che aveva una circonferenza di quaranta centimetri e una lunghezza uguale e levò dei bicchieri, delle posate, delle salviette e quattro bottiglie che dovevano contenere del vino o della birra. Dagli altri quattro estrasse successivamente dei piccoli recipienti contenenti del brodo ancora caldissimo, poi dei piatti con pasticci e vivande svariate, delle uova, dei liquori e così via. Tutto il necessario insomma per un pranzo abbondante.

      Quand’ebbe terminato, premette un bottone, la porticina si aprì ed il minuscolo treno scomparve, retrocedendo colla velocità d’un lampo.

      «Che cosa ne dite, signor Brandok?» chiese Holker.

      «Che ai nostri tempi queste comodità mancavano assolutamente. E tornerà il treno?»

      «Certo, per riprendere le stoviglie.»

      «E come arriva qui?»

      «Per mezzo d’un tubo, e cammina mosso da una piccola pila elettrica, d’una potenza tale però che le imprime una velocità di quasi cento chilometri all’ora. Queste vivande non sono state rinchiuse nei loro recipienti che da qualche minuto; infatti vedete che fumano, anzi scottano.»

      «E l’albergatore come viene avvertito dal cliente di ciò che desidera?»

      «Per mezzo del telefono. Al mattino il mio servo trasmette all’Hôtel il menù per il pranzo e per la cena e le ore in cui desidero mangiare, ed il treno giunge con precisione matematica.»

      «Non tutti potranno permettersi un lusso simile» osservò il dottore Toby.

      «Certo,» rispose Holker «ma quelli che non possono abbonarsi all’Hôtel se la sbrigano anche più presto.»

      «A mangiare forse, non certo a prepararsi il pranzo.»

      «Il lavoratore non fa più cucina in casa, non avendo tempo da perdere. Otto o dieci pillole, ed ecco inghiottito un buon brodo, il succo d’una mezza libbra di bue, o di pollo o di una libbra di maiale o di un paio d’uova, d’una tazza di caffè e così via. Cent’anni fa si perdeva troppo tempo; camminavate ed agivate colla lentezza delle tartarughe. Oggi invece si gareggia coll’elettricità. Mangiate, signori miei, o i cibi si raffredderanno. Una tazza di buon brodo, signor Brandok, prima di tutto, poi sceglierete quello che più vi piace. Vi avverto che è un pranzo a base di vegetali; ma queste pietanze non sono meno nutrienti, e non vi parranno meno saporite. Poi parleremo finché vorrete.»

      LA LUCE ED IL CALORE FUTURO

      Il dottor Holker aveva detto la verità. Il brodo era squisitissimo, ma nessuna pietanza era di carne di bue, di maiale e di montone. Solo dei pesci: tutti gli altri piatti si componevano di vegetali, fra cui molti che erano assolutamente sconosciuti a Toby ed a Brandok.

      In compenso il vino era così eccellente che né l’uno né l’altro mai ne avevano gustato di simile.

      «Signor Holker,» disse Brandok, che mangiava con un appetito invidiabile, come se si fosse svegliato solo da dieci o dodici ore «siete vegetariano voi?»

      «Perché mi fate questa domanda?» chiese il lontano pronipote del dottore.

      «Ai nostri tempi si parlava molto di vegetarianismo, specialmente in Germania ed in Inghilterra. Si vede che quella cucina ha fatto dei progressi.»

      «Perché non trovate delle bistecche?»

      «Sì, e mi stupisce come i moderni americani abbiano rinunciato alle succose bistecche ed ai sanguinanti roast beef.»

      «Sono piatti diventati un po’ rari, oggi, mio caro, e pel semplice